Il voto d’opinione e quello locale

Conversando su Lamezia con Carlo Puca, giornalista di Panorama, e Francesca Fanuele della 7, è uscito fuori il discorso sulle elezioni. Quanto incide sui risultati la cupola mafiosa che governa Lamezia? La mia opinione è ormai consolidata, il voto d’opinione nazionale (il brand e l’aria che tira) determina il voto europeo e nazionale, il voto clientelare è invece una parte del voto locale. La cupola non vota mai a caso, o sulla base di simpatie personali, ma punta su chi può vincere. Se l’aria che tira spinge verso Lega e 5 Stelle, è in quell’ambito che vanno fatti confluire i voti. La cupola non deve e non può stare mai all’opposizione. Per capirci, è quello che fa da sempre Bruno Vespa, il metereologo politico italiano.  Altro che Pagnoncelli, prima delle elezioni mi è bastato vedere come riveriva una idiota come Laura Castelli, cd esperta economica dei 5 Stelle. La vecchia banderuola sventola là dove lo spinge l’aria che tira, la quale intercetta, in una percentuale variabile e imprevedibile che si intravede nello scambio tra non votanti e votanti, il voto in libera uscita, fenomeno nuovo dopo che le appartenenze delle ideologie sono tramontate. Gente che sceglie di volta in volta chi votare, e si schiera con il cambiamento sulla base del seguente assioma: meglio il brutto nuovo che il vecchio bello. Nelle elezioni locali  meridionali al contrario le variabili aumentano. C’è sempre l’aria che tira (Mascaro aveva vinto ancora prima di iniziare, solo lui non lo aveva capito, altrimenti avrebbe fatto una, due liste), ma accanto c’è la variabile “investimento”, cioè voti comprati sul libero mercato, più investi più ottieni (il paio di scarpe di Lauro), poi ci sono gli accordi trasversali (scambi di pacchetti tra schieramenti diversi che rendono vacuo il discorso destra-sinistra), infine c’è la cupola mafiosa che deve stare al governo. Solo così si può capire il fenomeno D’Ippolito (il brand M5S non basta a vincere nei comuni e nelle regioni), un illustre sconosciuto che è stato  eletto tramite il rapporto con la Casaleggio Associati e sulla base della meridionalizzazione dei grillini (Giggino non è di Pomigliano?). Tornando all’aria che tira, è chiarissimo da anni che alla “classe operaia e media” non gli importa nulla della condizione delle donne, degli immigrati, degli omosessuali, anzi li detesta proprio. Gli interessano i diritti sociali. Certo, ma oggi sul Corsera Mario Monti ricordava: «Nel 2011-2012 l’Italia ha deciso di adottare, per non finire in default, dure misure. Tutti i partiti, con vari gradi di convinzione, hanno votato per un anno a favore di quelle misure e a loro va il merito di avere evitato all’Italia l’umiliazione di essere governata per anni in modo «coloniale» dalla troika. Solo due partiti allora capitalizzarono sull’inevitabile impopolarità di quei provvedimenti: la Lega, opponendovisi in Parlamento, e il M5S, nelle piazze e sui siti. Nel linguaggio allora usato da queste due forze, il governo italiano del tempo veniva spesso chiamato troika, come se si fosse trattato della stessa cosa! Sarebbe una nemesi — e speriamo davvero per il Paese che ciò non accada — che proprio quelle due forze dovessero sperimentare sulla loro pelle, ma anche su quella di tutti gli italiani, che cos’è la vera troika». Uno è libero di fare tutti i discorsi che vuole sulla sconfitta del pd e sulle sue ragioni, o sul cambiamento. Una cosa è certa, i social, la democrazia diretta, le cosche, il popolo, il sovranismo, non debbono farci dimenticare  cosa avvenne in un anno preciso, il 2011. Il 2018 ha presentato il conto, ma c’è sempre chi passa alla cassa dimenticandosi di chi quella cassa è riuscita a tenerla aperta. Se uno legge quello che ha dichiarato stamane al Corriere Tria, ministro dell’economia, la differenza con Padoan non la nota. Bisogna vedere quanti no lo sventurato sarà capace di dire.