ANTIFASCISMO/ LE PAROLE E LE IDEE SONO SEMPRE PERMESSE

In questi giorni, per il salone di Torino, torna improvvisamente in auge il dibattito sul fascismo-antifascismo. Un antifascista come deve comportarsi con i fascisti? Negli anni settanta (chi vi dice che erano bellissimi, è un pazzo) l’antifascismo doveva essere militante, nel senso che o facevi a palate con i fascisti oppure eri un traditore della Causa. L’uso della violenza da parte degli uomini non è graduabile come nei duelli dove i contendenti usano la stessa arma. Dalla lotta libera si passa ai coltelli, poi alle pistole e poi alle bombe. Poi c’è il contesto. Se tu pensi che devi fare la Resistenza partigiana negli anni settanta come se fossimo nel 1944, questo tragico errore storico lascia sul terreno soltanto cadaveri innocenti e inutili per cambiare le cose. Finito in Italia l’antifascismo militante, che tra l’altro sul piano elettorale portava voti solo ai fascisti (vecchia regola aurea), la storia ha marginalizzati gli estremisti di destra e sinistra, vale a dire i violenti sotto l’influsso dell’ideologia, droga terribile che crea dipendenza. Ma chi sta al margine prima o poi è destinato a riprendersi la scena perchè usare la violenza cieca per far prevalere le proprie ragioni è un virus con il quale nasce l’uomo. Poi ci sono quelli che si curano o si vaccinano ma il virus non è mai debellato, come il morbillo. Anch’io quando facevo il preside venivo talvolta strattonato: “E tu permetti che quel prof vada in classe ad esaltare il fascismo?”. La mia risposta di ieri, come oggi, la do con le parole del prof. Galli della Loggia.

“Un presupposto essenziale della democrazia è che gli esseri umani siano esseri mediamente assennati e ragionevoli e che di conseguenza basti il libero dibattito delle opinioni a far emergere tra di loro l’orientamento più conveniente e giusto facendolo risultare vincente. A patto per l’appunto che non intervenga la violenza ad alterare le cose. È per questo che un principio cardine della democrazia liberale è che tutte le opinioni devono essere libere di esprimersi, anche le più sciocche, crudeli o antidemocratiche. Ciò che è essenziale è che chi professa tali idee si limiti a divulgarle con la parola o con lo scritto senza far ricorso a mezzi violenti. In questo modo, infatti, quelle idee, per quanto funeste, urteranno infallibilmente sempre, alla fine, contro il buon senso della maggioranza e non avranno mai la meglio. In società complicate e frantumate come le nostre è assolutamente inevitabile che vi sia, diciamo, l’uno per cento della popolazione che crede che la terra sia piatta, che Auschwitz non sia mai esistita, che i vaccini siano dei veleni o che il fascismo sia stato una bellissima cosa. Pensare che non possa o non debba essere così è da illusi o da sciocchi. Pertanto, supporre che in Italia possa non esserci un certo numero di nostalgici di Mussolini e del suo regime significa supporre qualcosa di inverosimile. Ebbene, che cosa bisogna farne allora di questi nostri concittadini? Impedirgli di riunirsi, di parlare e di tenere un comizio? Vietargli di scrivere un manifestino o un giornale, di pubblicare un libro? Mandarli al confino? Arrestarli tutti per attuare tali divieti, con il bell’effetto magari che qualcuno di loro decida allora di entrare in clandestinità e di mettersi a sparare?

La risposta dovrebbe essere evidente. Eppure ogni volta che come per il Salone del libro a Torino si rende visibile la sparuta presenza di qualche gruppuscolo fascista nel nostro Paese, ogni volta che qualche decina di energumeni di CasaPound mette fuori la testa, nessuno del fronte antifascista si attiene all’aurea regola liberale secondo la quale le parole e le idee sono sempre permesse e che solo le azioni se incarnano una fattispecie penale, quelle sì vanno invece impedite e duramente perseguite e sanzionate. No, in Italia questa regola sembra non valere…”

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