La storia del primario molestatore di Piacenza.15 anni in cui nessuno ha notato nulla

Le cronache, come quella di Alfio Sciacca sul Corsera, narrano di cosa succedeva nella sua stanza nel seminterrato dell’ospedale «Guglielmo da Saliceto» di Piacenza. Era l’ufficio del primario di Radiologia, Emanuele Michieletti. «Io sono qui da anni, non ho mai notato nulla del genere», dice un’infermiera.

Le storie di questi microcosmi lavorativi dove succedono cose, potrebbero parlare i muri ma tutti si girano dall’altra parte, sono sempre interessanti. Per gli inquirenti nel reparto ci sarebbe «un clima omertoso». Anche un’altra donna l’ha denunciato, salvo poi ritrattare.

In genere si tira in ballo l’omertà [variante napol. di umiltà, dalla «società dell’umiltà», nome con cui fu anche indicata la camorra per il fatto che i suoi affiliati dovevano sottostare a un capo e a determinate leggi] che è quella legge per cui secondo mafia e camorra meridionali si doveva mantenere il silenzio sul nome dell’autore di un delitto affinché questi non fosse colpito dalle leggi dello stato, ma soltanto dalla vendetta dell’offeso.

No, qui in questi reparti, uffici, stanze, non c’è nessun muro del silenzio da abbattere, perchè tutti sanno o sapevano, e proprio perchè sanno, intendono giocarsi bene la carta vantaggiosa che hanno in mano a tempo debito. Siccome tutti sanno ognuno fa il suo gioco, per ottenere vantaggi personali, non ci sono distratti, pecorelle smarrite, candidi, ingenui. No, tanti e solo furbastri idioti simili a quei commercianti che pagano il pizzo convinti che in questo modo (loro sì e gli altri no) in cambio avranno protezione e amicizia dal boss estortore. 

Queste storie sono sempre ripiene di tante Alice nel paese delle meraviglie, di sciocchi, di gente che cade dal pero e sa farsi solo i fatti suoi.  Per fortuna c’è stata Paola Bardasi, dirigente dell’Ausl, che ha raccolto la denuncia di una donna ed ha così scoperchiato quel che avveniva nel reparto di Radiologia e ora ha pure, senza aspettare sentenze definitive di condanna, licenziato per giusta causa il playboy.  Una storia come tante, il primario altamente qualificato e apprezzato da tutti, che per giunta è un bell’uomo e aveva consapevolezza di piacere alle donne, tanto che aveva una moglie e due amanti ufficiali.

Ecco la superficie della narrazione, ma quando nell’intercapedine di una grata del sistema di condizionamento dell’aria gli inquirenti hanno piazzato una piccola telecamera, e quando le microspie hanno invece «ascoltato» le conversazioni, la narrazione si è liquefatta come neve al sole. Sono bastate le parole con le quali abbordava le donne che «convocava in stanza con l’altoparlante», ma anche i conciliaboli tipicamente maschili in cui si vantava con i colleghi, spesso ammirati della sua prestanza sessuale davvero frenetica e patologica, per svelare ciò che avveniva da ben 15 anni.

15 anni in cui tutti in un reparto di ospedale fanno finta di non sapere nulla, comprese le donne consenzienti e gli amici degli amici. 32 tra approcci e rapporti sessuali nell’arco di 45 giorni, senza badare al ruolo, solo donne. «Se si escludono festivi, giorni di riposo e ferie — fa notare una fonte — si può ben dire che praticamente ci provava quasi tutti giorni». Molti infatti sapevano ma non hanno mai voluto, o avuto la forza, di denunciare un primario considerato potentissimo.

Le ritorsioni si traducevano in turni disagiati o ferie lesinate con il contagocce. Solo una dottoressa si è rivolta alla direzione dell’Ausl e poi alla polizia. «Quasi tutte quelle che entravano nel suo ufficio subivano avance, approcci, rapporti sessuali completi». Molti, va detto, erano consensuali.

La morale di queste storie è sempre la stessa. Se gli italiani subiscono e hanno paura (almeno così dicono) finanche di un primario di un ospedale, potranno mai riuscire un giorno a debellare i boss mafiosi?