“Subalternità al liberismo degli anni novanta”

Era il 1969 e stavo per partire per l’università. A Nicastro, non ancora Lamezia, il ’68 era cominciato con qualche assemblea dove alcuni gridavano che occorressero le “riforme di struttura“. Noi poveri liceali ancora con le idee confuse e un bagaglio culturale soltanto scolastico non capivamo di cosa si trattasse e replicavamo che bisognava battersi per le riforme. No, s’inviperivano i leaderini, se vuoi solo le riforme sei un fascista, è questione di sistema, occorrono le riforme di struttura. Sono cresciuto quindi con le riforme di struttura in testa che considero il primo slogan (incomprensibile) che mi ha umiliato il cervello, al quale ha fatto seguito una sfilza interminabile, da ” lo stato borghese si abbatte e non si cambia” a “fascisti padroni ancora pochi giorni”.
Riavvolgendo il nastro di una vita oggi mi tocca ascoltare ancora frasi senza senso come ” battere la subalternità al liberismo degli anni novanta”. Uno come me che si considera, per capirci, liberale (uno filoamericano che tiene allo stato di diritto, al mercato, all’apertura), colleziona anche questo slogan tra le insulsaggini di una vita intera. Gli slogan servono ai manifestanti per le strade, ripetuti nel corso di un dialogo o di un articolo o di un comizio, sono fumo e polvere negli occhi.

Uno spettro s’aggira per il congresso del pd: lo spettro del neoliberismo. Ce l’hanno molto con il liberismo (o con l’ordoliberismo alla Giuseppi)  in queste ore i Bettini, Orlando, Franceschini che appoggiano la Schlein nel pd. Per esempio da un lato Bettini sostiene che «negli anni Novanta l’Ulivo ha salvato la democrazia e l’Italia», dall’altro che proprio a partire da allora, dopo il crollo del comunismo, l’ideologia neoliberista non avrebbe più trovato argini, nemmeno a sinistra, causando tutte le storture e le diseguaglianze ancora dinanzi a noi.

Questi signori, ai quali sono da aggiungere il gatto e la volpe, D’Alema e Bersani, stanno riscrivendo per motivi loro la storia. Eppure negli anni novanta e duemila tanto i governi guidati da Romano Prodi quanto quelli di Massimo D’Alema e Giuliano Amato non è che si contrapponessero alla deriva neoliberista incarnata da Tony Blair e Bill Clinton (semmai tentavano di appropriarsene indebitamente, parlando nei casi più estremi addirittura di «Ulivo mondiale»).