Nel 2022, subito prima della condanna a otto anni e mezzo per aver diffuso notizie «false» sulla guerra, Ilya Yashin non aveva cercato di ingraziarsi i giudici: «La menzogna è la religione degli schiavi», aveva detto in faccia alla corte. Oltre due anni dopo il leader dell’opposizione russa più riconosciuto dalla morte di Alexei Navalny è a Berlino. Sono passati quattro mesi dalla sua liberazione in uno scambio di prigionieri orchestrato tra Mosca e Washington. Yashin non ha perso niente della sua voglia di urlare la verità, né della sua rabbia.
Lei è vissuto in Russia fino a poco tempo fa. Crede che la società riesca ancora ad accettare la pressione a cui è sottoposta a causa della guerra e della repressione?
«La situazione in Russia non è certo stabile» risponde il leader 42enne. «È allarmante. Ed è normale, per un Paese in guerra. Quanto ai russi, accettano la guerra come una catastrofe naturale. Sul piano emotivo la vivono come fosse un fenomeno sul quale non hanno alcuna influenza».
Crede che nel Paese prima o poi possa accadere qualcosa?
«Difficile fare previsioni, ma i russi hanno l’aria di essere emotivamente instabili. La gente non riesce a fare progetti, le sembra di non avere alcuna sicurezza per il futuro. I russi non sanno quando o come finirà il conflitto, non sanno se ci sarà o no un’altra mobilitazione. E non riescono a capire cosa sta accadendo alla loro economia».
L’inflazione corre, il prezzo del cibo rincara, i tassi d’interesse sono alle stesse. Tutto questo è sostenibile per la gente comune o stiamo arrivando a un punto di rottura?
«Non mi è chiaro cosa lei intenda, quando parla di punto di rottura. In Russia la gente non ha strumenti per incidere su alcuna decisione, era già molto difficile prima. Da quando è iniziata la guerra poi Putin vede qualunque tentativo di prote- sta come un atto ostile, un’aggressione.
La gente si deve adeguare e mostrare che si comporta di conseguenza. Spesso qualche straniero mi chiede perché da noi la gente non protesti. Quando ero in Russia, l’ho chiesto anch’io tante volte alle persone che incontravo. L’ho chiesto quand’ero in prigione e quand’ero libero. Ho chiesto a tanti miei concittadini: perché non protestate?».
Risposte?
«La più tipica era: è pericoloso, e comunque non ha senso. Vedono la guerra come un disastro naturale, un tornado. Quando c’è un tornado, non esci a protestare».
Pensa che il 2025 possa essere l’anno in cui l’economia russa inizi a cedere e l’inflazione acceleri fino a innescare una crisi tale da indurre Putin a riconsiderare la sua strategia?
«L’economia russa ha un margine di sicurezza. Questo margine si è eroso durante gli anni di guerra. Un economista di cui mi fido dice che alla fine del prossimo anno il National Wealth Fund (il fondo sovrano di Mosca; ndr) sarà esaurito. Non credo che l’economia sia vicina al collasso, ma è chiaro che ogni mese di guerra rende tutto più difficile. Credo che l’anno prossimo i russi sentiranno tutto l’impatto. È già così, ma nel 2025 lo sentiranno in pieno. Eppure non credo che i problemi economici possano portare a grandi proteste o al crescere dell’indignazione popolare in Russia. Le proteste hanno luogo quando quelli si intrecciano ai problemi sociali e politici.
Molto dipenderà dalla capacità di Putin di controllare la situazione politica».
Nelle élite, fra gli oligarchi e nell’alta burocrazia, alcuni devono essersi accorti della stupidità di aver gettato la Russia in questa guerra. Si aspetta pressione sul Cremlino da questi ambienti perché vi metta fine?
«Sono totalmente d’accordo con la sua valutazione su quel che accade. Penso che gli oligarchi e le élite finanziarie non amino la guerra e vorrebbero chiuderla al più presto. Ma non credo che le élite russe per il momento abbiano strumenti o mezzi per esercitare pressione su Putin. Va capita la logica del suo regime. È personalistico, è un’autocrazia personale. E come tale, si basa sui servizi “speciali”. Questi ricattano e controllano le élite politiche e la burocrazia. Il principale meccanismo del potere è la paura. Tutti capiscono che per qualunque dissenso o critica puoi essere incarcerato o ucciso. Questa paura fa sì che le élite non possano o vogliano criticare. Il solo modo di mettere il Cremlino sotto pressione è con gli atti di sabotaggio.
Sì, questa è un’opzione aperta».
Lei sembra credere che i russi resteranno ostaggio di Putin, del segretario del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev e del ristretto numero dei loro amici…
«Da quel che capiamo, Putin prende le sue decisioni in una cerchia molto piccola e non ufficiale. Sappiamo e abbiamo visto che persino per questa cerchia l’inizio della guerra è stato del tutto inatteso. E non è realistico aspettarsi che cambi qualcosa finché Putin è al potere».
Chi c’è nella cerchia di Putin, a parte Patrushev?
