La macchina del caos/ Come i social media hanno ricablato il nostro cervello, la nostra cultura e il nostro mondo

(…) Jacob, un intellettualoide magrolino, si era innamorato di Internet ed erano anni che smanettava con i computer. Le tecnologie sembravano rappresentare il meglio degli Stati Uniti. Ammirava in particolare i magnati del web come Mark Zuckerberg, ceo e fondatore di Facebook, secondo il quale un mondo connesso sarebbe stato senz’altro un mondo migliore. Quando Jacob aveva trovato lavoro in una società di outsourcing che revisionava i contenuti degli utenti di Facebook e di Instagram, una delle decine e decine che l’azienda ingaggiava in tutto il mondo, gli era parso di entrare a far parte della storia.

Ogni giorno la sua squadra spulciava migliaia di post di gente di ogni parte del globo, e segnalava quelli che infrangevano qualche regola o oltrepassavano un certo limite. Era un lavoro estenuante ma necessario, credeva Jacob. Per qualche mese, nel 2017 e 2018, Jacob e i suoi avevano però notato che i post si facevano sempre più carichi d’odio, più inclini alla cospirazione e più estremi. E avevano notato che, più i post erano incendiari, più le piattaforme li diffondevano. Era come se ci fosse uno schema ripetitivo, che veniva applicato nelle decine e decine di Paesi e di lingue che avevano il compito di controllare.

Era come entrare in una fabbrica di sigarette e sentirsi dire dagli alti papaveri che non capivano come mai le persone seguitassero a lamentarsi degli impatti sulla salute di quelle scatoline di cartone vendute dalla loro azienda.

L’ideale alla base delle aziende della Silicon Valley, secondo cui spingere le persone a passare sempre più tempo online arricchirebbe le loro menti migliorando il mondo, aveva preso piede in particolare tra gli ingegneri che davano forma al prodotto finito. « Man mano che aumenta la portata e abbiamo più persone coinvolte, l’asticella si alza », mi disse un’ingegnere senior riguardo al news feed di Facebook. «Ma penso anche che ci siano maggiori opportunità per le persone di ritrovarsi esposte a idee nuove». Qualsiasi rischio generato dalla piattaforma, e dalla sua missione di aumentare al massimo il coinvolgimento degli utenti, sarebbe stato mitigato dalle soluzioni tecnologiche, mi assicurò quella dirigente.
Ma il modello di business, ossia tenere la gente incollata alle piattaforme per quante più ore possibile, nonché la tecnologia impiegata per raggiungere tale obiettivo rimanevano perlopiù identici. E mentre i problemi che queste aziende avevano promesso di risolvere si aggravavano, esse facevano più soldi che mai. In seguito scoprii che, poco prima della mia visita, alcuni ricercatori che erano stati incaricati da Facebook di studiare gli effetti della sua tecnologia, dopo che si era sempre più diffuso il sospetto che il sito stesse esacerbando le divisioni politiche in America, avevano avvisato l’azienda che la piattaforma stava facendo esattamente ciò che i dirigenti, parlando con me, avevano escluso. « I nostri algoritmi sfruttano l’attrazione del cervello umano per gli argomenti divisivi », avevano affermato questi ricercatori nella loro presentazione del 2018, che successivamente trapelò e fu ripresa dal « Wall Street Journal ». Anzi, proseguiva il rapporto, i sistemi di Facebook erano progettati per mostrare agli utenti « contenuti sempre più divisivi per conquistare la loro attenzione e farli stare sempre più a lungo connessi ».
Il giudizio tradizionale dei primi tempi – secondo cui i social media promuovevano il sensazionalismo e l’indignazione – seppur accurato si rivelò decisamente un eufemismo. Oggi esiste un corpus sempre più ampio di prove, raccolte da decine di studiosi, di giornalisti, di “talpe” e di cittadini preoccupati, che suggerisce che l’impatto dei social sia stato ben più profondo. Questa tecnologia esercita un’attrazione talmente forte sulla nostra psicologia e sulla nostra identità, ed è talmente pervasiva nelle nostre vite, da cambiare il nostro modo di pensare, di comportarci e di relazionarci con gli altri. L’effetto finale, moltiplicato su miliardi di utenti, è quello di cambiare la società stessa in cui viviamo.