Eugenio Guarascio nel 2011 iscrisse al campionato di serie D il Cosenza, cominciò a muoversi in un settore che non conosceva in un ambiente che con ironia potrei definire difficile. Perciò si appoggiò a Stefano Fiore, bandiera rossoblu e molto amato dai tifosi. Ma sino al 2013 questo responsabile dell’area tecnica non portò risultati, come farà invece dal 2017 Stefano Trinchera. Beffati nel 2016-17 dal Pordenone, i lupi l’anno successivo conquistarono la serie B, dalla quale mancavano da ormai 15 anni. Questo esempio sportivo dimostra che l’imprenditore è bravo quando sa scegliere i suoi collaboratori e impara dagli errori. Anche in politica è lo stesso, governa bene chi ha queste qualità. Come sappiamo ormai tutti, nel governo italiano (che i padri costituenti vollero debole e alla mercè della sua maggioranza) oltre al presidente del Consiglio c’è un solo ruolo chiave che è il ministro dell’Economia. Tutti gli altri ministri hanno ruoli minori (come spiegherò) e nessuno lascia il segno per la semplice ragione che il loro potere dipende dal budget messo a loro disposizione. Chi decide questi budget e la cassa è il vero dominus (Mussolini stesso chiamava il suo ministro del Tesoro “il signor no”).
Anche nei comuni lo schema è lo stesso. A parte il mitico Nicolini che rivoluzionò Roma con l’estate romana e qualche assessore all’urbanistica di qualità, tutti gli assessori sono nel migliore dei casi, se hanno le competenze necessarie, dei consulenti del sindaco e si rendono ridicoli quando si presentano a portare il suo saluto nei vari convegni. Il vicesindaco (il sottosegretario alla Presidenza nel governo) è al contrario la cerniera indispensabile, non ai cittadini ma al sindaco. Il vice in genere funge da uomo-macchina, cioè da amministratore, presidiando il palazzo comunale e dirigendo l’organizzazione complessa che chiamiamo municipio, mentre il sindaco fa politica, va a farsi le processioni e cura le pubblic-relation (il suo compito è farsi votare le delibere dal consiglio comunale). L’assessore al Personale poi, che pur tutti i sindaci vogliono, è figura inutile se non è un vero esperto in amministrazione e finanza locale. Di solito collabora con il Segretario comunale e/o il city-manager, figura introdotta dalla legge Bassanini. Questi è un direttore generale con ampi poteri, che i sindaci dei Comuni con più di 15 mila abitanti possono assumere a tempo determinato.
Insomma e per capirci, se un sindaco “politico” ha la possibilità di far entrare nello staff un Carlo Cotterelli (con la Raggi Marcello Minenna durò qualche giorno) e un Carlo Calenda ha due fiches per far bene. Cottarelli (o Minenna) e Calenda sono due nomi nazionali che faccio per spiegarmi meglio: le competenze economiche prima che giuridiche e l’esperienza manageriale di organizzazioni complesse (saper dirigere) sono oggi assolutamente indispensabili in un comune. Al contrario abbiamo visto a Lamezia così come in migliaia di altri enti locali che tuttalpiù si ricorre a qualche commercialista. Un sindaco in estrema sintesi si misura: A) con problemi complicati; B) con il personale. Se studia dalla mattina alla sera come risolvere i problemi, non può avere il tempo per dirigere e controllare il personale e viceversa. Ciò spiega un fenomeno diffuso, i dissesti dei comuni che, soprattutto, dipendono dalla bassa produttività dei dipendenti comunali sommata ad amministratori incapaci di dirigere organizzazioni “complesse a legami deboli”. Guardate il sindaco di Napoli, De Magistris. Bilancio consolidato al 2018, compreso le Partecipate: 4,8 miliardi di debito. Tu puoi essere un prestigioso professionista, un medico, ingegnere, avvocato, preside, insegnante, impiegato, ma dirigere una “organizzazione” è faccenda del tutto diversa e manager non ci s’improvvisa (in Francia dove l’hanno capito con De Gaulle nel ’45, alla funzione pubblica si accede per merito attraverso l’ENA, l’Ecole Nationale d’aministration, così i politici anche nei comuni minuscoli sono affiancati da questi super funzionari). Nei comuni le entrate sono date dai tributi e dai fondi europei o regionali. Procurarseli e saperli spendere è l’unica cosa che conta, non è faccenda per un semplice amministratore di condominio, che nel suo lavoro non deve gestire risorse umane. Una narrazione suggestiva ma falsa nasconde in Italia, reame dei furbi maneggioni e degli improvvisatori, questa verità semplice ed amara. In terra di mafia, di corruzione, di scarso spirito civico è chiaro che tanti si presentano alle elezioni senza avere nessuna idea di cosa significhi “amministrare”. Per questi politici immaginari si tratta di conquistare il boccaccesco paese di Bengodi, dove “eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi”. “Amministrare” deriva dal latino “minister” che significa aiutante (minus-minore). La cosa curiosa è che “ministro” ha un contrario etimologico, che è “maestro”. Questa parola deriva da “magister”, composto di [magis] maggiore e dal suffisso [-ter]. Se il ministro è il minore, il maestro è il maggiore. Se ci pensate un poco, per amministrare puoi avere e sostituire tutti i ministri che vuoi ma almeno due maestri, insostituibili, sono necessari. L’ho fatta lunga, ma intendevo spiegare perchè per me il migliore governo della Repubblica sia stato quello di un maestro come C.A. Ciampi. Tutti gli altri hanno tirato a campare ed eccoci qui, indebitati senza essere felici.