Ora che Francia e Germania cominciano a prendere decisioni drastiche, è ragionevole pensare che anche il governo italiano, finalmente, uscirà dalla lunga fase della negazione in cui è rimasto imprigionato perlomeno da maggio, vittima della sua stessa propaganda e di una stampa troppo compiacente.
Rispetto a Francia e Germania, ad esempio, sappiamo che l’Italia ha fatto i sacrifici più duri, ha tenuto le scuole e le aziende chiuse più a lungo, ha subito le maggiori perdite economiche e sopportato più alti costi sociali, e nonostante tutto questo ha avuto più morti in rapporto alla popolazione, e ha avuto persino più morti in termini assoluti, nonostante la Francia abbia sei milioni di abitanti in più e la Germania addirittura ventitré.
Ebbene, è ora di svegliarsi. Non c’è altro tempo da perdere. E se non vogliamo perdere altro tempo, per prima cosa dobbiamo dirci la verità: non c’è nessun modello italiano, non c’è mai stato, per la semplicissima ragione che non siamo stati affatto i più bravi del mondo nel gestire la pandemia (decisamente meglio di noi ha fatto non solo la Cina, che certo non è un paese democratico e nemmeno uno stato di diritto che rispetti accettabili standard di trasparenza, ma anche la Corea del Sud, che invece lo è). E non siamo nemmeno i più bravi d’Europa.
Al 28 ottobre 2020, i dati sono infatti i seguenti: Germania, 83 milioni di abitanti e 10.259 morti; Francia, 66 milioni di abitanti e 35.823 morti; Italia, 60 milioni di abitanti e 37.905 morti. Secondo quale criterio continuiamo dunque a ripetere che gli altri starebbero messi peggio di noi e che ci prenderebbero addirittura a modello? Se non per la banale considerazione che avendo noi affrontato l’ondata per primi – in Europa, s’intende – siamo stati ovviamente anche i primi a fare da cavia e a offrire un modello di risposta, che poi ciascuno ha seguito fin dove gli è parso ragionevole, discostandosene dove no, com’era naturale che fosse? Abbiamo fatto sacrifici più duri e abbiamo subito perdite umane ed economiche più alte: di cosa dovremmo vantarci? (Francesco Cundari, Linkiesta)