I compiti a casa fatti a scuola

Basta fare una ricerca su Google cliccando “compiti a casa” e si troverà l’argomento sviscerato da decenni in lungo e in largo. Un sito “Basta compiti” affida alla redazione un impegnativo decalogo (“ecco le 10 regole che dovrebbero seguire i docenti che li assegnano”). Cristina Fabbri e Carolina Tironi domandano su Erickson “Perchè dare i compiti a casa?”, non prima di aver premesso la famosa frase di Plutarco secondo cui la mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere. La dott.ssa Annabell Sarpato si occupa di come gestirli nel modo giusto premettendo che “la questione dei compiti a casa è sempre accesa”. Non manca neppure una voce di wikipedia e varie illustrazioni della normativa vigente.

Basta dunque un rapido sguardo per rendersi conto di quanti anni son passati discutendo e occupandosi di compiti a casa quasi fosse questo uno dei problemi più urgenti ed avvertiti da parte delle famiglie. Non mi sognerei di affermare che il problema, soprattutto in vista dell’estate, non si ponga, visto che tanti docenti fanno dell’assegno a casa il secondo postulato dell’insegnamento (il primo è spiegare, il terzo è interrogare). Ma ciò detto, basterebbe non esagerare e mantenere una misura, come in tutte le cose umane. Senza ogni volta dar l’idea di aver scoperto l’acqua calda.

Invece no, l’assegno a casa durante le vacanze degli studenti è uno dei tanti argomenti “piccolissimi” sui quali si ama discutere da decenni, e ritengo vada inquadrato nel nostro nazionale contesto politico-culturale. “De minimis non curat praetor” era una massima latina che ci dovrebbe sempre rammentare che non conviene dar troppa importanza alle inezie. Ma invece in Italia il circuito politico-mediatico ogni giorno e con cadenza periodica suscita polemiche e dibattiti su inezie, forse perchè le intelligenze artificiali presenti in ogni redazione segnalano quali siano gli argomenti “interessanti”. L’evasione fiscale o la riforma della pubblica amministrazione non possono suscitare dibattiti (in tv e sui giornali) quanto l’uso del pos, il tetto al contante o la “sindrome del Grinch”, come sopravvivere alle feste di Natale e godersi le vacanze (argomenti in voga mentre scrivo).
La nostra manìa e predilezione di discutere soltanto di minuzie, cose secondarie, pinzillacchere (come le chiamava Totò), ci distoglie dall’affrontare le cose davvero importanti. Se in una scuola, per rimanere in argomento, un preside si dedica a formulare circolari (le leggi dei presidi) concernenti il dress code degli studenti, magari avrà meno tempo da dedicare al bullismo e alle dipendenze, per segnalare soltanto due problematiche da affrontare con precedenza assoluta.
Non ci si può occupare di tutto, a scuola al governo o in un qualsiasi comune, ma le cose importanti dovrebbero avere la precedenza, lo si può affermare sfondando la porta aperta dell’ovvio.

Torniamo ai compiti a casa che, a mio parere, nella scuola ideale che ho in mente, non dovrebbero esistere per il semplice motivo che si dovrebbe studiare a scuola. Una volta usciti dall’edificio gli studenti dovrebbero tornare alla loro vita abituale, senza portarsi la scuola a casa. Sarebbe necessario strutturare una scuola che finisca verso le 17 e che nelle lezioni giornaliere ricomprenda il fare i compiti. Un servizio quindi che si interrompa per il pranzo (con mense interne o pasti da consumare in locali convenzionati) e che rivoluzioni i tempi delle lezioni. Gli esercizi non si assegnano per casa ma si fanno a scuola e il prof così, come avviene per ogni insegnante che faccia lezioni private, si rende conto osservandolo di “come” studia l’alunno.
Il problema nella scuola italiana sembra sempre essere “quanto” studia l’allievo (“suo figlio studia poco, signora”) e non il modo in cui fa gli esercizi o il tema, traduce, apprende la storia, disegna. Tutte operazioni alle quali il docente non assiste perchè si fanno o non si fanno a casa, avendo la scuola delegato il compito della sorveglianza/assistenza alla famiglia.

