(Frasco) Il 43% degli italiani non versa un euro di Irpef. Per me questo solo dato spiega quasi tutto del nostro Stato, o quantomeno l’economia. Tutte le forze politiche, nessuna esclusa, tendono a dimenticarlo o a ritenere che vi siano cose più importanti, o più ambiziose di quella di aumentare questo 43%. Questione di opinioni. Ma a proposito, tra i toni celebrativi di Meloni e quelli catastrofisti di Schlein, come va l’economia? In questo articolo sul Corriere Dario Di Vico spiega come meglio non si potrebbe la situazione, i propositi del governo, le criticità. Chi vuol capire lo legga tutto.
L’obiettivo è sfruttare l’ampio capitale politico per un provvedimento-bandiera a favore della middle class impoverita dall’inflazione. Le incognite sono gli spazi di manovra e l’atteggiamento degli imprenditori
La settimana che si è appena chiusa ha visto ancora una volta Giancarlo Giorgetti nella veste di «agitatore». Dopo la frase sui pizzicotti da dare alle banche stavolta il titolare del Mef si è rivolto agli imprenditori privati e senza usare mezzi termini ha auspicato un aumento dei salari. «L’invito che mi sento di fare — ha detto — è che le associazioni datoriali private facciano anch’esse la loro parte e riconoscano ai loro lavoratori aumenti stipendiali».
Non capita tutti i giorni che un ministro di una compagine di centro-destra si rivolga così agli imprenditori considerando, tra l’altro, che il più importante contratto collettivo di lavoro (quello dei metalmeccanici, che riguarda 1,5 milioni di tute blu) è bloccato da mesi proprio per un conflitto aziende-sindacati sugli incrementi delle paghe.
L’autunno delle preoccupazioni
È evidente che il governo — e non il solo Giorgetti — ha una preoccupazione per l’autunno: è giusto indossare la grisaglia e incassare il plauso dei mercati alla stabilità politica, è giusto ancora gioire per il calo dello spread e il miglioramento del rating, ma non dimentichiamo la condizione reale del Paese. Il regime di bassi salari, la stasi dei consumi, un carrello della spesa che corre più del doppio dell’indice generale dell’inflazione, le famiglie che preferiscono risparmiare piuttosto che spendere, i giovani che se ne vanno all’estero perché le nostre paghe sono troppo basse.
Ma si possono affrontare in una sola legge di bilancio tutti questi problemi? Certo che no. Con le sole (magre) risorse di bilancio, il governo Meloni non potrebbe raffreddare le latenti tensioni sociali e da qui l’idea di provare a combinare più interventi tra dimensione pubblica e iniziativa privata. Utilizzare l’ampio capitale politico di cui dispone in questo momento Meloni per inserire nella finanziaria un provvedimento-bandiera (pro ceti medi), ma nel contempo chiedere alle banche un contributo e infine spingere gli industriali ad aumentare le paghe. Un combinato disposto a suo modo ambizioso e che segna anche l’intenzione della premier di guardare con maggiore attenzione alle vicende interne dopo mesi dedicati prevalentemente alla scena internazionale.
Il ceto medio
Partiamo allora dai ceti medi. È un tema ricorrente nella politica italiana, quasi un fiume carsico. Il governo stavolta ha scelto come priorità quella di modificare le aliquote Irpef di circa 13 milioni di contribuenti con un reddito tra i 28 mila euro e i 50 mila annui. A uscire allo scoperto nei giorni scorsi è stato il viceministro Maurizio Leo che ha fornito anche qualche dettaglio in più. Ad esempio il governo pensa di ampliare l’intervento anche ai redditi fino ai 60 mila euro e vuole ridurre di due punti le aliquote passando dal 35 al 33%. L’effetto materiale di questa piccola riforma fiscale, secondo calcoli della Fondazione dei commercialisti, dovrebbe essere fino a 120 euro al mese, 1.440 euro annui. Il costo della misura per l’erario è stimato in 5 miliardi e, secondo Leo, risulta pienamente compatibile con una finanziaria all’insegna del rigore.
