Mettere le mani avanti/ Un “ma” ci salverà

“Ci scusiamo ma, per un problema tecnico, non puoi proseguire». È l’avviso, accompagnato dall’invito «riprova più tardi», che con un moto di disappunto – seguito da animati commenti sul web – si vedono comparire ogni tanto sullo schermo dello smartphone i clienti di un primario istituto bancario mentre dalla relativa app stanno cercando di concludere un’operazione.

Un disappunto di breve durata, per la verità, perché nella maggior parte dei casi, se si riprova subito, anziché più tardi, si può constatare che il problema tecnico è già superato o magari non è mai esistito, e quindi chissà come nasce quell’avviso. Ma c’è qualcosa che non torna. Sorvoliamo sul «tu» confidenziale che è ormai la norma nei rapporti indiretti impersonali – tramite email o lettere rivolte a una generalità di destinatari – di aziende e enti vari nei confronti della clientela/utenza. Quel che non torna è proprio quel «ma».

Perché quel «ma»? Diciamo subito che non è una stramberia espressiva del primario istituto. Basta farci attenzione: «Ci scusiamo ma per i continui aumenti dati dalla scarsa reperibilità delle materie prime…»; «Ci scusiamo ma il prodotto che stai cercando non è più disponibile»: «Ci scusiamo ma stasera resteremo chiusi»; «Ci scusiamo ma l’apertura è rinviata»; «Ci scusiamo ma questa pagina non esiste più» (tutti esempi ricavati dal web). Ma, ma, ma…

E non è neppure una stramberia solo italiana: gli inglesi hanno «We apologize but…», i francesi «Nous nous excusons mais…», gli spagnoli «Nos disculpamos pero…», i tedeschi «Wir entschuldigen uns, aber…». But, mais, pero, aber – e chi ne ha voglia può continuare.

Insomma, che c’entra questo «ma» che ha tutte le sembianze di un pleonasmo? Un inutile «di più», che forse rivela di più di quanto non sembri. Si scusano, ok, e quindi ci spiegano perché, di/per che cosa si scusano: per il problema tecnico, per gli aumenti delle materie prime, perché il prodotto non è più disponibile eccetera. Questo e solo questo è ciò che logicamente dovrebbe conseguire alle scuse: la spiegazione del contrattempo, in cosa consiste e perché è avvenuto. Dopo «Ci scusiamo» ci attenderemmo due punti, o almeno una virgola, segni di interpunzione che introducono un enunciato esplicativo. Oppure una congiunzione subordinativa, ossia una di quelle congiunzioni che collegano una proposizione reggente con una subordinata che ne completa il significato; in questo caso una congiunzione subordinativa causale: «perché», «poiché», «per il fatto che», «dato che».

E invece tra le scuse e la spiegazione spunta questo «ma» che, tanto per cominciare, è una congiunzione coordinativa e non subordinativa, ossia ha la funzione di collegare due parole o due proposizioni che stanno sullo stesso piano logico, e soprattutto è una congiunzione coordinativa avversativa, che (citiamo dallo Zingarelli), «esprime, con valore avversativo più o meno esplicito, contrapposizione tra due elementi di una stessa proposizione o tra due proposizioni dello stesso genere: è povero ma generoso; sembra felice, ma non lo è; esco volentieri, ma non di sera». Dunque la frase che segue le scuse è una frase che si contrappone alle scuse?

Non proprio, in termini aristotelici potremmo dire che è contraddittoria. Non annulla le scuse, non ne è l’antitesi, però innegabilmente le attenua, ne contraddice (non nega) la necessità inserendole in un rapporto dialettico con la spiegazione di cosa è accaduto, intesa a sollevare da una vera responsabilità chi si scusa e in definitiva a renderne superflue le scuse, quale puro, discrezionale gesto di cortesia. Come è chiaro nel modo più lapidariamente esemplare in una frase ricorrente, in cui tutti prima o poi (e poi ancora) ci imbattiamo nella nostra vita: «Ci scusiamo ma non è colpa nostra».

Ma allora perché scusarsi, verrebbe da domandare. (Diverso il caso dell’allenatore di una squadra di calcio che di recente, dopo una pesante sconfitta, ha dichiarato «Ci scusiamo, ma questa sconfitta non comprometta il nostro percorso», dove l’ammissione di colpa è inequivoca e la congiunzione «ma» non svolge la funzione di attenuarla ma quella opportunamente avversativa di collegare una seconda proposizione che esprime l’impegno a non ricadere nella colpa).

In realtà – dietro le innocenti parvenze di un «ma» pleonastico che sembra ridursi a puro suono desemantizzato di cui spesso non si può fare a meno nella scorrevolezza del discorso (tutti noi diciamo, per esempio, «Scusa ma non posso venire», «Scusa ma non ho capito bene», in alternativa a «Scusa, non posso venire», «Scusa, non ho capito bene») – si annida la propensione malcelata a mettere le mani avanti, a non ammettere una propria mancanza ma a espropriarsene. È successo, succede questo, ma io non c’entro. Ecco come c’entra quel «ma». Trappole linguistiche della deresponsabilizzazione, un segno dei tempi.