Nelle intenzioni iniziali degli autori, il libro “La casta” era nato come una brillante inchiesta giornalistica, l’accurato catalogo di favoritismi e furberie varie, ma nel tempo ha cambiato pelle. È diventato il programma dell’antipolitica, la fustigazione di una categoria, quella de “i politici” (detta così, l’espressione è diventata un’infamia già solo a pronunciarla).
Nel sottotitolo del libro venivano descritti come “intoccabili”, pur nel Paese che certo non li ha mai amati. D’Annunzio aveva lanciato un pitale dall’aereo su Montecitorio. In concreto è così diventato un programma copiato punto per punto da apprendisti politici, smaniosi di costruire le proprie fortune sull’abbattimento di quelle altrui. Togliti tu che mi ci metto io.
Che la Terza Repubblica sia migliore della vituperata Prima quasi più nessuno è disposto a sostenerlo.
Gli eccessi dell’antipolitica sfuggita di mano, la perdita del rispetto istituzionale e umano, del buon gusto, non sono certo colpa di due scrittori, come non erano colpa dell’inventore della dinamite le stragi provocate dall’esplosivo. Lui, per redimersi, aveva comunque istituito un Premio per le cose buone fatte dall’uomo.
Anche Geppetto si è spaventato per gli eccessi di Pinocchio. Il libro è uscito quando non si poteva prevedere fino a che punto sarebbe arrivato il successo della setta dei meet up, l’orgoglio dei terrapiattisti, la scalata ministeriale di chi non crede allo sbarco sulla luna o vede complotti multinazionali nei vaccini. O scambia la Libia con il Libano, il Cile col Venezuela eccetera eccetera. Stella e Rizzo parlavano di politici disonesti, non di incompetenti che gridano “honestà-honestà” senza aver letto Benedetto Croce quando ricorda che l’onestà in politica è innanzitutto competenza.
Esisteva già il mito della democrazia diretta, ma chi mai poteva pensare che gli eredi della Democrazia cristiana e del Partito comunista italiano l’avrebbero assecondato votando all’unanimità non una riforma istituzionale – troppo complicato, e poi porta sfiga – ma un taglio lineare della rappresentanza con numeri tondi? «Che faccio, lascio?», come fette di prosciutto.
Sarebbe ingiusto addebitare a due giornalisti la colpa di aver scritto a loro insaputa il programma di un nuovo partito. Con soli 18 euro, chiunque poteva comprarlo e poi indignarsi onanisticamente in casa propria, oppure comiziare nei bar, oppure ancora infilarsi nella misteriosa piattaforma di una srl sconosciuta.
Prendiamo le pensioni, in un Paese in cui il 96% dei pensionati riceve di più di quanto versato, spesso moltissimo di più, anche l’intero importo. Massimo Giletti porta sempre in TV un panettiere che appartiene ad una categoria a cui leggi clientelari hanno consentito di andare in pensione dopo una vita di contributi molto limitati, e lo dipinge come un martire. Grottesco però usarlo come ariete contro i privilegi individuali, lui che personifica quelli di massa…
Peccato che i risultati pratici di questa strage della vecchia politica siano così così. È andata spesso come accadeva prima dell’invenzione della ghigliottina. Qualche volta il boia ha sbagliato mira e il risultato è stato da macellaio, non da professionista della pena di morte.
Si prendano le Province. Definite inutili, senza tanti complimenti, sono state decapitate nella parte politica. Via la rappresentanza, che sarà mai la democrazia, questi pensano solo alle solite poltrone. Ne è venuto fuori un pasticcio orribile. Pochi consiglieri, scelti non dagli elettori ma da altri membri della casta, rigorosamente non pagati. Intere aree provinciali non rappresentate e Presidenti travicello, accompagnati da “delegati” (mai dire Assessori, è roba da Prima Repubblica) che danno una mano volonterosamente. E la burocrazia, nel frattempo, tutta confermata, ad esercitare il potere vero, ridendosela sotto i baffi per i “delegati” senza potere che pretendono di comandare e devono solo rispondere alla Magistratura se cade un ponte a Lecco o vien giù una valanga in Abruzzo.
Bel risultato. Risparmio di circa un caffè all’anno per i contribuenti che non “pagano” più i consiglieri, e costi invariati per i funzionari. Dovevano essere assorbiti dalle Regioni, ma là gli stipendi sono più alti e i costi sarebbero aumentati troppo, altro che taglio.
Si potrebbero fare altri esempi. I vitalizi, l’ossessione delle “poltrone” (è il sostantivo più usato dai 5Stelle quando non vi sedevano), il risultato vero è di avere allontanato dalla cosa pubblica i migliori. Un conto è abolire le preferenze e un conto è diventare “pluriministro” avendo ottenuto qualche decina di voti su una piattaforma segreta. Non è un progresso.
Il materiale per costruire il secondo volume è quindi potenzialmente molto abbondante, e riesce persino ad attenuare l’efficacia della prima puntata. Abbasso le auto blu, certo, ma che dire del Presidente Fico che va un giorno in autobus, e mai più? O del Ministro Di Maio che fa il selfie al suo biglietto in economy per il giubilo di fans si spera poco numerosi, perché farsi prendere in giro non dovrebbe piacere a nessuno?
E che dire del pentastellato pescato nel Mississippi per presiedere l’agenzia del lavoro e che viaggia su e giù (in business, come è giusto), si rifiuta di rendicontare il fallimento del suo lavoro e risolve tutto giustificandosi perchè non sapeva – quando ha accettato l’incarico – che i CinqueStelle erano populisti e quindi avevano un certo “impianto retorico”? Nella Casta 1 c’era un capitolo intestato ad un commerciante di pesce diventato consulente per le Carceri del ministro della Giustizia, ma oggi c’è un compagno di scuola di Di Maio nel cda della più strategica azienda pubblica italiana, e un commesso di un negozio per animali incaricato di seguire il Next Generatio Eu per l’Italia intera.
Meglio fermarsi qui. C’è lavoro per Stella, Rizzo o chiunque vorrà cimentarsi nel bis. (Ho fatto il sunto di un articolo di Beppe Facchetti, su Linkiesta)
Angelo Maria Ripellino: «C’era un paese che conteneva tutti i paesi del mondo, / e nel paese un villaggio che racchiudeva tutti i villaggi del paese…»