Vaccini in ritardo e senza nessun colpevole

(il Foglio) E così, siamo in ritardo con le vaccinazioni. Si badi bene: non è un problema di consegna dei vaccini. Siamo in ritardo rispetto alle vaccinazioni di tutta Europa, che ha avuto accesso – in modo proporzionale – alle stesse dosi fornite in media ai cittadini italiani.

Il nostro è un ritardo dovuto all’organizzazione manchevole di un paese che, come sempre, è strutturalmente incapace di prepararsi a tempo debito, che sia una preparazione per prevenire i danni di un’epidemia o quella per uscirne con la maggior celerità possibile.

Con Luciano Capone, a suo tempo, rimarcammo la mancanza completa di un piano vaccinale; piano che è stato preparato in fretta e furia, e poi adeguato alla bisogna, inseguendo ora qui ora là le varie emergenze connesse alla consegna, alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini. La cosa davvero curiosa è che non è possibile identificare un colpevole, o un singolo particolare malfunzionamento della macchina pubblica: è un sistema intero, fatto per polverizzare le responsabilità, in cui ogni individuo ha soprattutto il potere di veto nei confronti degli altri, ma in cui nessuno ha davvero la possibilità di raddrizzare in modo definitivo l’azione dell’amministrazione. Così, in Italia non solo la media nazionale di cittadini vaccinali è ormai da ultimi della classe, ma la variabilità tra regioni è elevatissima, con alcune regioni davvero in condizioni preoccupanti.

E’ possibile che il nuovo governo riesca a rimettere in carreggiata la campagna vaccinale? In linea teorica, sì; ma le azioni da intraprendere sono davvero tantissime, e si scontrano con una macchina burocratica che non è fatta per funzionare, ma è figlia di stratificazioni secolari, clientele, assunzioni fuori controllo e soprattutto legislazione e regolamentazione inefficiente.

Se dunque si riuscirà a riprendersi, vorrà dire una cosa anche più importante del singolo episodio: vorrà dire che, in qualche modo, esistono dei correttivi a questa melassa asfissiante fatta di regole, urla dei politici locali, incidenti di percorso e disastri amministrativi che ha intrappolato il nostro paese in una condizione francamente indegna.

Dobbiamo sperare, perché non è possibile rassegnarsi a tutto questo; e dunque siamo in trepida attesa della dose vaccinale, delle statistiche che indichino un miglioramento, e del segnale che, alla fine, in un’emergenza di questa portata il paese si dia una scossa e rientri nel consesso delle nazioni civili. (Cattivi scienziati)

(Il modello danese). In Ue c’è una piccolissima Israele che nelle vaccinazioni va veloce. E’ la Danimarca che guida la classifica dei paesi europei per il numero di immunizzazioni: 8,82 ogni cento abitanti. Vien da domandarsi come sia possibile, se tutti gli europei hanno ricevuto lo stesso numero di dosi per numero di abitanti. Ma la questione si spiega con tre parole: preferenze, rimanenze e digitalizzazione. La Danimarca, oltre a non aver fatto scorte per le seconde dosi, ha espresso sin da subito la sua preferenza per i vaccini Pfizer e Moderna, e si è attrezzata per la loro somministrazione e conservazione, che si sa è più complicata rispetto agli altri, mentre altri paesi europei esprimevano la loro preferenza per AstraZeneca, più facile da conservare e più economico e per questo prediletto da molti paesi europei. Così la Danimarca ha acquistato le dosi di Pfizer che gli altri non volevano. Gli stati membri possono mettersi d’accordo, fare scambi, l’importante è che non si verifichino delle disparità. Ora che AstraZeneca ha annunciato ritardi, l’Ue ha aumentato i suoi ordini di Pfizer e Moderna e la Danimarca spera di portare il numero di vaccinazioni quotidiane a 100.000 al giorno, per finire entro il 27 giugno. Per l’autorità sanitaria danese non è un risultato così ambizioso, è realistico, tanto più che la Danimarca conta su un sistema sanitario digitalizzato: i cittadini vengono contattati quando è il loro turno per vaccinarsi.

Di storie in questa pandemia, la Danimarca ce ne ha raccontate tante, è stata un romanzo a sé. Ci eravamo stupiti quando lo scorso anno aveva riaperto le scuole per prima, tracciando una mappa per la riapertura che purtroppo si è rivelata inapplicabile altrove, fatta di turni, bolle e spazi all’aperto. (da Il Foglio)