«I membri permanenti del nucleo sono Alexander Bortnikov (il direttore del servizio segreto Fsb; ndr), Putin stesso e Patrushev. Credo che di tanto in tanto altri entrino e escano, per esempio Sergei Shoigu (l’ex ministro della Difesa; ndr). Ma da quel che capiamo, questa cerchia è riservata comunque solo a chi viene dai servizi speciali».
Ora però arriva Donald Trump e ha detto che fermerà la guerra «in 24 ore». Cosa serve perché Putin e il suo gruppo si convincano a mettere fine al conflitto? Servono concessioni o Trump deve intimidirli?
«Credo che stiano aspettando proposte, da Trump. Credo che Putin sia pronto a negoziare con lui, ma i negoziati non saranno facili. Se qualcuno pensa che Putin cederà o scenderà a compromessi facilmente, si sbaglia. Per lui le concessioni e i compromessi sono segni di debolezza, spingerà per avere di più. L’abbiamo visto l’ultima volta che Putin ha parlato con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Subito dopo, la Russia ha bombardato l’Ucraina molto pesantemente. Se Trump vuole riuscire, deve usare argomenti pesanti da una posizione di forza».
Deve permettere all’Ucraina di colpire più obiettivi in profondità nei confini russi?
«Non sono pronto a discutere i dettagli, ma quel che lei cita è sensato».
Se l’America sarà pronta a ricorrere all’uso della forza attraverso l’Ucraina, ciò potrebbe indurre Putin a ripensare alla propria decisione di continuare la guerra nel 2025. È ciò che lei pensa?
«L’obiettivo strategico di Putin è controllare l’Ucraina. È molto importante che l’Europa e gli Stati Uniti gli facciano capire chiaramente che non ci riuscirà. Che a Kiev non ci sarà un governo controllato da Mosca. Il primo passo è chiarirgli che non gli verrà mai data l’Ucraina».
Immaginiamo che si raggiunga un cessate il fuoco. Dal primo giorno inizieranno azioni russe sotto copertura per minare il governo ucraino e creare le condizioni per piazzare, con il tempo, un presidente fantoccio. Se lo aspetta?
«Non credo che si tornerà alla situazione prebellica in Ucraina, con partiti e politici filo-Cremlino. Una forza filo-Cremlino può andare al potere solo con la violenza e con una guerra di aggressione da parte russa, non con operazioni ibride. Putin ha bombardato così tanto, così tanta gente è morta, da rendere difficile credere che si possa formare un governo filo-Cremlino.
Ciò di cui l’Ucraina ha bisogno è di poter combattere una guerra difensiva».
Ma insomma, quanto ritiene probabile che la guerra finisca nel 2025?
«Le guerre finiscono con dei negoziati. Spero che finirà, ma non sono certo che sia in breve tempo, in questo o qualunque altro anno».
Un po’ pessimista, no?
«Non sono pessimista, sono realista. Vedo che Putin non vuole veramente negoziare. Questo conflitto non ha soluzioni semplici. Non esistono decisioni miracolose che vi mettono fine in 24 ore. Per far smettere Putin, l’Occidente deve esercitare la propria forza. Trump è pronto? I leader europei sono pronti? Non so».
L’Occidente non ha dato più armi a Kiev perché si preoccupa delle ritorsioni russe e delle minacce nucleari. Inoltre i governi democratici non vogliono che Mosca perda, perché temono una crisi politica e sociale in Russia che porti a una situazione in cui le testate atomiche finiscono in mani sbagliate. Condivide?
«Le motivazioni da lei descritte sono molto vicine alla realtà. Ma questo approccio paralizza la volontà dell’Occidente e provoca un’escalation di Putin. Lui legge i dubbi degli occidentali e ciò lo motiva a diventare più aggressivo. È ridicolo pensare che dopo Putin possa essere peggio, quello è un dittatore che sta distruggendo l’ordine internazionale. Ha provocato la più grande guerra in Europa dal 1945. Cosa c’è di peggio? Il dilemma è in questi termini: l’Occidente fermerà Putin o perderà da lui?»
L’Occidente dev’essere pronto a far molto più male alla Russia per fermarlo?
«Non l’ho detto. Ho detto che deve agire più rapidamente e con più decisione. L’Ucraina avrebbe dovuto ricevere certi tipi di armi prima: avrebbero potuto cambiare lo scenario».
Lei ha passato più di due anni in carcere. Duro riabituarsi alla vita normale?
«Duro, sì. Soprattutto non poter tornare a casa. Forse se fossi stato liberato e avessi potuto tornare a casa, l’adattamento sarebbe stato più semplice. Ma quando Putin mi ha liberato, mi ha anche cacciato dal mio Paese e privato della mia madre patria. Mi sento disorientato».
È difficile per lei trovarsi in Germania?
«Voglio andare a casa. Mi sveglio ogni mattina con il pensiero del mio Paese».
Lei odia Putin, gli augura qualcosa di brutto?
«Cerco di essere un buon cristiano e non odiare nessuno. Auguro a Putin l’onesto giudizio di un tribunale penale che faccia giustizia di tutti i suoi crimini».