(Frasco) Il report di Dagospia che segue (in blu) cerca di dare una risposta a cosa abbia provocato la magaria che Giuseppi ha fatto ad Elly. La mia risposta è invece molto semplice e io la rinvengo in un vecchissimo dogma comunista: Nessun Nemico A Sinistra. Da quando io seguo la politica, da fine anni sessanta, ad oggi, l’ho sempre visto praticato. Attenzione, tale dogma trova la sua Causa o Origine in un tragico errore strategico del Pci, che è quello di continuare a suddividere il mondo in due settori, amici e nemici, anche dopo la caduta del Muro e il venir meno dei due blocchi contrapposti. Il muro nella testa invece non è mai caduto per cui ancora nel 2025 non ci sono avversari ma sempre e solo Nemici da abbattere.
(Quello che Carlo Levi chiamava “fascismo eterno” e Umberto Eco nel 1995 “Ur-fascismo, o fascismo inossidabile” sono teorie che andrebbero ripensate se ancora provocano tanti malintesi tipo lo slogan, anch’esso eterno, “Ora e sempre Resistenza”. Le teorie, anche le più solide, quando vengono ridotte all’osso e semplificate, possono diventare in pratica carnevalate).
Tale Causa (Amici/Nemici) ha varie conseguenze, una di esse è il dogma NNAS.
Il Pci e poi i suoi successori, nel momento in cui alla loro sinistra appare qualcosa, un solo esempio per capirci, i movimentisti del ’77, sino alle Sardine o i noglobal o i noTav e oggi i pacifinti a 5Stelle o verdastri alla Bonelli, hanno il riflesso condizionato che devono trovare con essi un accomodamento, una intesa. Nessun Nemico…è meglio farseli Amici se quelli si presentano dicendo che sono più a sinistra dei comunisti. I comunisti non li considerano mai avversari ma sempre potenziali alleati. La cosa è caduta spesso nel ridicolo, come quando D’Alema si mise a far la corte ai padani di Bossi (ricordate la costola della sinistra?), o come quando si cercò una intesa con un movimento che Grillo definiva nè di destra nè di sinistra (dando vita al Conte2 dove fior di rivoluzionari come Roberto Speranza si trovarono in pieno covid a presidiare la sanità. E a mandarci in Calabria commissari alla sanità incapaci). ****
(Dagospia) Ma che ha fatto ad Elly Schlein quel piacione doroteo con la pochette da avvocato di provincia, ignoto ai più finché non fu inventato premier del governo gialloverde dall’acume malconcio di Luigi Di Maio, registrato l’8 agosto 1964 all’anagrafe di Volturara Appula, ridente paesino pugliese, con il nome di Conte Giuseppe?
La segretaria con tre passaporti e una fidanzata sembra vittima davvero di un sortilegio di stampo masochista: d’accordo che anche un solo voto è necessario per strappare Palazzo Chigi all’Armata Branca-Meloni, quindi occorre l’unità dei partiti schierati all’opposizione, ma assistere al graduale e inesorabile ribaltamento dei ruoli, col Pd-Elly sottomesso al M5S di Conte, in barba del fatto che sia accreditato del doppio dei voti del movimento fondato da Grillo, ha fatto rizzare i capelli agli analisti della politica de’ noantri.
Come scrive acutamente Massimo Franco sul “Corriere della Sera”, “il paradosso è che i Cinque Stelle aspirano a imporre al Pd propri candidati agli antipodi del riformismo come condizione per appoggiarlo: sebbene i loro consensi stiano crollando un po’ dovunque. È come se fosse stato stipulato silenziosamente un patto che prevede un Sud a mezzadria tra Pd e M5S nelle cariche di vertice”.
Ciò che più fa infuriare le varie anime riformiste e moderate del Pd è appunto la politica subalterna dell’ex assessore regionale dell’Emilia-Romagna, issata al Nazareno dal solito Franceschini, ai diktat di Conte, trasformatosi in novello Ghino di Tacco di craxiana memoria: oggi se ne fotte delle Marche, l’importante è di essere riuscito a sfilare a quella sprovveduta “gruppettara ritardata” un Fico in Campania e un Tridico in Calabria.
Dopo la sconfitta marchigiana, dove i Cinque Stelle hanno raccolto uno striminzito 5%, due punti in meno rispetto al 7% delle precedenti regionali, davanti al quale la “pochette dal volto umano” non ha fatto un plissé né una autocritica, l’impertubabile e ambiziosissima Ducetta del Nazareno continua a predicare giustamente l’alleanza “testardamente unitaria” con ciò che resta dei grillini.
