Quando si può dire «è finita»?
Quando si può dire davvero “è finita”, quando i casi sono zero?
«Sì. Si può dire finita quando non ci sono più casi di una malattia che non è diventata endemica (cioè, ancora presente in quel territorio, ndr). Bisognerà vedere appunto se il coronavirus diventerà endemico, cioè se al di là dell’episodio con il picco più alto, la malattia continuerà nei mesi a venire a esistere, anche se in pochissime persone e magari con una virulenza minore dal punto di vista clinico», spiega Paolo Bonanni, professore di Igiene presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Firenze.
Le misure si potranno allora allentare?
«Il rischio è che quei pochi casi nuovi contagino i suscettibili, che sono ancora moltissimi, dato che il virus è nuovo. Le misure vanno mantenute per tempi più lunghi rispetto a quando si vede un calo significativo dei casi», dice Bonanni.
Potrebbe ricominciare tutto da capo?
«Potrebbe ricominciare tutto con una reimportazione dei casi da aree del mondo dove l’infezione ha avuto un andamento più ritardato. Il problema in generale è la non-sincronia dei focolai epidemici in tutto il mondo. Potremmo stare tranquilli quando vedremo una sostanziale riduzione del numero dei casi anche negli altri Paesi. Le misure vanno mantenute per un tempo significativamente lungo per poter essere sicuri che l’epidemia non riprenda», osserva Bonanni.
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet (una delle più autorevoli) “una volta che quattro o più infezioni sono state introdotte in una nuova sede, c’è una probabilità superiore al 50% che si verifichi un focolaio”. Forse una mano ce la darà l’estate ma non è ancora sicuro: alcuni studi convergono sull’ipotesi che il COVID-19 preferisca un clima fresco e asciutto rispetto a Paesi con clima caldo e umido. Un fenomeno che era già noto per il virus della SARS. Ma non basterà da solo questo fattore.
La seconda ondata potrebbe coincidere con l’autunno?
«Abbiamo l’esperienza del virus H1N1 di 10 anni fa che era una pandemia, anche se con conseguenze modeste: non è mai scomparso, dal 2009 tutti gli inverni abbiamo un certo numero di casi, proprio perché non abbiamo mai sviluppato un’immunità di gregge, ma lo abbiamo lo stesso “stoppato” anche se non del tutto. Ci aspettavamo un’ondata massiccia in primavera (si era sviluppato in novembre) ma non c’è stata. Non sappiamo cosa succederà con il coronavirus», conclude Bonanni.
Quali sono gli scenari futuri dell’andamento del virus?
«La speranza è che mantenga l’attuale relativamente limitata patogenicità e letalità e che non muti geneticamente. Le ipotesi in campo sono: il contenimento ha successo (come con la Sars); l’epidemia si estingue dopo aver contagiato il maggior numero possibile di persone (come per Zika); il virus perde di intensità e resta endemico come altri che continuano a circolare (come l’influenza)», afferma Walter Ricciardi, Membro italiano del Comitato Esecutivo dell’Oms e Consigliere del Ministro Speranza per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali.
Come arginare i nuovi casi?
Con un numero limitatissimo di nuovi casi di una seconda ondata – quale si spera siano -, avremmo le antenne alzate: saremo molto più attrezzati per valutarli, svelare le catene e isolare e testare i positivi. Non solo a livello di ospedali, macchinari, strumenti di protezione, che a quel punto saranno disponibili in quantità adeguate, ma saremo più attenti anche a livello famigliare. Il famoso “paziente 0” che non è stato mai trovato, probabilmente sarà invece subito individuato, saranno fatti tamponi ai contatti e isolate le persone a rischio. (Silvia Turrin, Corsera 26/3/2020)