Plusvalenze/ i 500 milioni di cartone dell’Inter

(twitter-Ju29ro) Se pensate che sul tema “plusvalenze” sia stato scritto tutto, vi sbagliate di grosso.
Nei giorni scorsi abbiamo riassunto gli inspiegabili motivi per cui per le plusvalenze altre società, in particolare l’Inter, siano sempre riuscite a navigare nel periglioso mare della giustizia sportiva senza subire mai penalizzazioni di punti, ma solo “ammendine”, irrogate a volte anche dopo patteggiamenti avvenuti in conclamata recidiva.

Negli ultimi anni, il club nerazzurro ha messo a bilancio plusvalenze su calciatori per circa 150 milioni.
Ma oggi non parliamo di questo. Concentriamo la nostra attenzione su una forma di plusvalenza diversa, più subdola, forse più dannosa per il sistema calcio: la plusvalenza sul marchio.

Subdola perché a differenza di quella sui calciatori, che di norma mette d’accordo due club sul prezzo di un atleta, la plusvalenza sul marchio è autoprodotta, ossia ogni club decide autonomamente, con la collaborazione di fantomatici periti indipendenti, il valore del proprio marchio. Di solito quanto basta per ripulire il bilancio. Poi lo vende a una società autocontrollata, che lo paga dopo aver ottenuto un prestito bancario pluriennale mettendo a garanzia il marchio stesso.
Questa operazione è un finanziamento occulto, che fa emergere un utile di bilancio o una riserva di rivalutazione di patrimonio, che consente alla società cedente di ripulire i parametri di bilancio e rientrare in quelli necessari alla continuità aziendale.
La società cedente poi rientra in possesso di questo asset immateriale dopo un certo numero di anni e un certo numero di rate di capitale ed interessi che versa alla società controllata.

E che sarà mai, voi direte? Ebbene, con questa forma di artificio contabile la società nerazzurra ha creato negli ultimi 20 anni circa 500 milioni di plusvalenze, da sommarsi a quelle sui calciatori.
Per ben tre volte, durante le gestioni Moratti, Thohir e Zhang, i fiscalisti del club hanno ottemperato alle pressanti richieste degli azionisti di maggioranza e hanno salvato la società dal baratro del patrimonio netto negativo che avrebbe impedito l’iscrizione alle competizioni.

Durante la presidenza Moratti avvenne nel dicembre 2005.
Emerse una plusvalenza sul marchio di 158 milioni che andò a sanare il buco di bilancio proprio nel 2006. Qui i dettagli per chi volesse approfondire:
http://urly.it/3vpd2

Dopo Moratti, e dopo altre acrobazie contabili, arriviamo alla gestione Thohir e al solito problema: perdite a otto zeri e patrimonio netto negativo. La vecchia operazione di Moratti è scaduta e ne possono fare un’altra. Lo schema è simile, un po’ più complesso, ma il risultato lo stesso: 132 mln di plusvalenze sul marchio che sistemano per un po’ il bilancio nerazzurro. Qui i dettagli, per chi volesse approfondire.
http://urly.it/3vpd3

E arriviamo ai giorni nostri. Siamo a fine 2020, in piena emergenza COVID. Il governo vara una serie di provvedimenti che dovrebbero aiutare l’economia nazionale a rimettersi in sesto, dopo la crisi pandemica. E indovinate un po’?
Alle società di calcio che redigono i bilanci con le norme italiane OIC (non alla Juventus, che usa IFRS) viene data la possibilità di sfruttare il cosiddetto DL Agosto (D.L. 104/2020) per una rivalutazione del marchio.
E l’Inter si butta a capofitto.
Stavolta il marchio non viene ceduto, ma rivalutato sempre sulla base di una perizia indipendente di cui non si conosce l’autore e l’effetto finale è lo stesso.
La rivalutazione genera una riserva di patrimonio da circa 200 milioni di Euro che consente di ripulire la perdita attesa e riportare il patrimonio netto in positivo, permettendo l’iscrizione al campionato successivo.
Qui i dettagli per chi volesse approfondire: http://urly.it/3vpd6

Riepilogando, circa 500 milioni di utili di cartone. Che si sommano a cifre simili sulla gestione calciatori. E che hanno permesso sempre in extremis l’iscrizione ai campionati. Ne parleremo ancora. Senza dubbio.