Mentre ascoltavo Draghi nel più bel discorso parlamentare che io ricordi nella mia lunga vita, ammiravo questa personalità che ha accettato una sfida terribile per mero spirito di servizio. “Il 3 settembre del suo «anno da premier» italiano compirà 74 anni. Ha figli e nipoti, una bella villa al mare, un’altra in campagna, una moglie amatissima e – come spesso capita alle persone intelligenti – ha molti hobby. Nella vita professionale ha vinto tutto” (Stefanini e Luciano). Chi glielo ha fatto fare? Chi lo avrebbe fatto? Al massimo avrebbe potuto attendere a Città di Pieve il 2022 quando lo avrebbero chiamato al Colle al posto di Mattarella. Invece ha osato l’impossibile. Nessuno lo ringrazierà mai abbastanza di questa generosità. Nel frattempo le inconsolabili vedove di Conte compaiono in tv, come ha fatto Bersani ieri sera con la solita aria da contadino furbo o da pensionato che aiuta la moglie farmacista, a ricordarci che Conte ci ha fatto ottenere 210 miliardi, come se i soldi fossero già qui al Tesoro e si dovesse solo cominciare a spenderli. In realtà solo Draghi riuscirà a costruire un Recovery in grado di farci ottenere quei soldi persuadendo l’UE che faremo sino al 2026 le riforme necessarie. Mi fermo qui perchè i fatti oggi non contano più nulla e ognuno come può essere cattolico o maomettano può pensare che Conte sia uno statista. Questione di fede.
La politica del terzo secolo è diventata misteriosa, nessuno come me pur informato e anziano avrebbe potuto immaginare che la sinistra di questo paese avrebbe difeso Conte giudicandolo più meritevole di Draghi. Invece è successo, succede, e soltanto il combinato disposto tra Renzi il pirata, la saggezza di Mattarella e la generosità di Draghi, che avrebbe potuto dire “non possumus”, ci ha messo davanti ad un miracolo politico. Il resto che c’è da dire lo lascio a Christian Rocca che su Linkiesta ha detto parole vere sul Pd e sul suo stato comatoso
La variante de coccio (Il PD INSISTE CON CONTE, CARI RIFORMISTI SE CI SIETE BATTETE UN COLPO) si diffonde minacciosa dentro il Partito democratico da ieri promotore con gli alleati contiani di uno stravagante intergruppo parlamentare Pd-Cinquestelle-LeU che, testuali parole, «a partire dall’esperienza positiva del governo Conte II» (non ridete, c’è da piangere) «promuova iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese, dalla emergenza sanitaria, economica e sociale fino alla transizione ecologica ed alla innovazione digitale».
Per capirci, il Pd ha costituito un intergruppo parlamentare che suggerirei di chiamare “ridotto di Volturara Appula” per affrontare le grandi sfide sanitarie, economiche, tecnologiche e ambientali con i medesimi compagni giallorossi con cui fino all’altro ieri non è stato in grado di affrontarle in modo efficace, tanto da essere stati tutti quanti rimossi con una manovra politica ai limiti della circonvenzione di incapace (ma il punto era esattamente quello dell’incapacità) per far posto agli adulti della Repubblica, cioè a qualcuno in grado di saper presentare all’Europa un piano di sviluppo del paese e all’Italia uno di vaccinazioni contro il coronavirus.
Ma la fissazione è peggio della malattia, quindi i vertici del Partito democratico non mollano l’idea dell’alleanza strategica con i manganellatori digitali e preparano la riscossa nel ridotto dell’intergruppo.
Eppure il Pd non è un partito di reduci del contismo. Non è nato per consegnarsi all’avvocato del popolo sovrano, già vice del Salvini e del Di Maio anti Euro, già sodale di Putin e di Trump.
Al contrario, il Pd è un partito liberal socialista e riformista che può contare su tanti deputati e senatori seri e preparati, su leader rispettati nelle istituzioni internazionali, su uomini (purtroppo non donne) nei posti chiave del nuovo governo Draghi.
Solo che al momento, tranne rare eccezioni, nessuno di loro si vede, nessuno di loro parla, nessuno di loro si oppone apertamente alla fissazione dell’alleanza strategica con i populisti. Si limitano a salutare sottovoce la liberazione dall’incubo Conte, ma manifestano ancora segni evidenti della sindrome di Stoccolma, forse perché qualche altro giorno di indulgenza potrebbe anche valere un posto da sottosegretario che puntualmente non arriverà.
Il momento per riprendersi il Pd, l’unico grande partito democratico italiano, e per rilanciarlo con un’iniziativa politica antipopulista capace di attrarre consensi al centro è esattamente questo. Per la prima volta dalla sconfitta del referendum costituzionale del 2016, c’è una prospettiva nuova, credibile, europea, e anche atlantica, ma che non ha ancora una rappresentanza politica.
Prima o poi nascerà una nuova alleanza liberal-democratica a occupare quello spazio, forse la Lega nazionalista si convertirà in Partito del Pil, ma intanto è il Pd ad avere a disposizione la capacità di governo, la credibilità internazionale e le risorse umane e intellettuali per riuscirci, a patto che i riformisti comincino a farsi sentire e organizzino nel partito e nel paese la transizione antipopulista verso lo sviluppo economico, digitale ed ecologista del Next Generation Eu