Previsioni/ Riuscirà il pd a scegliere o preferirà il solito “ma anche”?

Magari cominciamo dalla domanda finale. Il Pd riuscirà a risollevarsi, riuscirà a darsi quella chiara e netta identità politica che non ha mai avuto ? La mia risposta a tale domanda cruciale in questo momento è negativa. Il Pd mi appare spaccato in due come una mela, e dunque ad ogg non è il luogo dove possa svilupparsi un dibattito vero sulla missione che esso deve avere. Al Nord così come al Sud. A Roma, al centro, ci sono le oligarchie, Franceschini con pochi altri capi bastone, che controllano il tutto e per li rami sino all’estrema periferia tengono tutto sotto controllo attraverso i loro luogotenenti. Per fare un esempio concreto per capirci, l’ex ministro Orlando in Calabria è rappresentato da Guccione di Cosenza.  Entrare nel pd in qualsiasi sezione per uno senza tessera significa oggi in pratica dover scegliere a quale capobastone affiliarsi perchè neppure il prossimo congresso  aprirà porte e finestre a forze nuove o significherà un reale azzeramento delle correnti ( il nome che veniva dato nella I repubblica ai gruppi di potere). Esso soltanto consoliderà un nuovo punto di equilibrio tra  le “sensibilità”, tra Franceschini, Orlando, Guerini e compagnia bella.

Il congresso sulla carta e in teoria potrebbe servire a trasformare definitivamente il Pd nella VI Stella dei grillini oppure a fare la scelta che sin dalla caduta del Muro non è stata mai fatta: diventare una partito laburista o socialdemocratico.

Tertium non datur, ma scommetto che le correnti tenteranno ancora una volta, per non scegliere in maniera netta, di applicare il giochetto del “ma anche” (6^ Stella ma anche laburista), tenteranno (e vedrete che magari ci riusciranno) di far fare la croce al diavolo e di conciliare riformismo e massimalismo. Se questo avverrà, il prossimo segretario (chiunque sia) continuerà ad essere ostaggio degli ennesimi potenti imbroglioni che fanno parte delle oligarchie. Tra le due opzioni nette e chiare la mia previsione è che prevarrà la terza via, attraverso la paralisi del “ma anche”, sommare due opzioni inconciliabili che non possono coesistere in Italia (quello che è invece fisiologico all’interno del partito democratico americano, ma solo perchè c’è il presidenzialismo, connotato che certa sinistra putiniana nostrana considera alla stregua di una dittatura) 

Dal punto di vista di Calenda e Renzi l’esito migliore del congresso sarebbe quello di un Pd che applicando le idee di D’Alema, Bettini e Orlando sia pronto ad allearsi con i 5 Stelle (lo chiamano campo largo). E’ molto probabile perchè nei momenti cruciali  sin dai tempi del Pci per scegliere la via giusta si lasciano guidare da una sola idea “stella polare”: mai avere nemici a sinistra. Dunque la direzione è quella. In questo caso il Pd “non potrebbe più nemmeno garantire la collocazione internazionale che prima delle elezioni aveva assicurato Enrico Letta. Il voto contro la risoluzione del Parlamento europeo che qualifica la Russia come stato terrorista da parte di tre eurodeputati del Pd, è il primo segnale di un possibile smottamento. Il rischio è che fra non molto tempo una parte del Pd ricominci a suonare un vecchio spartito: «La guerra in Ucraina? Tutta colpa degli americani».

La domanda che alle elezioni un partito serio dovrebbe porsi è la seguente: cosa conviene ai cittadini? La domanda sbagliata di un partito meno serio invece è: cosa mi conviene? ” Seguite questo  ragionamento sviluppato da Mario Lavia e che si può applicare alla Lombardia.

“…come diceva sempre il maestro di Cuperlo, Alfredo Reichlin: per i cittadini lombardi è meglio che governi Attilio Fontana alla testa della destra-destra o Letizia Moratti alla guida di un nuovo centro-sinistra (si noti il trattino) supportata quindi anche dal Pd?”.

“Ecco, la “contraddizione lombarda” del Partito democratico sta tutta qui: nel conflitto tra ragione e passione, in termini nobili, o tra fare politica e testimoniare, in termini più terra terra. Veramente in Lombardia la questione non è filosofica. Letizia Moratti ha preso politicamente le distanze dalla destra: «Non è più centrodestra – ha detto sabato al Festival de Linkiesta – è una destra con un po’ di centro, molto poco. A volte si ritrova su posizioni filo-Putin o a un’Europa sovranista. In quella “destra-centro” io non mi ritrovo».

La scelta della Moratti è dunque una rottura vera e propria, che a me ricorda molto quella che fece Montanelli con Berlusconi (e allora fu festeggiata e valorizzata). Molte volte è accaduto che dentro un rapporto di forze sfavorevole la sinistra abbia saputo cogliere queste rotture nel fronte avverso almeno per provare a vincere. Al contrario un Pd che pare aver smarrito l’attenzione che si deve prestare ai rapporti di forza, e che pensa solo a testimoniare di essere di sinistra (altrimenti quel ruolo lo gioca Conte con l’ennesima sua mascherata), può solo pensare ad una candidatura molto identitaria ma minoritaria come quella di Majorino. Ma se sei minoranza, come fai a vincere senza i voti di un pezzo della maggioranza? 

L’altro fatto importante di ieri è il “Manifesto laburista”, pubblicato sul Foglio, redatto da un gruppo di persone di diversa estrazione politica e sottoscritto per ora da diversi esponenti liberal del Pd veltroniano come Marco Bentivogli Stefano Ceccanti, Giorgio Gori, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Valeria Mancinelli, Tommaso Nannicini, Pietro Ichino. Non è nata una nuova corrente ma un polo di idee non accademico ma politico, questo sì.

I “laburisti” di fatto entrano nella dinamica congressuale dalla porta principale, quella dei contenuti, senza fare sconti circa la deriva del partito di Enrico Letta che sta proseguendo con una campagna che «rischia di impantanarsi presto nelle paludi di vecchi logiche»: quelle della lotta personalistica sulla base di veri incrociati che poco o nulla hanno a che fare con il confronto e lo scontro sulle idee .

Il Pd deve costruire una proposta politica – scrive Bentivogli – recuperando per questa via una rappresentanza soprattutto del mondo del lavoro, una proposta «incarnata da un leader» che lanci la sfida per la guida del governo, quando sarà.

Un  eventuale prossimo abbraccio del pd con i 5 Stelle sarebbe per il Terzo polo una benedizione.  Le prossime elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia dimostreranno la capacità di attrazione di Calenda e Renzi. Al netto di eventuali errori, il futuro del Terzo polo  non dipende da loro ma da ciò che accadrà sia nell’area del governo sia in quella dell’opposizione (cit. Panebianco).

Terzo polo, al momento, è soltanto un nome di comodo che indica un posizionamento politico (né con gli uni né con gli altri). Può diventare in futuro — come è nella ambizione dei suoi leader — un perno fondamentale della politica italiana? Vedremo, le altre opposizioni cercano già ora di bollare il Terzo polo come stampella del governo.

La mia speranza resta sempre quella di vedere almeno in tarda età  un pd che sceglie la strada riformista di un Olof Palme, e rompe definitivamente con i populisti di qualsiasi colore.

Il massimalismo al movimento operaio ha provocato sempre tanti guai e molti lo abbiamo compreso non ora ma in quel tempo in cui abbiamo cominciato a studiare la storia politica di Benito Mussolini.