Malaffare nel pubblico dalla Calabria al Lazio: basso rischio di essere scoperti

Due notizie di cronaca che spiegano come il malaffare, dalla Calabria al Lazio, non solo sia diffuso ma diventi “stabile modus operandi” per cui una intera organizzazione di lavoro diventa complice dei malfattori e chi non si adegua lo fa a proprio rischio e pericolo.

La cosa più importante di tutte è dove avviene tutto questo, in aziende pubbliche. Ciò significa che la risposta, in termini preventivi e repressivi da parte dello Stato, è  considerata inefficace, per cui le possibilità di farla franca superano di gran lunga i rischi. Ora, mi chiedo, situazioni del genere potrebbero essere debellate con facilità e invece diventano problemi irrisolvibili come la lotta alle mafie. Chissà perchè.

LOCRI Visite mediche realizzate col paziente in contumacia, ricoveri tattici per fare saltare udienze antimafia, analisi cliniche redatte a tavolino: è il reparto di psichiatria dell’ospedale di Locri l’epicentro dell’ennesima inchiesta della Procura sul nosocomio cittadino. Un’inchiesta che «ha restituito un’immagine desolante di alcuni reparti dell’ospedale di Locri – scrive il Gip – in cui i medici e i responsabili hanno abdicato ad un corretto esercizio» della professione «a vantaggio dell’interesse di alcuni privati, oltre che di un proprio tornaconto in termini di dazioni di denaro o altre utilità».

L’indagine ha infatti scoperchiato, scrive il Gip, «uno stabile modus operandi noto e condiviso anche da molti altri sanitari del nosocomio locrese, i quali a fronte delle istanze di Lascala si mostravano disponibili a redigere i certificati da lui richiesti anche in assenza del paziente».

Nella sostanza, ipotizzano gli inquirenti, Lascala era diventato il centro di un vero e proprio sistema di malaffare ormai così radicato da essersi esteso anche nel laboratorio di analisi e nei reparti di ortopedia, otorinolaringoiatria, fisiatria, ortopedia, diabetologia: un sistema in cui le indagini hanno evidenziato «una consolidata pratica della tangente, ossia ad un diffuso mercanteggiamento della funzione pubblica» e che risultava fruttuoso sia quando si trattava di una pratica per la pensione, sia quando si trattava di venire incontro ad un paziente che non voleva presenziare a due udienze antimafia.

Nel pantano medico amministrativo venuto fuori con l’indagine Sua sanità – 90 indagati, due medici agli arresti (Lascala e Bombara), altri 5 (Argirò, Panetta, Zavettieri, Gratteri e Pascale) interdetti per 12 mesi – si intravede anche qualche spiraglio di luce. Ai tanti sanitari che abdicando «ad un corretto esercizio» della professione «a vantaggio dell’interesse di alcuni privati, oltre che di un proprio tornaconto in termini di dazioni di denaro o altre utilità» si sarebbero prestati alle manovre messe in campo dallo psichiatra Lascala, ci sono infatti anche medici che in quelle stesse corsie hanno saputo dire di no.

ROMA Secondo la procura, come spiega una consulenza tecnica appena depositata agli atti dell’inchiesta sui furti di carburante nella municipalizzata dell’ambiente (AMA), i ladri sarebbero più di 2.000 (sui 6mila totali) e in 4 anni avrebbero fatto sparire quasi 300 mila litri di rifornimenti.

Nelle vecchie inchieste, gli investigatori hanno anche registrato gli scambi tra operatori infedeli. “Con questa me ce pago er mutuo”, diceva uno di loro a un collega. Intanto, in sottofondo, rumori metallici e pure sversamenti di carburante. Si tratta della tecnica del succhio: si infila un tubo nel serbatoio del mezzo da svuotare, si risucchia l’aria con la bocca ed ecco che il gasolio inizia a fluire verso la tanica.

Nel frattempo la pratica si è evoluta. Ora si punta sulle carte carburante. Quattro operatori sono stati appena licenziati in tronco dalla municipalizzata dei rifiuti che, oltre alla cacciata, ha anche presentato un esposto, denunciando gli autisti infedeli. I dipendenti hanno infatti sottratto all’azienda 1.500 euro di benzina che, non essendo mai finita non nei camion della flotta aziendale, potrebbe aver rimpolpato le loro auto private. Oppure essere stata persino rivenduta.