MENO MALE CHE C’E’ IL MERCATO (A. De Nicola)

Nei giorni convulsi in cui si tentava di formare un governo, molte voci si sono levate contro “la dittatura dello spread” o quella dei mercati. I più sofisticati erano in grado di identificare oscure manovre speculative di ambienti internazionali ostili all’Italia. Altri si sono chiesti come mai la lotta più efficace prima contro Berlusconi e poi contro un pericoloso governo “di estrema destra” fosse il frutto non della coscienza democratica del popolo, ma della fredda razionalità di un traderse non di un algoritmo.
La logica da cui scaturiscono queste affermazioni è antitetica: da una parte si pensa che il mercato sia una specie di entità metafisica che segue una sua spietata razionalità e per di più non infallibile (“Nessuno si è accorto della crisi nel 2007”). C’è chi invece crede che il mercato sia manipolabile a piacimento da Grande Finanza, Banche, Europa o i Dodici Savi di Sion.
Ebbene né l’una né l’altra concezione reggono. Infatti, che il mercato non sia infallibile è la scoperta dell’acqua calda: l’interazione di milioni di individui e imprese non è guidata da una mente unica, onnisciente o fallace che sia. Solo Platone potrebbe pensare a un’entità superiore di filosofi- trader, mentre invece è proprio perché siamo ignoranti che dobbiamo essere liberi di sperimentare, sbagliare, imparare.
Ciò detto, il mercato finanziario, sia borsistico che dei titoli di Stato, è tuttora il meccanismo meno imperfetto, perché le decisioni sono assunte incorporando tutte le informazioni disponibili. Nessuno può dire di sapere qualcosa in più della platea degli operatori, a meno che non sia in possesso di informazioni privilegiate (e abbia voglia di fare insider trading, attività proibita). È vero peraltro che il mercato finanziario è percorso da esuberanze (o depressioni) irrazionali: gli studiosi di economia comportamentale hanno chiarito come in molti casi si scelga sotto impulsi non logici. Non si riesce a spiegare, però, perché un governo dovrebbe essere meno irrazionale, considerando che ha meno informazioni del mercato, in ritardo, ed è mosso da motivazioni politiche e non di efficienza.
Veniamo ai Savi di Sion pronti a complottare contro l’Italia. In finanza certamente agiscono gli speculatori.
Ma questi ultimi non sono la malattia, bensì il suo sintomo. Come mai nessuno attacca il debito pubblico olandese, austriaco o spagnolo?
Il mercato siamo noi, famiglie e imprese il cui risparmio e contributi pensionistici vengono utilizzati da noi stessi o da fondi istituzionali e banche per assicurare un rendimento decente secondo la logica del Trap: “Primo, non prenderle”.
Pertanto, gli operatori finanziari, se ritengono che ci sia instabilità politica o che si preannuncino provvedimenti dannosi per il risparmio, il deficit o le riforme, diventano prudenti e vendono o non acquistano alle aste i titoli del debito pubblico; il governo per convincerli a comprare deve alzare i tassi di interesse e perciò il dannato spread, il differenziale tra i nostri Btp e i Bund tedeschi. Insomma meno male che c’è il mercato, termometro di cui tutti noi rappresentiamo il mercurio, che ci segnala la febbre. Con il nuovo governo abbiamo ottenuto stabilità e di conseguenza la temperatura è scesa e la Borsa si è un po’ ripresa. Il prossimo bollettino medico lo avremo alle prime applicazioni del Contratto. Vedremo. (Alessandro De Nicola, Repubblica, 4/6/2018)