(alberto brambilla) La redistribuzione della ricchezza è una frase sempre più sulla bocca dei politici assieme ai vocaboli «diritti e disuguaglianze». E questo, anche a causa del perenne clima elettorale e della spasmodica ricerca del consenso che caratterizza le varie formazioni. Tutti a promettere soldi e bonus, per la gran parte a debito, cioè a carico delle giovani generazioni. Ma a quanto ammonta davvero la redistribuzione in Italia?
Dai nostri calcoli la ridistribuzione totale è pari a 174,28 miliardi su circa 580 di entrate al netto dei contributi sociali di cui 245 miliardi di imposte dirette; in pratica viene redistribuito il 71% di tutte le imposte sui redditi.
L’abbiamo calcolata in base ai dati che abbiamo elaborato sulle dichiarazioni dei redditi del 2018, redatte nel 2019 e lavorate nel giugno di quest’anno. Poiché il 43,8% dei contribuenti dichiara redditi da zero (o addirittura negativi) a 15 mila euro lordi l’anno (con una media di meno di 7.500 euro) versa solo il 2,42% di tutta l’Irpef e un altro 13,84% ne versa il 6,56%, significa che il 57,72% degli italiani versa, al netto del bonus Renzi, l’8,98% dell’Irpef cioè 15,4 miliardi, pari a soli 442 euro in media per ognuno dei 34,84 milioni di cittadini.
In pratica oltre la metà del Paese vive a carico di qualcuno e certamente non è oppressa dalle tasse.
È veramente difficile immaginare un membro del G7 in queste condizioni tipiche da Paese in via di sviluppo, ma i numeri parlano chiaro.
E vediamola questa redistribuzione. Prendiamo in considerazione la sanità, la cui spesa totale è di 115,45 miliardi pari a 1.886,5 euro pro capite. Per garantire i servizi sanitari al citato 57,72% di italiani, occorrono 50,3 miliardi che sono a carico soprattutto del 13,08% della popolazione con redditi da 35 mila euro in su. Questi versano il 59% dell’Irpef mentre il restante 29,20% è autosufficiente per la sanità che costa, compresa la quota della persona a carico, 2.752 euro, contro una imposta media pagata al netto del bonus di 4.555 euro (il rapporto contribuenti/popolazione è 1,459).
Poi viene la spesa per assistenza a carico della fiscalità che costa 105,66 miliardi pari a 1.750,51 euro pro capite (nel 2019 i costi sono aumentati a 114,27 miliardi) e che serve per garantire tutte le assistenze alla famiglia, ai soggetti privi di reddito, ai pensionati (quasi il 51% di loro), ai disoccupati e agli invalidi; per finanziare la parte di spesa non coperta dal 43,88% degli italiani senza redditi, e da quelli che versano una imposta inferiore a 5.306 euro (sanità più assistenza fanno 3.637 euro di costo per 1,459 uguale 5.306 euro), occorrono altri 70,07 miliardi che sono a carico prevalentemente del solito club del 13,08% cioè di 5,408 milioni di contribuenti pari a 7.890.586 cittadini e in parte del 29,20% che, autosufficiente per la sanità, con una imposta media di 4.555 euro, concorre all’assistenza per il 71% cioè 1.803 euro su 2.554, lasciando il resto ai contribuenti di fascia più elevata…
Alla luce di questi dati ha ancora senso parlare di riduzione del carico fiscale e di redistribuzione per mitigare le disuguaglianze? Perché non dire finalmente la verità agli italiani e cioè che di soldi non ce ne sono più; che abbiamo fatto troppo debito; che i nostri giovani, con un Paese così indebitato potrebbero perdere la loro libertà economica? Sarebbe un atto di alta educazione civica che ridurrebbe la «povertà educativa e sociale» troppo diffusa tra la popolazione e anche nella classe politica, e incentiverebbe tutti a rimboccarsi le maniche e darsi da fare senza chiedere sempre allo Stato.
Occorre quindi introdurre anche sulle spese familiari il «contrasto di interessi» ed eliminare i tetti minimi per aver diritto ai bonus vari; mandare a tutti i cittadini un estratto conto che indichi le tasse pagate e i benefici di cui hanno goduto così la gran parte si renderà conto che ha pagato molto meno dei servizi ricevuti; oltre a una certa età (35 anni) convocare chi non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi per sapere di cosa vive; infine chiedere ai milioni di neopensionati assistiti il motivo per cui in 67 anni di vita non hanno versato contributi e tasse. Verifiche legittime e, forse, le uniche azioni che consentono di aiutare chi ha davvero bisogno, riducendo l’evasione fiscale per cui siamo primi in classifica.