Ora che l’inflazione sembra tornata a livelli normali in Europa, è tempo di tentare un bilancio su chi ha pagato lo scotto di questi anni e per farlo prendiamo come termine di paragone la Germania, la Francia e la Spagna. Il valore aggiunto di un paese si può scomporre in quanto va ai lavoratori e quanto va alle imprese. Se prendiamo i dati Eurostat e calcoliamo, depurando dall’inflazione, la crescita del valore aggiunto dal 2019 al 2023 si vede che l’Italia è cresciuta del 1,63 per cento, la Germania del 1,44 per cento, la Francia del 2,72 per cento e la Spagna del 4,52 per cento. L’Italia registra una crescita dei profitti del 2,7 per cento, e una crescita negativa dei salari dell’1 per cento. La Germania è un caso simile: la crescita del valore aggiunto è tutta imputabile alla crescita dei profitti e la quota dei salari scende in valore reale. Anche in Francia la quota dei profitti cresce più dei salari, che tuttavia crescono di quasi dello 0,9 per cento. Infine, la Spagna che ha registrato la maggiore crescita del valore aggiunto, ha distribuito la gran parte di questo sui salari, che sono cresciuti del 3,2 per cento.
La prima cosa da chiarire è che il fatto che la quota dei profitti sia aumentata e quella del lavoro diminuita (in Italia e Germania) non implica “inflazione da profitti”. Negli anni passati c’è stato un dibattito sul fatto che i profitti delle imprese causassero inflazione. E’ caso mai il contrario: l’inflazione improvvisa aumenta i prezzi e i profitti delle imprese, mentre i salari sono più lenti ad adeguarsi. …
… In Italia la quota dei salari reali è diminuita di un punto rispetto al valore aggiunto totale, l’opposto è avvenuto in Francia e Spagna. In Italia, il recupero della quota del lavoro potrà avvenire con il rinnovo dei contratti collettivi, ma il fatto che il settore pubblico e dei servizi siano in perenne ritardo non aiuta. …
Tutto questo è rilevante anche per il dibattito sull’andamento dell’occupazione. Quando il governo dice che l’occupazione è molto aumentata in questi anni, dice una verità, e sbaglia il sindacato o chi pretende di dire il contrario. Il numero degli occupati, dei contratti a tempo indeterminato e in generale delle ore lavorate è molto maggiore oggi che nel 2019. Ma l’aumento degli occupati non è bastato a mantenere costante la quota del lavoro nel valore aggiunto. La perdita di valore reale dei salari e i mancati rinnovi hanno fatto sì che a oggi la quota del lavoro è minore di prima e questo sembra essere un nuovo punto di equilibrio. E’ ben noto che nei periodi di inflazione a perderci sono soprattutto i lavoratori. La Francia ha alzato il salario minimo legale, trascinando al rialzo gli altri salari sopra il minimo. La Spagna, che pure ha un sindacato tradizionalmente debole, ha fatto accordi tripartiti tra governo e parti sociali per i rinnovi contrattuali. L’Italia sembra essersi legata le mani: non ha il salario minimo legale, la contrattazione nazionale in alcuni settori fondamentali da anni non tiene il passo con l’inflazione, e si continua a favorire fiscalmente il reddito da lavoro autonomo – che conta come profitto nella scomposizione del pil – piuttosto che quello dipendente.