A complete unknown/Cosa insegna a tutti il biopic su Bob Dylan

C’è un film su Prime, A complete unknown (2024), di James Mangold (1963) che è un biopic sul giovane Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan,  ritratto dal 1961 al 1965 attraverso le sue canzoni.

“Chi vorresti essere? Tutto ciò che non vogliono che io sia”. Un grandioso Timothée Chalamet canta e interpreta alla perfezione il più misterioso e ambizioso folksinger venuto dal nulla, con una valigia piena di canzoni e idee sconvolgenti. Distaccato, arrogante e imperscrutabile, il Dylan di Chalamet è un ragazzetto bizzoso, diviso tra due donne, che consiglio di vedere soltanto a chi ama le canzoni di Dylan. Tutti gli altri si annoiano a morte perchè pensano di non aver visto un film con dialoghi, una storia, azione, pensieri, ma solo un concerto con tante canzoni. Invece chi ama “Like a rolling stone”, “Blowin in the wind” e qualcuna delle migliaia di canzoni scritte da Robert, capisce facilmente la tesi di fondo di Mangold, e cioè  che Dylan non ha una identità ma è solo le sue canzoni.

Ma c’è un’altra cosa per la quale val la pena vedere il film, perchè consente di capire come nella storia umana il nuovo non scaturisce mai dal vecchio senza che ci sia una fase di rottura. Allo stesso modo di come un bambino nasce dalle terribili sofferenze del parto, ogni novità non viene mai accolta ma trova resistenze molto forti. Bob Dylan comincia avendo in mente il folk di Woody Guthrie (1912-1967) e di Pete Seeger (1919-2014), un genere musicale di canto con chitarra acustica. Quando decide di usare la chitarra elettrica e tutti gli altri strumenti musicali, influenzato dalla nuova musica rock e r&b, è costretto ad entrare in guerra con il mondo che gli ha dato il successo. Per i puristi, gli ammalati di ideologia, egli è un traditore e pertanto anche lui, come tutti quelli che in qualsiasi campo hanno innovato è dovuto passare attraverso le forche caudine, incomprensioni, offese, resistenze, sgambetti, ostilità.

Il nuovo non viene mai compreso accolto ed accompagnato, non viene mai agevolato, ma deve farsi largo attraverso battaglie sanguinose che rimettono in discussione tutto, affetti, vecchie amicizie e solidarietà. Cambiare è la cosa più difficile per l’umanità, che preferisce sempre il dolce tran tran di abitudini consolidate.

I puri e duri si ergono come custodi rigidi di quello che non può essere modificato. Soltanto grandi uomini, artisti, scienziati, intellettuali, donne o uomini che siano, ci hanno consentito di fare dei salti in avanti senza rimanere ancorati al vecchio. Senza di loro saremmo ancora qui a spostarci a cavallo, a curarci senza la penicillina, a vivere in case di legno e la sera cantare canzoni con la chitarra acustica. Intendiamoci, ci sono quelli convinti che questo mondo sia preferibile al nostro, sia più ecologico. La comunità Amish è un esempio di gruppo religioso che sceglie di vivere al di fuori del mondo moderno, evitando l’uso di tecnologia e privilegiando un’esistenza più semplice e tradizionale. Ognuno, ci mancherebbe, della sua vita è libero di fare quello che vuole, ma nel rispetto di tutti non ho mai sopportato i puri e duri. Mi spiego con un esempio personale e musicale. Nel 1968 la contestazione  giovanile irruppe sulla scena e arrivò dovunque, anche a Nicastro. Una sera al teatro Grandinetti andammo a sentire un concerto di un compagno che si chiamava Pino Masi. La sua specialità era che cantava ma la musica la faceva tambureggiando con le mani su qualsiasi oggetto, una sedia, un tamburello, le gambe. Una noia mortale per chi come me amava Elvis Presley, il rock americano, e stava alla larga dalle canzoni di “impegno” del santone Paolo Pietrangeli (“Contessa” e “Mio caro padrone domani ti sparo”). Quindi figuriamoci come capisco quanto un genio assoluto come Bob Dylan abbia dovuto lottare per allontanarsi dal suo mondo e poter sfornare i tanti capolavori che ha regalato all’umanità difendendo sempre in ogni istante la sua libertà artistica e creativa. Se ci fate caso alla fine del film i puri e duri che ad Airport si contrappongono a Dylan che sta passando alle chitarre elettriche assomigliano tanti a Bersani, Schlein e l’attuale segreteria del pd.