Spesa insopprimibile al 90% poveri e RdC

(Enrico Marro, 17/10/22 Corsera)
I poveri in Italia sono 5,6 milioni, il triplo del 2007: il Reddito di cittadinanza ne raggiunge la metà
In 14 anni, dal 2007 al 2021, il numero di persone in povertà assoluta è più che triplicato, passando da 1,8 milioni a 5,6 milioni (il 9,4% della popolazione), di cui 1,4 milioni ha meno di 18 anni. E la situazione potrebbe peggiorare con l’aumento dell’inflazione, nonostante il Reddito di cittadinanza, che non va assolutamente abolito, ma deve essere profondamente riformato, perché, come funziona ora, raggiunge meno della metà dei poveri, premia i single e il Mezzogiorno, penalizza le famiglie numerose, quelle straniere e il Centro-Nord. Sono i principali risultati del Rapporto 2022 della Caritas su povertà ed esclusione sociale in Italia.

AUMENTANO I LAVORATORI POVERI
Nel nostro Paese ci vogliono 5 generazioni per uscire dalla povertà, nel Nord Europa ne bastano 2. Nel 59% dei casi la povertà è ereditata dalla famiglia di origine. Preoccupa anche il continuo aumento della povertà assoluta nelle famiglie dove la persona di riferimento lavora: oggi sono il 7% contro il 3,1% del 2011. Percentuale che sale al 13,3% (contro il 6,1% del 2011) tra le famiglie dove chi lavora è un operaio o assimilato. Il profilo medio del povero entrato in contatto con la Caritas (più di 227mila quelli aiutati) è quello di una persona di 46 anni, in due casi su tre con figli, prevalentemente straniera nel Nord e italiana nel Sud, che vive in affitto nel 64% dei casi, che non lavora in un caso su due mentre nel 23,6% dei casi ha un’occupazione, spesso saltuaria e comunque insufficiente a farla uscire dalla povertà.

SECONDO LA CARITAS
«Il Reddito di cittadinanza deve servire per aiutare i poveri, non può risolvere i problemi strutturali delle politiche industriali e del mercato del lavoro».

PROPOSTE DI RIFORMA
Come ha detto anche l’economista Tito Boeri, il Reddito di cittadinanza «ha limiti molto rilevanti», ma «abolirlo sarebbe gravissimo». Come riformarlo? La Caritas e lo stesso Boeri hanno ricordato le proposte che circolano da tempo. Bisognerebbe rivedere la scala di equivalenza, che oggi premia i nuclei familiari fatti di una sola persona e penalizza le famiglie numerose, dove invece ci sono più poveri; andrebbe ridotto da 10 a 5 anni il requisito della residenza continuativa in Italia, altrimenti la gran parte delle famiglie i immigrati, anche queste con una più alta presenza di poveri, non può essere aiutata; ci vorrebbe un maggior coinvolgimento dei comuni, perché molti beneficiari del Reddito non sono collocabili al lavoro ma hanno bisogno di interventi di inclusione sociale; andrebbero modificati gli incentivi al lavoro, consentendo una certa cumulabilità tra Reddito e retribuzione.

BERLINO, PARIGI E ROMA

Per contrastare il caro bollette, ricorda la Cgia su dati dell’Ufficio Studi, “nell’Ue a 27 solo gli esecutivi di Germania e Francia hanno stanziato in termini assoluti più risorse di quelle messe in campo dal governo Draghi. Se tra settembre 2021 fino ad ora Berlino ha approvato una spesa in piu’ anni pari a 264,2 miliardi di euro, Parigi, invece, ha destinato 71,6 miliardi, mentre il Governo Draghi ne ha erogati 62,6 miliardi.