Se il docente non vede il suo studente mentre studia non può rendersi conto delle difficoltà che incontra, non può neppure dargli suggerimenti sul metodo di studio. Soltanto in sede di interrogazione si renderà conto degli effetti dello studio e se va male solleciterà i genitori a far intervenire un altro professore per fare il recupero.

Insomma, ci dovremmo proporre una scuola che non bocci nessuno (il contrario della scuola come fabbrica dei voti finti) ma faccia migliorare gli studenti sulla base delle situazioni personali di partenza. Allo scopo sarebbe utile che dopo due mesi di scuola uno scrutinio formalizzasse subito queste situazioni di partenza affinchè alla fine dell’anno si potessero misurare i miglioramenti intervenuti. La scuola che non boccia, non seleziona (premia o castiga) con i voti ma accompagna ogni alunno nel suo percorso procedendo in avanti. E’ quel fenomeno di personalizzazione che ormai tutti conosciamo e pretendiamo nella nostra vita quotidiana, si pensi alle tariffe per i cellulari che ormai incontrano le nostre esigenze individuali, e di cui la scuola deve farsi carico perchè venti studenti che cominciano la prima classe del liceo non partono tutti dallo stesso punto, come il curricolo formale farebbe credere. E ogni studente di primo liceo ha i suoi talenti, i suoi interessi, oltre alle competenze formali o informali, e si tratta, a scuola, di scoprirle, di curarle, di accompagnarle.
Una scuola che non boccia nessuno e che oltre alle spiegazioni (le mitiche lezioni frontali) consenta di fare i compiti così da finire verso le 17, offrirebbe davvero un servizio sociale alle famiglie che, non essendo tutte eguali, sono loro a creare, mantenere ed accentuare le differenze tra gli studenti. Due studenti seguiti a scuola (per fare i compiti) dallo stesso insegnante hanno le stesse opportunità formative, che non avrebbero invece se i compiti a casa li fanno seguiti o non seguiti da un genitore o da un altro insegnante o da un fratello. Questioni difficili, certamente, ma se non perdessimo tanto tempo nel dibattere cose irrilevanti potremmo vedere come fare, anche perchè esperienze significative ed innovative sono già presenti da diverso tempo sul territorio.
Le scuole italiane fanno tante cose oltre le lezioni (basta un’occhiata ai siti web), in genere i cd “progetti” e tutte le “educazioni”, e forse per questo non rimane tempo per fare altro. Ma ristrutturare i tempi del servizio scolastico per inserire nell’ora di lezione i “compiti per casa” è tematica sulla quale conviene riflettere.

NB) Sulla abolizione della bocciatura, collegata ad una scuola basata sulle competenze (che alla fine certifica), parole importanti le ha scritte il dirigente scolastico del Liceo Marinelli di Udine, Stefano Stefanel:

(…) Sarà necessaria una valutazione e una certificazione che descrivano attentamente tutti i percorsi in modo che si possano conoscere le reali competenze acquisite dagli studenti. Così si avrebbero, ad esempio, studenti che escono dai licei con il 100 e lode e studenti che escono con il 25, cioè con un semplice attestato di frequenza. Tutto questo collegato agli accessi universitari aperti solo a chi – in determinate materie – ha un voto alto. Per cui, ad esempio, se esco da un liceo scientifico con 4 in matematica non posso iscrivermi a ingegneria, dove ci vuole, poniamo, l’8. A quel punto pur provvisto di diploma devo andare a prendermi l’8 (al liceo o all’università), altrimenti a quella facoltà non posso accedere. A questo punto diventerebbe fondamentale e interessante sapere da che scuola o università viene uno studente, che percorso ha seguito, dove è di alto o medio livello e dove di basso livello. E gli unici “bocciati” sarebbero quelli che a scuola non ci vanno proprio e quindi diventano soggetti su cui si dovrebbe agire in primo luogo per via sociale.
Non credo sia molto complicato comprendere che questo sistema rivoluzionerebbe tutta la scuola italiana e – soprattutto – renderebbe evidenti, pubbliche e verificabili le valutazioni e le certificazioni delle scuole. Il voto perderebbe il suo valore e diventerebbe soltanto la
descrizione di un livello di competenza, come già avviene per i livelli linguistici (anche se questi livelli a scuola assurdamente convivono con i voti). E anche gli studenti che escono dal sistema con una bassa votazione potrebbero vedersi valorizzate alcune competenze.