Tutto il Var e il calcio minuto per minuto descritto da Atturo

Emanuele Atturo, nato a Roma (1988), laureato in Semiotica, caporedattore de l’Ultimo Uomo ha scritto nel novembre 2024 un saggio intitolato “Processo al Var“. Essendo attualissimo (e lucidissimo) ma troppo lungo evito di riprodurlo per intero. Voglio solo, a mò di sintesi, riportare alcuni brani cominciando da questo:

Nel tentativo illusorio di servirsi della tecnologia per creare un calcio più giusto, il VAR ne ha creato uno più caotico, casuale e imprevedibile. Un calcio in cui la componente regolamentare e giuridica è più pesante, e ci fa parlare ancora di più di essa trascurando le altre componenti del gioco. Riusciamo a riconoscerlo? Siamo sicuri che è quello che vogliamo? Riusciamo a ricordarci che avevamo introdotto il VAR per raggiungere degli scopi opposti?

Ora (prima di ridare la parola ad Emanuele Atturo) intendo aggiungere alcune mie considerazioni dal momento che tutto il discorso che fa Atturo  lo sottoscrivo parola per parola. Quando lui scrive:

“Si parla di arbitri per litigare, per amore della polemica, perché è un discorso di per sé divisivo. Forse inconsciamente abbiamo voluto introdurre il VAR proprio per discutere di più” (soprattutto in una Italia dove domina il complottismo a tutti i livelli, da Mani pulite a De Magistris, dalla trattativa Stato/mafia ai no vax; nel calcio l’esempio è stato Calciopoli)

sono in totale accordo. Uno come me era entusiasta dell’introduzione del Var così come ero entusiasta di internet, ma ora riesco, dopo un pò di anni, a capire che la tecnologia risolve alcuni problemi ma ne apre altri. Le tecnologie non apportano solo vantaggi, ma anche svantaggi. Internet ha introdotto mail e social, e consentito all’uomo della strada di prendere la parola. Prima c’erano quelli che parlavano in tv e scrivevano sui giornali, ora scriviamo tutti, parliamo tutti. E’ un progresso? Credo di sì, ma si sono aperti altri problemi, dal momento che il diritto di parola dato a tutti ha diffuso il populismo e la demagogia è aumentata invece di diminuire. L’intelligenza artificiale è ormai una realtà, ci aiuterà molto ma provocherà anche disastri, e non solo occupazionali. Sul punto vorrei dire solo che per me resta sempre da definire la questione principale: come limitiamo il potere attraverso un sistema di regole (rule of law)? Nella storia dell’umanità sappiamo che quando qualcuno ha assunto troppo potere piegando le regole a suo uso e consumo l’umanità ha sofferto. Ogni potere va controbilanciato, altrimenti le conseguenze sono per lo più negative. Adesso torno a parlare di Var, che è una macchina ma pur sempre governata da arbitri. Uno va in campo e due stanno dietro al Var (lo stesso commentatore Marelli di Dazn è un ex arbitro che fa parte della lobby). Il potere chi ce l’ha? La macchina? No, la classe arbitrale. Per cui se non si fanno regole semplici che limitano il potere della classe arbitrale a favore del gioco, non ne usciamo. Gli arbitri col Var si stanno facendo le loro regole e le cambiano settimana dopo settimana, come vogliono. Come spiega Atturo, non solo le norme “indicali” devono essere rispettate: le dimensioni dei campi devono essere determinate, devono essere quelle e basta. Anche le regole procedurali: sul fallo di mano, sulla violenza. Sui rigori.

(Atturo) Se le regole devono essere al servizio del gioco, che senso di giustizia viene rispettato segnalando un fuorigioco microscopico? Cosa stiamo correggendo?

La regola del fuorigioco esiste per non concedere troppo vantaggio agli attaccanti sui difensori, ma che vantaggio trae l’attaccante che è avanti di un mignolo, di una frazione della spalla, di una parte del proprio apparato genitale? Anche qui esiste quindi uno squilibrio tra grandezza dell’infrazione e della sanzione, che finisce per andare a discapito di un gioco più giusto e divertente.

Di fronte a gol annullati per segnalazioni così microscopiche, ci sono i “frustrati” e “legalisti”. Quelli che dicono che così non è calcio, e altri che invece non capiscono come ci si faccia a lamentare dell’unico parametro oggettivo dell’abitraggio calcistico. Avere un punto di riferimento più oggettivo possibile è importante per non abbandonarsi al caos; una norma va pur trovata e cosa ci sarebbe di meglio di quella attuale?

Solo che la FIFA, a quanto pare, non è d’accordo. Il fuorigioco così minimo non rispetta un senso di giustizia, e non favorisce lo spettacolo, e allora si sta sperimentando una nuova norma che possa favorire di più gli attacchi. Il suo promotore è il consigliere FIFA, Arsene Wenger, che ha dichiarato: «C’è spazio per cambiare la regola e impedire che si finisca in fuorigioco per il naso». Nella riforma, sperimentata in alcuni campionati giovanili, si è in posizione regolare finché una parte del corpo con cui si può segnare è ancora in gioco: cioè tutto il corpo (inteso come “parti con cui si può far gol”) deve essere in fuorigioco. Per metterla giù in modo semplice, la regola della “luce fra i corpi”, anche se non è del tutto esatto definirla in questo modo.

