La lotta all’evasione ha recuperato la somma record di 20 miliardi. Ma ora il governo la sconfessa e punta su strumenti meno efficienti

“I dati alla mano” non tornano. Un bel problema per Giorgia Meloni, che vuole usare i dati in questione, relativi alla lotta all’evasione, per “riscrivere” le regole del rapporto tra lo Stato e il contribuente. Perché, è il ragionamento della premier, i risultati direbbero che le misure adottate fino ad oggi “non sembrano aver sortito grandi effetti”. Ma i numeri più aggiornati sembrano affermare altro.

I dati, dunque. Sono quelli dell’Agenzia delle Entrate: nel 2022 sono stati recuperati 20,2 miliardi. Mai così tanti soldi sono finiti nelle casse dello Stato. Più della metà, 10,9 miliardi, è arrivata dai versamenti diretti; somme che i cittadini e le imprese hanno versato al Fisco dopo aver ricevuto un avviso da parte dell’Agenzia, che ha riscontrato anomalie nelle dichiarazioni. Altri strumenti, cari alla destra, sono risultati invece fallimentari: appena 300 milioni dalla pace fiscale. Insomma l’accertamento funziona. E non è solo una questione di gettito, ma anche di effetti sui comportamenti dei contribuenti. “Numerosi studi dimostrano che gli accertamenti fiscali hanno un effetto positivo sulla compliance dei contribuenti controllati, che tendono ad evadere di meno”, spiega Alessandro Santoro, professore di Scienza delle finanze alla Bicocca.

L’accertamento non risolve del tutto il problema dell’evasione, che seppure sotto la soglia psicologica dei 100 miliardi (99,2 nel 2019, ultimo anno ufficiale), resta comunque imponente. È su questo dato che il governo insiste per cambiare strategia, passando da quelle che definisce misure “repressive” a norme “preventive”. Ma il nuovo schema è precario; guarda solo alle grandi imprese, con il rafforzamento dell’adempimento collaborativo. Per i piccoli contribuenti, invece, non sono previsti nuovi interventi. Se non quelli che cancellano le sanzioni penali per l’evasione di necessità, quando non si riesce a pagare le tasse per cause oggettive, e in caso di dichiarazione infedele.

Senza dimenticare che già il sistema attuale promuove azioni preventive: l’anno scorso sono state 2,5 milioni le lettere che le Entrate hanno inviato ai contribuenti per avvisarli degli errori nelle dichiarazioni, consentendogli di regolarizzare la propria posizione con sanzioni ridotte. Un procedimento virtuoso che ha registrato una crescita importante negli ultimi anni, con le lettere che sono passate da quasi 1,5 milioni nel 2017 a 2,5 milioni nel 2022, con l’incasso che da 1,3 miliardi è arrivato a 3,2 miliardi.

Nella delega fiscale compare anche il concordato preventivo biennale, uno strumento destinato alle partite Iva e alle piccole e medie imprese. Il governo l’ha presentata come una forma di conciliazione preventiva: l’amministrazione prende i redditi dell’imprenditore degli anni precedenti e stabilisce l’imposizione, senza chiedere altro per due anni. E senza procedere a nuovi controlli a posteriori. La misura rischia però di tradursi in un vantaggio per gli evasori; di fatto chi aderisce al meccanismo potrebbe infatti ritrovarsi a pagare meno tasse rispetto al dovuto. E questo perché la delega non indica le soglie di reddito oltre le quali il concordato decade: la piccola impresa, quindi, potrebbe aumentare i propri redditi e versare meno imposte perché l’ammontare è stato definito a tavolino e non può essere modificato. Annullando così il confine tra il Fisco amico e l’evasione.