AIUTI IN RAPPORTO AL PIL

Sebbene erogati in più anni è vero che le famiglie e le imprese tedesche potranno beneficiare su un ammontare complessivo di aiuti pari al 7,4 per cento del Pil. Tuttavia, va comunque ricordato che la Germania è la prima potenza industriale dell’Unione Europea, conta 24 milioni di abitanti in più del nostro Paese e solitamente affronta, dal punto di vista meteorologico, mesi invernali molto più rigidi dei nostri. Se, invece, analizziamo le risorse stanziate per mitigare il costo delle bollette di luce e gas in rapporto al Pil, l’unico paese che precede i tedeschi è Malta (7,7 per cento). Seguono la Germania (7,4), la Lituania (6,6), la Grecia (5,7) e i Paesi Bassi (5,3). In termini complessivi, in questo ultimo anno i 26 paesi dell’Ue (non sono disponibili i dati dell’Ungheria) hanno messo a disposizione di famiglie e imprese 566,2 miliardi di euro, pari al 3,9 per cento del Pil europeo.

SPESA PUBBLICA COMPLESSIVA 1029 MILIARDI

Quanto al 2023, la Cgia sottolinea che se l’intenzione dell’esecutivo sembra quella di non ricorrere a nuovo debito, le risorse per contenere il caro bollette non potranno che essere recuperate “attraverso un taglio alla spesa pubblica, visto che appare impensabile poter agire sul fronte delle entrate”. Stando ai dati pubblicati nel Nadef 2022, quest’anno la spesa pubblica complessiva (includendo quindi anche gli interessi passivi) “dovrebbe sforare il tetto dei mille miliardi, a 1.029 miliardi di euro. Cifra, quest’ultima, in aumento di 43,1 miliardi rispetto al 2021. Le entrate finali, per contro, raggiungeranno quest’anno la soglia dei 932,5 miliardi di euro, in aumento di 75,2 miliardi rispetto al 2021”.

IL 90% DELLA SPESA COMPLESSIVA E’ INCOMPRIMIBILE

Ora, tenendo presente che quasi il 90 per cento della spesa complessiva è pressoché incomprimibile (pensioni, prestazioni sociali, sanità, interessi passivi, retribuzioni dei dipendenti pubblici, consumi intermedi, investimenti, etc.), non sarà per nulla facile con la prossima legge di bilancio recuperare le risorse da destinare al contenimento dei costi delle bollette 2023 a famiglie e imprese”.

(La Cnews) IL RDC IN CALABRIA

Parla Vittorio Daniele, professore di Politica Economica all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro

Nel 2021, in Calabria, i nuclei familiari percettori di Rdc sono stati 103 mila. Quest’anno, fino ad agosto, sono stati 98.539 per circa 224 mila persone interessate, che salgono a 232mila se includiamo anche la pensione di cittadinanza. L’importo medio erogato del Rdc è stato di 567 euro mensili. Nel solo mese di agosto, in Calabria sono stati erogati circa 42 milioni di euro sotto forma di Rdc. Ipotizzando che il numero di percettori sia costante, il Rdc erogato annualmente in Calabria si aggirerebbe sui 500 milioni di euro. Soprattutto nei piccoli centri, questa spesa contribuisce a sostenere l’economia locale. C’è, dunque, un impatto macroeconomico per questa misura che, l’anno scorso, ha assorbito in tutta Italia quasi 9 miliardi di euro, che per circa il 70% sono andati alle regioni meridionali».

LA SOGLIA DI POVERTA’

«Sicuramente il Rdc riduce la povertà, anche se una quota di poveri, che l’ultimo Rapporto della Caritas stima attorno al 55%, ne rimane esclusa. Si tratta soprattutto di stranieri, che non accedono ai sussidi perché residenti in Italia da meno di dieci anni. Per evitare fraintendimenti, bisogna, però, chiarire la definizione di povertà. Nel Sud, una persona è assolutamente povera se ha una spesa per consumi inferiore a 576 euro al mese. Per una famiglia di due adulti e due bambini, la soglia di povertà è di 1.250 euro mensili. Questa soglia varia a seconda della dimensione demografica dei comuni (è maggiore per le città più grandi) ed è del 20% più alta al Nord, in ragione del più elevato livello dei prezzi. Secondo le statistiche ufficiali, nelle regioni meridionali l’11% delle famiglie è in condizione di povertà assoluta e sicuramente una larga parte percepisce il reddito di cittadinanza. In Calabria, le persone che fanno parte dei nuclei familiari che percepiscono il Rdc o la Pensione di cittadinanza rappresentano il 13,5% della popolazione calabrese. Povertà non significa, però, solo carenza di mezzi economici. Spesso, la povertà è causa di problemi e dissidi familiari e si accompagna a una condizione di disagio, se non di vergogna, che coinvolge anche i bambini. Il Rdc contribuisce ad alleviare questi problemi, dà la possibilità di una vita più dignitosa, restituisce anche una certa serenità alle famiglie e, in alcuni casi, riduce rischi di devianza sociale. Una funzione sociale importante, rilevante soprattutto nei quartieri più poveri delle grandi città».