Ma Conte, il quale non ha mai abbandonato il sogno di un ritorno a Palazzo Chigi, se ne fotte, anzi è ben contento di togliersi dai piedi una candidata premier come Elly. Intanto, ha ottenuto tutto ciò che voleva: la candidatura di Roberto Fico in Campania e di Pasquale Tridico in Calabria. In cambio, però, non ha dovuto fare granché per sostenere Matteo Ricci, se non acconsentire, con i suoi distinguo e supercazzole, all’alleanza del “campo largo”.
Difatti, alla festa del “Fatto quotidiano”, a inizio settembre, ha voluto avvelenare i pozzi: “Con il Pd non siamo alleati, stiamo costruendo un progetto politico per mandare a casa Meloni. Dichiararsi pregiudizialmente alleati rischia di indebolire, siamo una forza diversa, abbiamo una storia diversa dalla Quercia coi cespugli intorno”.
Ma anche se Conte si fosse speso concretamente per l’ex sindaco di Pesaro, e non l’ha fatto (anzi, ha tenuto tutti in ghiacciaia per una settimana prima di dare il suo via libera a Ricci dopo l’avviso di garanzia), non avrebbe cambiato granché: Peppiniello Appulo non ha mai posseduto la leadership capace di influenzare la “base” dei Cinquestelle, al massimo puo’ tenere in riga la dirigenza a lui fedele.
Insomma, per tele-guidare gli elettori M5s, è più efficace un editoriale di Marco Travaglio del comizietto zeppo di supercazzole di Conte.
A quanto registrano molti analisti, il 2% perso dal M5S rispetto alle Regionali 2020 non è rimasto nel centrosinistra ma è confluito nell’astensione o nelle liste a sostegno del meloniano Acquaroli.
E’ chiaro la ragione per cui un operaio vota per Giorgia Meloni: perché dovrebbe farsi governare da una leader di cui non comprende il linguaggio, circondata da funzionari para-sovietici che parlano in maniera criptica, tipo “due verticale, otto caselle” della gloriosa ‘Settimana Enigmistica?’.
Quante altre sconfitte elettorali (al momento sono 10 su 13) dovrà rimediare Elly prima di essere detronizzata dal Nazareno?
Eppure Matteo Ricci una chance sembra avercela avuta: candidato abbastanza conosciuto (da anni frequenta i talk show televisivi), riformista e “moderato”, a un certo punto, nei sondaggi dei mesi scorsi aveva superato l’uscente Acquaroli. E allora cos’è successo?
È successo che Giorgia Meloni, vista la malaparata, si è messa a fare politica sul serio: è scesa dal volo di Stato e si è messa pancia a terra al lavoro per non perdere la Regione. Mentre Igor Taruffi oggi si sbatte come un Moulinex per ridimensionare le Marche (“sono una regione importante dove vive un milione e duecentomila abitanti, ma solo quando avranno votato i restanti 16 milioni […] si potrà fare una valutazione”.
Intanto Giorgia Meloni ha aggiunto le Marche alla Zona economica speciale (Zes), di fatto equiparandole a una regione povera del Sud Italia, fattore che permetterà di attrarre investimenti e destinare nuove risorse. Poi ha stanziato un tesoretto di 70 milioni di euro di investimenti nella Regione, che negli ultimi 15 anni è stata abbandonata dalla sinistra, che l’ha sempre governata.
Come scrive Stefano Cingolani sul “Foglio”, “le Marche sono state per decenni la culla del piccolo è bello. Una regione di poveri mezzadri ha vissuto una industrializzazione diffusa che l’ha arricchita e resa protagonista di quello che molti hanno chiamato terzo capitalismo. […]
Il calo industriale è proseguito interessando sia le imprese più piccole sia le maggiori, soprattutto quelle esportatrici.
Le aziende hanno una buona liquidità perché tengono fieno in cascina vista l’incertezza generale, mentre il credito si è ridotto e i prestiti si sono deteriorati.
Quando Meloni ha visto i nuvoloni addensarsi sopra il capoccione di Acquaroli, è intervenuta, e ha aperto i cordoni della borsa.
Nel frattempo Matteo Ricci, non certo un sinistrato qualunque, ma un esponente moderato di prima piano, nel cuore di Goffredo Bettini, prometteva come primo atto della sua amministrazione…il riconoscimento dello Stato della Palestina. Chissà cosa avranno pensato le casalinghe di Grottazzolina e gli operai di Arquata del Tronto…
L’ex sindaco di Pesaro ha commesso un altro errore: ha fatto salire sul palco del comizio di Pesaro, il 17 settembre, Elly Schlein, una che aveva sempre da bravo riformista criticato.
Uno sbaglio tattico che non avevano commesso, prima di lui, Damiano Tommasi a Verona e Silvia Salis a Genova: altri due “moderati” che, a differenza di Ricci, hanno vinto, tenendo alla larga i capi di partito.