Verso il centro
Stiamo parlando esclusivamente di fisco ma è evidente che dietro le tecnicalità c’è un’intenzione politica. Meloni vorrebbe conquistare spazio al centro dello schieramento politico per rendere più stabile l’esperienza di governo del centro-destra (il solo parlare di ceti medi in Italia evoca inevitabilmente gli anni della Dc), ampliare la sua base sociale e in qualche maniera metterla in connessione con i risultati che la sua diplomazia dei corpi intermedi ha ottenuto schierando al proprio fianco, uno dopo l’altro, Confindustria, Cisl e Comunione e Liberazione. Ma Meloni ha bisogno anche di bilanciare la costante attività di rottura operata alla sua destra dal leader della Lega Matteo Salvini e ora anche dal generale Vannacci.
Il pessimismo economico
L’obiettivo di farsi largo tra le classi medie del resto ha pienamente senso visto che, secondo una ricerca Censis-Cida, il 66% degli italiani pensa di far parte del ceto medio, ma giudica anche la posizione raggiunta da questo aggregato sociale sicuramente declinante. Il 50% di chi si autodefinisce ceto medio crede infatti che i propri figli godranno di una condizione economica peggiore di quella che hanno avuto i genitori.
Ma per invertire questo disincanto possono bastare 5 miliardi investiti sulla modifica delle aliquote? Per Massimiliano Valerii, direttore del Censis, in primis va detto che «intervenire sull’Irpef è un approccio corretto, strutturato, compatto». Molto meglio che continuare sulla strada della bonus economy. «La classe media viene da una stagnazione e ha bisogno di supporto, quindi il messaggio politico inviato dal governo è pienamente comprensibile».
La soluzione è la crescita
Certo, non è la soluzione e d’altro canto la vera soluzione ai guai del ceto medio risiede nella crescita: purtroppo, invece, il Pil italiano è di nuovo nell’ambito dello zero virgola e con i consumi piatti.
Secondo Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche, gli anni dell’inflazione hanno determinato un aggiustamento fiscale di circa 50 miliardi, di cui la metà è dovuto al fiscal drag, visto che l’inflazione fa salire le basi imponibili. Di conseguenza fa bene il governo a restituire al ceto medio una frazione di quell’aggiustamento. «Ancor più giusto sarebbe indicizzare le aliquote ed evitare il balletto di una politica che fa rumore quando parla di tagliare le tasse e di uno Stato che invece, in silenzio, aumenta il prelievo grazie al fiscal drag». Gli industriali sono pronti?
Il nodo dei salari
Veniamo adesso ai salari. La moral suasion di Giorgetti funzionerà o il suo appello è destinato a cadere nel vuoto, visto che le imprese si sentono già in difficoltà sul fronte dazi? Secondo Andrea Garnero, economista dell’Ocse e autore di un libro proprio sulla questione salariale, non si può più intervenire sul cuneo fiscale come si è fatto con la precedente manovra. «Siamo al limite e quindi capisco la pressione del ministro». È vero che nel frattempo l’occupazione è salita e ha funzionato da ammortizzatore sociale, ma si tratta perlopiù di lavori a basso valore aggiunto, bassa produttività e, per l’appunto, paghe magre. Anche per il giuslavorista Pietro Ichino il nodo salari non può essere eluso. La Confindustria dovrebbe consentire una riforma delle relazioni industriali che spostasse i pesi dal Ccnl alla contrattazione aziendale per consentire incrementi di produttività. La visione del giuslavorista milanese è più ampia e mette nel mirino le politiche attive del lavoro e la mobilità degli operai verso aziende più produttive, ma Ichino spezza una lancia anche a favore dell’introduzione del salario minimo. «Sbaglia il ministro Calderone a rifiutarlo».
La collaborazione degli industriali
È evidente che aumentare i salari del lavoro povero e delle tute blu dovrebbe avere un immediato riflesso sui consumi e non potrebbe certo andare in direzione del risparmio, visto che molte famiglie faticano ad arrivare a fine mese. Ma per far funzionare il combinato disposto «ceti medi più aumenti salariali» Giorgetti e Meloni avranno bisogno della collaborazione di Confindustria che dalla ripresa post-feriale è stata molto attenta a evitare uscite spettacolari. È come se fosse in corso una silenziosa consultazione tra gli imprenditori. Per capirne di più forse bisognerà aspettare sabato 4 ottobre, quando si riuniranno straordinariamente assieme le assemblee degli industriali di Verona e Vicenza con il presidente Emanuele Orsini. Ospite d’onore proprio il ministro Giorgetti. Dopo i pizzicotti e i rimbrotti assisteremo a un terzo round?