COSTO DELLA VITA A NORD E SUD

Tra una città del Nord e una del Sud la differenza nel livello medio dei prezzi è del 20% o ancora maggiore, a seconda delle città considerate. Di conseguenza, nei piccoli centri del Sud il sussidio consente di sostenere spese difficilmente sostenibili al Nord. Tuttavia, questa differenza nel potere d’acquisto non è sufficiente a spiegare come mai in Calabria il 13% delle famiglie benefici del RdC mentre in Lombardia il 3,5% e in Veneto solo il 2%. È evidente che la scelta tra il Rdc e un’occupazione non dipende da ragioni culturali o antropologiche, come vogliono far credere alcuni, ma dalla specifica situazione del mercato del lavoro regionale. È la gracilità del sistema produttivo, non il Rdc, all’origine delle distorsioni del mercato del lavoro meridionale. Vede, in passato parte del problema occupazionale al Sud era risolto attraverso le assunzioni nel pubblico impiego. Oggi questo non è più possibile, così il Rdc offre un sollievo alla disoccupazione, alla sottoccupazione e alla povertà che ne deriva».

RdC E LAVORO NERO
«A quali condizioni una persona è disposta ad accettare un lavoro in nero, sottopagato o forme di sfruttamento? Quando quella persona, magari con figli a carico, non ha altre fonti di reddito e, nel contempo, c’è una lunga fila di disoccupati potenzialmente disposti ad accettare lo stesso lavoro. Ecco, il lavoro nero e lo sfruttamento dipendono dalla condizione di bisogno, dalla mancanza di alternative per vivere. Il Rdc rappresenta un “salario di riserva”. Dà a chi lo percepisce la possibilità di rifiutare la precarietà e lo sfruttamento che, al Sud, può assumere forme particolarmente odiose, come la restituzione di parte del salario risultante in busta paga al datore di lavoro. In sostanza, il Rdc ha dato ai disoccupati un potere contrattuale che consente loro di rifiutare lo sfruttamento in tutte le sue forme. È pur vero che se l’importo del Rdc è basso, il percettore può essere spinto ad accettare lavori in nero per integrare un reddito insufficiente, anche a rischio della revoca del sussidio. Ma se il Rdc non ci fosse, il numero di disoccupati disposti ad accettare un lavoro in nero per poter vivere,sarebbe certamente maggiore. Dunque, sotto quest’aspetto, l’effetto del Rdc è positivo. La sua efficacia dipende, però, anche dai controlli che vengono fatti».

CORRETTIVI AL RDC
«Ritengo sia possibile introdurre dei correttivi, come spesso accade quando una misura viene sperimentata sul campo. Si possono modificare, per esempio, i requisiti, per estendere il beneficio a persone povere che, al momento, ne risultano escluse. Si può modificare il Rdc per fare in modo che non disincentivi chi lo percepisce ad accettare proposte di lavoro, anche se per brevi periodi. Andrebbero rafforzati, poi, i controlli per evitare truffe o opportunismi. Si può, poi, ragionare se sia opportuno dare il reddito a giovani in condizione di poter lavorare e che, proprio perché sussidiati, potrebbero essere incentivati a non formarsi e a non attivarsi per cercare un lavoro.

«Il problema al Sud non è quello di far incontrare domanda e offerta di lavoro, ma è la carenza strutturale di adeguate opportunità d’impiego. Nelle regioni settentrionali, dove queste opportunità ancora ci sono, non c’è bisogno di questo strumento per trovare un impiego.