La riforma di Wenger è stata rilanciata dal presidente della FA David Dein – che ha definito l’attuale regola “problematica” e “da cambiare” – ma sta trovando qualche oppositore, come Luis Figo, che sostiene che avvantaggi troppo gli attaccanti.

Bisogna notare che la nuova regola non cancellerebbe le polemiche sulle molecole: luce o non luce, sempre di millimetri si finirà a parlare. L’idea è di creare una situazione meno punitiva per gli attaccanti: aumentare il vantaggio di spazio e tempo che questi devono prendersi sui difensori prima di venire puniti. D’altro canto forse si sottovalutano gli effetti indesiderati: si vuole favorire lo spettacolo concedendo più spazio agli attaccanti, ma siamo sicuri che una regola simile non spinga in realtà le difese a giocare più basse, a prendersi meno rischi, e a generare quindi partite più difensive?

È un dibattito interessante, che abbiamo portato avanti in questa puntata del podcast per abbonati Uno contro uno, e che dimostra due cose.

Che fare? Prima cosa: de-penalizziamo i contatti in area

La prima è che l’oggettività di una norma non rispetta sempre l’ideale di giustizia che cerchiamo in campo. Talvolta, anzi, una regola “troppo oggettiva” rischia di diventare astratta e di non servire più l’essenza del gioco ma solo sé stessa. Questo caso del fuorigioco è chiaro: che principio di giustizia stiamo rispettando fischiando il fuorigioco di un millimetro?

La seconda cosa interessante, da notare, è che l’introduzione dell’occhio oggettivo del VAR ha modificato così a fondo le dinamiche di gioco da spingerci a riflettere sul regolamento. È possibile che la regola del fuorigioco cambi per sfuggire all’occhio troppo punitivo del VAR: in fondo siamo sempre noi a deciderlo.

Se il fuorigioco può cambiare, anche i calci di rigore possono farlo. Su Ultimo Uomo ci siamo spinti fino a riflessioni radicali: abolire il calcio di rigore, perché no. Il gol deve essere una cosa sudata e meritata, si scrive su questo recente editoriale del Guardian, e il VAR magnifica l’ingiustizia.

Ogni anno si gira attorno al calcio di rigore con qualche lieve modifica sul reato. Bisognerebbe concentrarsi invece sulla sanzione. La “massima punizione” dovrebbe, appunto, punire il “massimo reato”. E questo non può essere un contatto fortuito tra un piede e l’altro in un’azione scarsamente pericolosa; non può essere un tocco di mano accidentale su un cross partito a distanza di pochi centimetri; non può essere una leggera spinta su un giocatore che nemmeno è detto che possa prendere il pallone.

La “massima punizione”, il rigore, che viene segnato l’80% delle volte (siamo al massimo storico in Premier League) e offre un vantaggio incommensurabile alla squadra che lo ottiene, dovrebbe sanzionare un fallo su un giocatore che ha davvero buone possibilità di fare gol. Un giocatore che ha un’occasione chiara, che è giusto restituire con un calcio di rigore. Deve essere un evento davvero straordinario. Per tutto il resto dei contatti che si consuma in area, invece, si può continuare ad assegnare la sanzione che esiste fuori dall’area: il calcio di punizione. Un tiro con una barriera e i due tocchi. Un tipo di sanzione oggi estremamente rara, ma che aiuterebbe ad assecondare le sfumature del regolamento con una sanzione più sfumata. L’arbitro potrebbe utilizzare il VAR, talvolta, per decidere se un’occasione era chiara oppure no, ma si tratterebbe di una casistica limitata, e che limiterebbe gli interventi del VAR.

Chiaramente non si esce qui da un certo grado di valutazione soggettiva: è sempre l’arbitro che deve discernere qual è un’azione pericolosa e quale no. Quando il tocco di mano è stato volontario e ha impedito a una squadra di segnare. Sarebbe un modo per adeguare il regolamento allo strumento e per diminuire l’incidenza del calcio di rigore – e quindi del VAR, che sui rigori trova l’incidente più grande.

Dico questo se davvero vogliamo limitare gli effetti troppo punitivi del VAR per inseguire un principio di giustizia. Non è detto che dobbiamo farlo. Nel calcio il peso del caso è più grande di quanto siamo disposti a credere; e il calcio di rigore concesso col VAR – i “rigori moderni” li definisce Mourinho, i “rigorini” dicono altri – aumentano il peso del caso, e smuovono con l’imprevisto partite che stavano avendo un andamento più razionale e magari anche più noioso.

Questo è un altro effetto che sottovalutiamo, anche se avendo a che fare con l’estetica è più soggettivo: il VAR ha reso le partite più imprevedibili e quindi spettacolari.

