Covid, il fisico Battiston spiega il nostro problema: il numero troppo grande di infetti

(Piazza pulita, La 7, puntata del 15/4/21) Roberto Battiston (Osservatorio Dato Epidemiologico Università di Trento): a fine novembre 2020 avevamo 800mila infetti attivi registrati. Questo numero a settembre era 50mila e all’uscita del primo periodo del lockdown era 15 mila (luglio 2020).

Benissimo, questo è successo anche in altri paesi, la seconda ondata ha colpito tutti sostanzialmente ma il problema è che noi non siamo riusciti a scendere da questo valore di 800mila se non del 30/35%. A Natale eravamo ancora a 560mila e oggi siamo ancora sopra i 500mila (siamo scesi per un pò a 400mila). Il numero degli ospedalizzati e conseguentemente delle terapie intensive e quindi del numero dei morti legati a questi parametri, è direttamente legata alla quantità di infetti che ci sono nella popolazione. Quando si pensa di riaprire perchè l’Rt (tasso di contagio) è al di sotto di 1 (n. di persone che l’infetto può contagiare), guardiamo un pezzo del problema. Rt a settembre era 1,15 e non c’era la seconda ondata, oggi con 1,15 esplodono i numeri. Fino a quando noi avremo un serbatoio così grande di infetti attivi (i 500mila in realtà forse sono 2 volte di più, non lo sappiamo perchè non facciamo mai un test cieco per scoprire quanti siano quelli non dichiarati e registrati, non ce lo dice il tasso di positività dei tamponi) noi non usciremo dalla seconda andata.

Quindi è questo numero enorme di infetti, 1milione o più, che alimenta ogni giorno questi 15/20 mila, a seconda del periodo, nuovi infetti.

Di questi circa il 7% vanno in ospedale, di questi circa il 10% vanno in terapia intensiva, e alla fine una frazione (il 3% dell’intero numero degli infetti) purtroppo muore. Questa cosa va avanti da ottobre 2020.

(il Dolomiti) “In Italia viviamo in un ‘mare di infetti’: per questo non appena si riapre basta un leggerissimo rialzo dell’indice Rt per vedere un aumento vertiginoso nel numero di contagiati. Altri paesi hanno chiuso puntando a contenere l’Rt ed a diminuire allo stesso tempo drasticamente il bacino di infetti attivi presenti, in Italia invece abbiamo spesso deciso di allentare le misure non appena l’indice di contagiosità scendeva sotto l’1. Il problema è che con circa 500mila infetti attivi registrati e, sul territorio, un numero che possiamo stimare intorno al milione tenendo conto degli asintomatici, appena l’Rt si sposta dalla parte sbagliata l’epidemia riparte con ritmi esponenziali. Ogni allentamento delle misure restrittive deve quindi essere valutato con estrema attenzione, facendo riferimento (come sottolineato in diverse occasioni anche dal presidente del Consiglio Draghi) in primo luogo ai numeri. E con l’Rt attuale (che si aggira attorno allo 0.9) ogni giorno il numero di infetti si riduce di appena l’1/2%”.

La riapertura delle scuole è un altro dei temi ‘caldi’ del momento. In Alto Adige si è deciso di portare avanti un’attività di testing molto importante (2 tamponi negativi a settimana per chi decide di frequentare in presenza), ma è un caso più unico che raro: come gestire la riapertura degli istituti?

“La scelta del governo è stata di ‘utilizzare’ il margine guadagnato durate le scorse settimane di zona rossa per puntare sulla riapertura di un servizio fondamentale per la comunità intera. Per il momento siamo ancora in una condizione intermedia: gli effetti delle prime riaperture a livello scolastico non si sono ancora fatti sentire, ma fra qualche giorno temo che vedremo una leggera crescita. Da questo punto di vista, la gestione altoatesina rappresenta un’eccezione: non sono molte le realtà che portano avanti un monitoraggio così stretto e preciso all’interno delle strutture scolastiche, nonostante tutti i dati indichino che le scuole sono luoghi potenzialmente pericolosi, dove il rischio contagio è alto. Se guardiamo per esempio al Regno Unito, dove si sta vincendo la ‘battaglia’ contro il virus, la riapertura sta procedendo con estrema attenzione. Prima di discutere di ‘scuole sicure’ bisogna fare analisi approfondite: quello che è certo è che in Italia ci siamo incamminati più volte verso la riapertura sistematica degli istituti basandoci spesso su sistemi di monitoraggio di entità modesta, quando sarebbe invece auspicabile monitorare molto attentamente ragazzi, insegnanti e genitori”.

