(…) Ancora meno mi piacciono tutti quelli che dal primo giorno della guerra di Gaza, come se non aspettassero altro, hanno cominciato a gridare che gli israeliani stavano commettendo un «genocidio», perché era fin troppo evidente che era proprio così: non aspettavano altro che potere finalmente rovesciare sugli israeliani – cioè sugli ebrei – l’accusa su cui si fonda storicamente il rigetto dell’antisemitismo in occidente e in ogni paese civile. Ma se vogliamo sforzarci di essere obiettivi e razionali – premessa che di questi tempi, mi rendo conto, taglia fuori quasi tutti – dovremmo riconoscere l’esistenza di una inquietante simmetria: da un lato coloro che non hanno aspettato un giorno per gridare immediatamente al genocidio, decisi a dare per buona qualunque cifra e qualunque accusa proveniente da Hamas, nella convinzione che dopo il 7 ottobre Israele non avesse diritto di sparare un solo colpo nemmeno per tentare di salvare gli ostaggi; dall’altro coloro per cui non sembra esserci limite alla legittima risposta israeliana, nella convinzione che dopo il 7 ottobre Benjamin Netanyahu sia autorizzato a fare praticamente tutto.
Ma più il tempo passa, più Israele continua la sua offensiva, più sale il numero delle vittime, comunque le si conteggi. Di conseguenza, anche le accuse che un anno fa potevano apparire più esagerate, si fanno giorno dopo giorno più credibili, mentre la posizione del governo Netanyahu si fa sempre meno difendibile e l’isolamento di Israele più completo e soffocante. Le parole del Papa andrebbero considerate soprattutto come il dito che indica la luna, cioè questa pericolosissima spirale, che gli amici di Israele per primi dovrebbero osservare con preoccupazione.