Mi viene in mente un grande classico della Champions League recente: la semifinale Manchester City-Tottenham del 2019. Nei minuti finali il VAR corregge due decisioni: convalida un gol erroneamente annullato a Llorente che ha portato il Tottenham sul 4-3, e poi annulla il 4-4 del City segnato da Sterling. L’attaccante era partito con mezzo piede in fuorigioco a inizio azione, anche se la palla non era diretta a lui. Un annullamento cervellotico e, almeno dal mio punto di vista, ingiusto. Eppure chi ha guardato la partita in diretta non dimenticherà il divertimento vissuto in questo sali e scendi emotivo, attraverso questi plot twist continui, in queste sensazioni provate, rimangiate, o provate due volte.

Conosco dei feticisti del VAR che amano esultare due volte quando un gol della propria squadra viene prima annullato e poi convalidato. Una sfumatura emotiva complessa, in cui la felicità improvvisa del gol si mescola con la frustrazione e la paura della gioia, e poi di nuovo la negazione di quella pausa e allora il sollievo. Un’emozione abissale simile a quando siamo preoccupati per delle analisi cliniche ma una volta ritirate si rivela essere tutto a posto.

Il Var ci fa litigare? E allora viva il Var!

Il calcio esiste da 164 anni e da 164 anni discutiamo di arbitri. Il VAR non ci piace perché ci permette un’applicazione più giusta del regolamento, ma perché soddisfa la nostra sete voyeuristica sugli episodi arbitrali. Il VAR ha aumentato l’importanza del discorso arbitrale: si discute di più sugli episodi, o comunque più a fondo, con più immagini a disposizione, maneggiando un regolamento e dei protocolli sempre più ambigui e controversi. Addirittura la partita si ferma per verificare se c’è un calcio di rigore o un gol da annullare. Il gioco si interrompe per spalancare un teatro giuridico che, di fatto, è uno spettacolo nello spettacolo. Guardiamo Law&Order, guardiamo Un giorno in pretura, guardiamo Forum, e figuriamoci se non possiamo appassionarci a una partita di calcio che si mette in pausa per sbrogliare un caso giuridico.

Chi odia parlare di arbitri liquida il discorso come fosse un errore, un accidente tossico e parassitario. Qui su Ultimo Uomo abbiamo scelto di non parlare mai di arbitraggi perché vorremmo promuovere un modo non tossico di parlare di calcio, mentre intorno agli arbitri si genera spesso un discorso violento, disonesto e che trascura tutto il resto dell’esperienza calcistica – che invece, ci pare, è trascurata dalla maggior parte dei media. Attraverso la polemica arbitrale si genera un modo velenoso di vivere lo sport.

Eppure non si può negare che gli arbitri siano una parte fondante dell’esperienza calcistica. Dobbiamo ricordarci una cosa che scriveva anche Dal Lago sempre in Descrizione di una battaglia: chi va allo stadio, ma anche chi guarda le partite da casa, non può essere ridotto a qualcuno che “assiste” alla partita. Non è davvero uno spettatore ma una specie di giudice partecipante. In quella sfera giuridica porosa e imperfetta, piena di grigi e ambiguità, possiamo interrogarci su cosa è giusto e cosa è sbagliato ed emettere il nostro giudizio. L’esperienza del calcio è basata sull’interpretazione di quello che si vede in campo: la tecnica, la tattica, la morale e quindi anche il regolamento sono soggetti di questa interpretazione. E più un tifoso può interpretare, più si sentirà parte delle riflessioni che l’esperienza di una partita può generare: delle riflessioni sulla morale, sull’ideale di giustizia, sul ruolo del caso, sul rapporto tra individuo e collettività. Solo per citarne qualcuno. Nel calcio il grado di fatalismo è altissimo e per questo ogni decisione dell’arbitro è così delicata e drammatizzata dal pubblico.

Si discute sempre di come rendere più spettacolare e divertente il calcio dentro il campo, trascurando spesso che il calcio è divertente soprattutto per ciò che sta fuori, per il suo essere un fatto social totale. Per prolungare la sua influenza, le sue interpretazioni, le sue emozioni, ben oltre il tempo della partita.

Si parla di arbitri per litigare, per amore della polemica, perché è un discorso di per sé divisivo. Forse inconsciamente abbiamo voluto introdurre il VAR proprio per discutere di più. E ci siamo raccontati che avrebbe migliorato gli arbitraggi solo per discutere più animatamente. Parliamo di arbitri per aprire e ricucire conflitti simulati, per riflettere, per arrabbiarci e fare pace. Perché discutere di calcio, anche di arbitri, amplia lo spazio del gioco nella nostra vita, che sempre più è colonizzata dal lavoro e o da forme di produttività mascherate. Cosa c’è di più improduttivo e gloriosamente vuoto che discutere di un calcio di rigore?

Nel frattempo, mentre riguardiamo le immagini al ralenti, ricordiamoci di non litigare più di due o tre alla volta sennò non si capisce.