Quali sono i prossimi step da seguire nella gestione dell’emergenza?

“La parola d’ordine non può che essere una: vaccinare, vaccinare, vaccinare. Al ritmo attuale di circa 300mila inoculazioni quotidiane, ogni due giorni vacciniamo l’1% in più di popolazione, in un mese possiamo immunizzare il 15% degli italiani. Stiamo parlando di un risultato molto importante, visto che tra vaccinati e guariti in questo momento circa il 25% della popolazione è già ‘coperto’. Maggio sarà un mese cruciale da questo punto di vista, ma è importante ricordare che se decidiamo di abbassare la guardia proprio ora, quando il bacino d’infetti accertati è di oltre mezzo milione d’individui, rischiamo di ritrovarci fra qualche settimana con le terapie intensive nuovamente piene. Paradossalmente, se avessimo un numero di positivi inferiore sul suolo nazionale potremo permetterci di convivere con un Rt anche più alto, ma nelle condizioni attuali stiamo camminando sul bordo di una scarpata e basta un soffio di vento per vedere il numero di nuovi casi giornalieri salire esponenzialmente. Riaprendo ora potremo ritrovarci fra qualche mese, se la campagna vaccinale dovesse continuare con questi ritmi, con buona parte della popolazione immunizzata ma con un sacco di morti in più che si sarebbero potuti evitare, è questo che vogliamo?”

(il tempo) La domanda rivolta a Roberto Battiston, fisico dell’Università di Trento che dall’inizio della pandemia misura e analizza i dati del Covid in Italia, è quella xche ci poniamo tutti: perché in Italia ci sono così tanti morti rispetto al resto d’Europa?

Perché a differenza degli altri Paesi noi calcoliamo le chiusure e le riaperture delle varie regioni su parametri non esaustivi”, spiega il ricercatore in una intervista al Corriere della sera. Il problema nasce quando si decide “la chiusura o l’apertura delle regioni”: “in Italia lo facciamo basandoci sull’Rt, il parametro che stabilisce il grado di contagio del virus, e non teniamo in conto il numero degli infetti attivi”, ovvero dei contagiati attualmente infetti.

“Si definisce prevalenza”, dice Battiston, che spiega: “Dobbiamo tener conto che questa cifra (gli infetti attivi, ndr) nella prima ondata era sottostimata di almeno cinque-sei volte. In questa seconda ondata lo è di almeno due-tre volte”. A guidare altri Paesi, come Francia, Germania e Spagna è invece il numero dei contagi, non l’indice Rt. È il motivo per cui “sono più severi nelle chiusure rispetto al nostro Paese” e contano meno morti di noi.

Insomma per il fisico il sistema italiano è sbagliato a monte. “Oggi in Italia abbiamo un numero di infetti attivi di circa 540 mila unità, e questo è un valore molto alto, non dissimile da quello che avevamo durante il Natale, pari a 580 mila. Questo numero dovrebbe essere tenuto in considerazione insieme all’Rt, perché è da questo che si genereranno i nuovi morti”, spiega. Neanche l’introduzione del nuovo parametro dell’incidenza media settimanale è sufficiente: “Bisogna capire che noi basiamo i nostri calcoli partendo dal secondo passo e non dal primo”, ovvero la prevalenza, “il secondo passo sarebbe il numero dei nuovi infetti che, a sua volta, fa scaturire il terzo passo, ovvero il numero dei morti”.

In altre parole per Battiston bisognerebbe rivedere al ribasso i militi che fanno scattare chiusure e lockdown, meno dei 250 nuovi infetti per settimana ogni 100 mila abitanti che definiscono oggi le zone rosse. Ci troviamo in una situazione esplosiva, dice il fisico, perché a settembre è stato riaperto tutto “senza prendere le precauzioni più elementari” oltre alla mascherina, come intervenire sui mezzi pubblici.