Spazzatura/Una sola soluzione, la differenziata?

(Chicco Testa, Corsera, 12/7/2019) Roma soffoca seppellita dai rifiuti. Ormai si ammette apertamente che i cassonetti che rimangono saturi per giorni e i rifiuti abbandonati lì accanto non sono solo il risultato delle inefficienze dell’Ama, l’azienda che dovrebbe raccoglierli. Ma del fatto che, una volta raccolti, non si sa dove metterli.

Le strade funzionano da stoccaggi provvisori in attesa di miglior sorte. In Sicilia oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani continua a finire in discarica e buona parte delle regioni centro-meridionali esporta i suoi rifiuti al Nord o fuori dall’Italia. Ma al Nord non mancano le situazioni di sofferenza soprattutto per quanto riguarda i rifiuti di origine industriale, che non trovano sbocco negli impianti nazionali.

In questo scarto fra domanda e offerta si infilano avventurieri ed ecomafie, attirate da guadagni facili e realizzabili in breve tempo. Per tutti questi problemi c’è un’unica soluzione assolutamente chiara ed evidente per chiunque sia dotato di buon senso: realizzare un numero di impianti adeguato che colmi il gap fra produzione di rifiuti e la capacità impiantistica di trattarli. Senza questo non sarà certo l’aumento della raccolta differenziata a risolvere il problema.

I rifiuti li puoi raccogliere in tanti modi, ma quel che è certo è che poi vanno trattati. E tutte le diverse tipologie raccolte hanno bisogno di filiere industriali e tecnologiche. Non mancano infatti solo gli impianti di destinazione finale, ma anche quelli di riciclo. Per esempio della frazione umida che rappresenta circa il 40 per cento della raccolta differenziata.

Nonostante alcune eccellenti realtà collocate quasi esclusivamente nel Nord del Paese. Sembra che per alcuni l’espressione «economia circolare», la frontiera che l’Ue ha stabilito per i prossimi decenni, sia una specie di mantra consolatorio che avrebbe la capacità, se ripetuto più volte e ad alta voce, di far scomparire i rifiuti. Ma non è così.

L’economia circolare si nutre di filiere industriali e dei relativi impianti. La realtà non può essere esorcizzata. Gli obiettivi fissati dalla Ue per i rifiuti urbani e condivisi dall’Italia sono noti: 65 per cento di riciclaggio e conferimento in discarica sotto il 10 per cento. Il che presuppone che il restante 25 per cento venga avviato a recupero di energia tramite combustione, i famosi inceneritori. E infatti la Lombardia è la Regione che più si avvicina a quel modello con circa il 60 per cento di materiale riciclato, meno del 10 per cento in discarica e il resto incenerito con recupero di energia.

Eppure Milano ha conosciuto vent’anni fa una crisi come quella romana di oggi. Ora, quanti impianti per le varie tipologie sono in costruzione dalla Toscana in giù? Praticamente zero.

Il ministero dell’Ambiente che dovrebbe dare vita a un immediato piano industriale che, secondo i calcoli di Assoambiente, richiede investimenti per circa 10 miliardi e sveltire procedure autorizzative che durano lustri, si culla nell’illusione del «piccolo è bello». Mentre il ministro competente accoglie a braccia aperte ogni comitato che si opponga a qualsiasi impianto. L’esatto contrario di quanto andrebbe fatto.