IL MONDO DOPO IL VIRUS SPIEGATO DA HARARI

Yuval Noah Harari (1976), il geniale storico e saggista israeliano, ha scritto l’analisi più acuta che mi sia capitato di leggere in questo periodo (ringrazio il mio amico Gianni di avermelo segnalato: IL MONDO DOPO IL VIRUS (Financial Times- Internazionale). Ne riporto una lunga sintesi perchè tutti dovremmo tener conto delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni. “Certo, la tempesta passerà, il genere umano sopravvivrà, molti di noi saranno ancora qui, ma vivremo in un mondo diverso. Molti provvedimenti d’emergenza a breve termine diventeranno parte della nostra quotidianità. È nella natura stessa delle emergenze. Accelerano i processi storici. Decisioni che in tempi normali richiederebbero anni di attenta valutazione vengono approvate nel giro di poche ore. Tecnologie immature o perfino pericolose vengono applicate in gran fretta, perché altrimenti si correrebbe un rischio maggiore. Interi paesi fanno da cavie in esperimenti sociali su vasta scala”.
Cosa succede quando tutti lavorano da casa ? Cosa succede quando intere scuole e università finiscono online? “In tempi normali nessun governo, impresa o ministero dell’istruzione accetterebbe mai di condurre esperimenti simili. Ma questi non sono tempi normali”.
In questo momento di crisi, ci tocca fare due scelte particolarmente importanti.

1) Cominciamo dalla prima che è tra la sorveglianza totalitaria e la responsabilizzazione dei cittadini.

Per fermare l’epidemia, intere popolazioni devono seguire certe direttive. Ci sono due modi per ottenere che lo facciano. Uno è che lo stato controlli tutti i suoi cittadini e punisca quelli che infrangono le regole. “L’esempio più noto è quello della Cina. Monitorando i cellulari dei cittadini, usando centinaia di milioni di telecamere per il riconoscimento facciale e obbligando le persone a controllare e riferire la temperatura corporea e le proprie condizioni di salute, le autorità cinesi possono non solo individuare i possibili infetti, ma anche seguire i loro movimenti e sapere con chi sono stati in contatto. Diverse applicazioni avvertono i cittadini se sono in prossimità di persone contagiate. Anche il primo ministro israeliano Benjamin Neta-nyahu ha autorizzato recentemente i servizi segreti interni a usare strumenti tecnologici di solito riservati alla lotta al terrorismo per seguire i malati di coronavirus.
Finora, quando il nostro dito toccava lo schermo dello smartphone e cliccava su un link, lo stato voleva sapere esattamente quello che stavamo cliccando. Con il coronavirus, l’interesse si è spostato. Ora vuole sapere la temperatura del nostro dito e la pressione del sangue”.
La tecnologia della sorveglianza si sta sviluppando con una rapidità vertiginosa, e Harari ce la spiega facendoci immaginare uno stato che “chiedesse a tutti noi di indossare un braccialetto biometrico che monitora la temperatura corporea e il battito cardiaco 24 ore su 24. I dati che raccoglie sono analizzati dai suoi algoritmi, che scopriranno che siamo ammalati prima ancora che ce ne accorgiamo, e sapranno anche dove siamo stati e chi abbiamo incontrato. La catena delle infezioni potrebbe essere drasticamente accorciata e forse addirittura interrotta. Probabilmente un sistema simile potrebbe fermare l’epidemia nel giro di pochi giorni. Meraviglioso, no? L’aspetto negativo, naturalmente, è che questo legittimerebbe un sistema di sorveglianza terrificante”. Vediamo perchè.

In questo modo di ciascuno di noi lo Stato potrebbe conoscere non solo notizie sul mio orientamento politico (quali giornali leggo?) ma addirittura, potendo monitorare la mia temperatura corporea, la pressione del sangue e il battito cardiaco mentre guardo un video, saprà anche cosa mi fa ridere e cosa mi fa veramente arrabbiare. “La rabbia, la gioia, la noia e l’amore sono fenomeni biologici proprio come la febbre e la tosse, e la stessa tecnologia che riconosce la tosse può anche riconoscere una risata. Se le multinazionali e i governi cominciassero a raccogliere tutti i nostri dati biometrici, potrebbero non solo prevedere i nostri sentimenti ma anche manipolarli e venderci tutto quello che vogliono, che sia un prodotto o un politico. Inoltre le misure temporanee hanno la brutta abitudine di sopravvivere alle emergenze, soprattutto perché c’è sempre una nuova emergenza in agguato all’orizzonte.
Chiedere alla gente di scegliere tra privacy e salute è una falsa scelta, perchè possiamo e dovremmo avere sia la privacy sia la salute. Il monitoraggio generalizzato e le punizioni severe non sono l’unico modo per ottenere che le persone rispettino le regole. Non c’è bisogno di un grande fratello che ci spia, basterebbe essere informati sui fatti scientifici e così poterci fidare delle autorità pubbliche che ce ne parlano.
Di solito una popolazione motivata e consapevole è molto più utile di una ignorante e controllata.
“Considerate”, scrive Harari, “l’atto di lavarsi le mani con il sapone. È stato uno dei più grandi progressi del genere umano. Questa semplice azione salva milioni di vite ogni anno. Anche se la diamo per scontata, è stato solo nell’ottocento che gli scienziati ne hanno scoperto l’importanza. Prima perfino i medici e gli infermieri passavano da un’operazione chirurgica all’altra senza lavarsi le mani. Oggi miliardi di persone ogni giorno si lavano le mani, non perché hanno paura della polizia del sapone, ma perché sanno che esistono i virus e i batteri, che il sapone può eliminare. Ma, per raggiungere questo livello di rispetto delle regole e di collaborazione, ci vuole fiducia. Le persone devono fidarsi della scienza, delle autorità pubbliche e dei mezzi d’informazione, che negli ultimi anni alcuni politici irresponsabili hanno deliberatamente screditato. Ora quegli stessi politici irresponsabili potrebbero essere tentati di imboccare la strada dell’autoritarismo, sostenendo che non possiamo essere sicuri che i cittadini facciano la cosa giusta”.

