Alzi la mano chi ritiene che in Italia ci sia l’equilibrio dei poteri. La separazione dei poteri riconducibile a Montesquieu è uno dei principi cardine del costituzionalismo liberale e uno dei principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale. Neppure le menti più raffinate e i politici più saggi che abbiamo ci spiegano perchè la magistratura abbia sconfinato e perchè nessuno intenda porvi rimedio.
La politica è diventata ancella dei magistrati i quali, a causa delle aberrazioni del fascismo, hanno ottenuto dai padri costituenti una regoletta che li mette al riparo da qualsiasi responsabilità: ogni giudice è soggetto solo alla legge. Questa garanzia fa sì che ogni giudice fa la sua legge perchè può interpretare ogni norma a suo piacimento confidando sui tre gradi di giudizio, cioè sui rimedi approntati per contenere gli sbagli.
C’è anche un quarto potere, com’è noto, che è la libera stampa, ma nel nostro paese, per varie ragioni, anche buona parte della stampa ha ben presto capito chi comanda davvero e quindi tra i politici e i magistrati ha deciso di affiliarsi ai magistrati i quali, come se non bastasse, hanno trovato anche il modo di lasciare la toga e farsi eleggere con un meccanismo di andata e ritorno che è una semplice vergogna.
Eppure la ragione che spiega il potere incontrollato e incontrollabile dei magistrati oggi è del tutto chiara ed evidente a chiunque intenda osservare la situazione con distacco. La ragione sta nel rifiuto di ogni valutazione di merito del loro operato, per cui todos caballeros, soltanto l’anzianità resta il criterio per gli avanzamenti di carriera essendo l’attività concreta, gli atti, le sentenze, i tempi di consegna delle motivazioni (tutti dati oggettivi ben misurabili) sganciati da qualsiasi valutazione.
Come succede a tutti gli impiegati pubblici il “nessuno mi può giudicare” e l’avversione per la meritocrazia ha reso i magistrati, soggetti soltanto alla legge, inamovibili, inattaccabili e dunque organizzati in correnti politiche che governano la loro carriera.
Il capo dello Stato sulla carta presiede il Csm ma è la foglia di fico che copre tutte le manovre e gli accordi che Palamara ha descritto una volta che “il sistema” lo ha buttato fuori dall’ordine. Come se non bastasse, è successo infine in questo disgraziato paese che fosse la sinistra politica a sposare con fierezza e convinzione la causa dei magistrati liberi di fare quello che vogliono.
I Giano bifronte alla Violante diventati giudici-politici hanno consentito all’ordine giudiziario non soltanto di regolare la propria attività professionale in maniera autonoma, ma anche di impedire alla politica di emanare norme sgradite. Per cui non è stata possibile la separazione delle carriere tra giudici e pm, non è stato possibile riformare l’elezione del Csm, non è possibile velocizzare il processo civile che rimane il vero grande problema italiano di giustizia sostanziale.
Dai Violante ai manettari sino ai grillini appare oggi incredibile osservare il paradosso di una sinistra che sulla carta dovrebbe avere nella separazione dei poteri e nei diritti di libertà dei cittadini due capisaldi inattaccabili mentre in realtà (si veda il tema della riforma della prescrizione) si è consegnata ai magistrati con una sorta di associazione in accomandita dove comunque le regole non le stabilisce il parlamento ma la magistratura stessa.
Insomma, il paradosso è che siano i giornalisti di destra come Nicola Porro a denunciare queste cose, insieme all’ordine degli avvocati, mentre la sinistra perso per strada Di Pietro, va ancora dietro agli Emiliano e De Magistris. La prossima alleanza strategica Pd-5Stelle annuncerà a tutti di averla data vinta alla propria vocazione populista (da sempre presente, anche se in contrasto con altri orientamenti), di confermare la propria adesione al giustizialismo giudiziario, oltre a sposare senza riserve, mettendo a tacere le voci più liberali, le tesi dei fautori dello statalismo economico.
(guido vitiello) Ha detto Paolo Mieli a Radio 24 che se Draghi sulla Giustizia fa sul serio “qualche pm, da qualche parte d’Italia, partirà con un’inchiesta”. Non ci sono ordini dall’alto, ci ha tenuto a precisare, c’è un automatismo: il lupo solitario di procura si muoverà in proprio, sapendo di contare sul consenso della corporazione. E’ esattamente così che funziona da trent’anni… se si avvicina ad alcuni fili, tutti peraltro aggrovigliati – obbligatorietà, colleganza tra pm e giudice, indipendenza irresponsabile, meccanismi di carriera – è statisticamente probabile che una cellula dormiente in una procura qualunque si svegli e faccia detonare l’ordigno. Motivo per consigliargli prudenza? Al contrario. Draghi ha oggi il massimo dell’autorevolezza a fronte di una magistratura ridotta al minimo della reputazione. Se nemmeno lui può far nulla, dovremo constatare che la democrazia italiana è ostaggio del capriccio dell’ultimo sostituto di provincia. E qualcosa dovremo pur fare.