In Francia un sindaco che rifiutasse di indossare la fascia tricolore o comunque di onorare la bandiera sarebbe costretto alle dimissioni in pochi minuti. Questo perché in Francia esiste uno Stato ed esiste un establishment. Quando l’ho scritto a proposito del caso Marine Le Pen, sono stato accusato nientepopodimeno che dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio di essere un antidemocratico. In realtà, in Francia il tanto esecrato Emmanuel Macron — il candidato dell’establishment — ha vinto le elezioni due volte contro Marine Le Pen, in modo abbastanza netto: 66 a 34 la prima volta, 60 a 40 la seconda. E non è stata l’élite a eleggerlo, è stato il popolo francese, che magari non lo amava, ma in netta maggioranza l’ha preferito alla candidata della destra sovranista. Avere uno Stato e avere un establishment non significa che pochi decidono per tanti. Significa che esiste un collegamento tra élite e popolo, che condividono un sistema di valori, il primo dei quali è la consapevolezza di se stessi, il rispetto delle istituzioni, l’amore per la patria e di conseguenza per la propria bandiera (un legame che peraltro anche in Francia vacilla). In Italia chi ha parlato di «sovversivismo delle classi dirigenti» rischia talora di avere ragione. Che a rifiutare il tricolore sia una sindaca eletta anche con i voti della destra nazionalista italiana è soltanto un apparente paradosso. Noi italiani disprezziamo lo Stato, lo consideriamo un nemico, altro da noi (le tasse non sono forse «pizzo di Stato»?). E se l’incredibile gesto della sindaca di Merano indigna gran parte dell’opinione pubblica è semmai perché amiamo invece la patria, l’Italia, la bandiera. Ma non riusciamo a stabilire un nesso tra le due cose. Se dietro non c’è uno Stato, non ci sono istituzioni solide, non c’è un sistema Paese (se preferiamo questa parola al detestato establishment), allora anche i simboli finiscono per diventare vuoti, o comunque per manifestare un sentimento più che un’appartenenza, un afflato più che una forza.