Ogni volta che ci parlano di sorveglianza, non dimentichiamoci che la stessa tecnologia può essere usata non solo dai governi per controllare gli individui, ma anche dagli individui per controllare i governi.
L’epidemia del nuovo coronavirus è quindi un importante test di cittadinanza.

2) La seconda scelta importante che dobbiamo affrontare è quella tra isolamento nazionalista e solidarietà globale. Sia l’epidemia in sé sia la conseguente crisi economica sono problemi globali. Possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i paesi.
“Purtroppo al momento gli stati non fanno quasi nulla di tutto questo. Ci saremmo aspettati che i leader globali s’incontrassero immediatamente per decidere un piano d’azione comune. I membri del G7 sono riusciti a organizzare una videoconferenza solo a fine marzo, e non ne è uscito nessun piano. Sembra che nessuno si comporti da adulto.” Ma anche a livello nazionale abbiamo visto, aggiungo io, che ogni nostra regione, ogni sindaco, fa come vuole senza imparare da quel che hanno fatto gli altri. Siamo ad un isolazionismo nazionalista e locale.
“Prima di tutto, per poter sconfiggere il virus dobbiamo condividere le informazioni a livello internazionale. Se il governo del Regno Unito è indeciso tra diverse misure, può chiedere consigli ai coreani che hanno già avuto lo stesso dilemma un mese prima. Ma perché questo succeda, serve uno spirito di collaborazione e di fiducia globale.
Serve anche uno sforzo globale per la distribuzione di materiale sanitario, soprattutto tamponi e respiratori, in modo che gli strumenti salvavita siano distribuiti più equamente.
La collaborazione internazionale è vitale anche sul fronte economico. Vista la natura globale dell’economia e delle catene logistiche, se ogni stato fa per conto proprio senza curarsi minimamente degli altri, il risultato sarà il caos e un ulteriore aggravamento della crisi. Serve un piano d’azione globale, e serve subito”.
Un’altra cosa necessaria è stipulare un accordo globale sugli spostamenti. “Sospendere tutti i voli internazionali per mesi creerà enormi problemi, e intralcerà la lotta al nuovo coronavirus. I paesi devono collaborare per consentire almeno a un piccolo numero di persone essenziali di continuare ad attraversare i confini: scienziati, medici, giornalisti, politici, imprenditori. Se sapessimo che è stato permesso di salire su un aereo solo a persone attentamente controllate, saremmo più disposti a lasciarle entrare nel nostro paese.
Durante le precedenti crisi globali – come quella finanziaria del 2008 e l’epidemia di Ebola del 2014 – gli Stati Uniti hanno assunto il ruolo di guida. Ma l’attuale amministrazione americana ha abdicato a questo ruolo. Ha lasciato intendere molto chiaramente che la grandezza dell’America le interessa molto di più del futuro dell’umanità. Ha abbandonato perfino i suoi più stretti alleati. Ha offerto un miliardo di dollari a una casa farmaceutica tedesca per comprare i diritti esclusivi di un vaccino per il Covid-19. Anche se la Casa Bianca alla fine cambierà tattica e proporrà un piano d’azione globale, pochi saranno disposti a seguire un leader che non si assume mai responsabilità, non ammette mai di aver sbagliato e si prende regolarmente tutti i meriti lasciando le colpe agli altri.
Se il vuoto creato dagli Stati Uniti non sarà riempito da altri paesi, non solo sarà molto più difficile fermare l’epidemia, ma le conseguenze continueranno ad avvelenare i rapporti internazionali per anni”. L’umanità deve fare una scelta. Vuole proseguire sulla strada della divisione o prendere quella della solidarietà globale? Se sceglierà la solidarietà globale, la sua sarà una vittoria non solo sul nuovo coronavirus, ma anche su tutte le epidemie future e sulle crisi che potrebbero scoppiare in questo secolo.