A proposito dei 5 Stelle e della loro svolta politica, Jean-Claude Juncker ha richiamato l’esperienza della crisi greca. Nel gennaio del 2015 la coalizione di sinistra Syriza guidata da Alexis Tsipras aveva vinto le elezioni — vittoria poi confermata da un referendum consultivo in luglio — sulla base di un programma di netto rifiuto dell’austerità draconiana che i creditori volevano imporre al Paese. La situazione economico-sociale divenne però presto insostenibile e lo stato di allarme nella popolazione molto forte e diffuso. Tsipras decise allora di fare marcia indietro, escludendo dal governo il principale responsabile dell’atteggiamento intransigente che era stato sostenuto e piegandosi al diktat dell’Europa e dei mercati. (…) In Italia i partiti populisti al governo erano due e uno solo ha parzialmente mutato il suo indirizzo politico. Sono quasi patetici i tentativi pentastellati di negare la svolta programmatica che è stata compiuta: senza la (quasi) sicura prospettiva che le elezioni volute da Salvini li avrebbero fortemente ridimensionati, mai i 5 Stelle avrebbero imboccato la strada che li sta conducendo a rovesciare il loro messaggio elettorale e l’avventato programma di governo che avevano «contrattato» con la Lega. Si aggiunga che non c’è stata in Italia una crisi economico-sociale dell’intensità di quella greca, che inducesse l’intera popolazione a riflettere sulle conseguenze di uno scontro frontale con i mercati e l’Unione europea. Insomma, uno dei due populismi italiani ha attenuato obtorto collo i suoi aspetti meno accettabili. Ma l’altro è ancora vitale e virulento. Rallegrarsi dello scampato pericolo è comprensibile. Ma è necessario tener presente l’instabilità della situazione politica in cui il secondo governo Conte si troverà a operare. (…) Il governo giallo-rosso difficilmente sarà il buon governo che tutti ci auguriamo, capace di affrontare i veri nodi del declino del Paese. Sarà un governo di transizione, in cui si perderà molto tempo a smussare conflitti tra i partiti, pulsioni populistiche che allignano tra i 5 Stelle, aspirazioni irrealistiche presenti nella sinistra, forti diffidenze e intolleranze personali. E il populismo non sarà stato debellato: la sua versione più insidiosa, il sovranismo, è ancora dominante nella Lega e c’è da scommettere che Salvini gli darà voce con quanto fiato ha in corpo. Ma non potrebbero fare — la Lega e l’intera destra — lo stesso voltafaccia cui i 5 Stelle sono stati costretti per ragioni di pura sopravvivenza? Nella galassia della destra italiana non mancano le forze (persone, interessi, competenze) le quali hanno capito che non basta raccogliere voti su un programma inattuabile, ancor prima che pericoloso, e che solo da un governo che affronti i veri nodi del declino, quasi tutti italiani, può scaturire una uscita dal ristagno in cui siamo immersi da vent’anni. Berlusconi l’ha capito benissimo e continua a insistere su un programma di centrodestra accettabile in Europa e nel contesto economico-politico internazionale di cui siamo parte dal dopoguerra. Lui, vecchio populista ragionevole (mi si passi l’ossimoro), è da sempre convinto che al centrodestra i voti arriverebbero anche senza il bellicoso sovranismo di Salvini. Mirando alla pancia degli italiani con una demagogia sfrenata, Salvini si è rivelato uno straordinario raccoglitore di voti. Ma ha rivelato anche limiti di cultura politica difficilmente superabili. Non mi riferisco tanto alla gestione insipiente della crisi di agosto, da lui provocata: come immaginare che le pecore portate al macello non avrebbero reagito? Il calcolo era comunque azzardato, anche se poi è stata necessaria la reazione di Conte, tra i 5 Stelle, e quella di Renzi, tra i democratici — due salti mortali difficilmente prevedibili — per innescare la reazione. Mi riferisco soprattutto all’impossibilità di un raccordo tra la propaganda sovranista con la quale Salvini ha acquistato un ampio consenso popolare e un programma di governo attuabile nel contesto europeo e internazionale nel quale l’Italia è inserita (…) (sintesi di: Michele Salvati, L’instabilità politica nel’Italia dei due populismi, Corsera, 8/9/2019)