Siccome diminuiscono gli studenti non si potrebbero pagare di più i docenti?

Sabino Cassese (1935) è uno dei nostri massimi esperti di pubblica amministrazione, è stato ministro per la funzione pubblica nel governo Ciampi (1993-1994) e giudice della .Corte Costituzionale. In una intervista su il Foglio (30/4/23) ha sottolineato come in Italia i media andando sempre dietro alla notizia del giorno trascurino i problemi atavici. Ha detto : “La popolazione giovanile diminuisce, vi sono sempre meno studenti, il fabbisogno di personale addetto ad alcuni servizi è minore. Invece di roboanti annunci di migliaia di nuove assunzioni, dovunque, ma specialmente nella scuola, non si potrebbero “girare” le relative risorse agli attuali addetti, a partire dagli insegnanti, in modo che siano meglio retribuiti e che i loro posti ridiventino attrattivi?  Dovrebbe essere il tema di un dibattito pubblico suscitato dai media, se questi non vogliono andare sempre a rimorchio”. 

Cassese insomma ha spiegato che solo quando l’opinione pubblica si muove, la politica può capire.  “Penso al ruolo di utopisti come il Marx del 1848 o il Beveridge del 1942, o il Roosevelt di quegli stessi anni.”

Cassese ha ragione, ma non si può dire che la stampa, ed i sindacati, non abbiano già da tempo suonato l’allarme sul calo “demografico” nella scuola italiana. Il 4 marzo 2023 (https://www.money.it/scuola-calo-demografico-130mila-studenti-in-meno-cosa-succede-agli-insegnanti) la domanda rimbalzava sul web. 

130mila studenti in meno previsti già nel prossimo anno scolastico 2023/2024

Dopo le iscrizioni all’anno scolastico 2023/24, abbiamo registrato 130 mila studenti in meno. L’equivalente di una città di medie dimensioni. Nell’anno scolastico precedente abbiamo avuto circa 100 mila alunni in meno. Questo è il trend che si verifica: circa 100 mila alunni in meno ogni anno scolastico. Da qui ai prossimi dieci anni perderemo circa 1,2 milioni di alunni”. A dirlo Jacopo Greco, Capo Dipartimento per le risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero dell’istruzione e del merito, intervenendo al seminario Snals-Confsal “Il PNRR per l’istruzione e la ricerca: idee, progetti, processi, fatti, risultati. Il punto della situazione e prospettive”.

Rispetto a questo quadro – ha aggiunto – si è deciso di dare attuazione al fenomeno della denatalità mantenendo lo stesso organico di docenti. Fatto non scontato. A fronte di una riduzione del numero di alunni, la normativa porterebbe a una contrazione anche degli organici. La politica portata avanti dal governo è stata invece quella di fare in modo che l’organico potesse mantenere una sua continuità. Il rapporto alunni-docenti diventa quindi più favorevole”.

Il numero degli organici dei docenti resta di fatto invariato per il prossimo anno scolastico.

Facciamo un esempio regionale.  Il prossimo anno nelle scuole pugliesi ci saranno circa 10mila alunni in meno. (Edicola del sud, 5/4/23)

Cosa succederà agli insegnanti se il numero degli studenti è destinato a scendere in modo drammatico? Quali saranno le ripercussioni reali del calo demografico sulla scuola, legato com’è anche all’emigrazione all’estero e alla cosiddetta fuga dei cervelli?
Sembra che la scuola italiana sia rivolta verso un baratro senza precedenti, dove a farne le spese potrebbero essere anche i docenti, già stremati dal precariato.

Già a dicembre 2022, infatti, il 56esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese aveva lanciato l’allarme. I numeri che confermano i timori sono i seguenti: 

20mila studenti in meno nell’anno scolastico 2015/2016 rispetto all’anno precedente;
75mila in meno nel 2018/2019;
100mila nel 2021/2022;
130mila in meno sono stimati nel prossimo anno scolastico 2023/24. 

Il rapporto Censis stima nel 2032 (rispetto al 2022 anno nel quale è stato elaborato il rapporto):

900mila persone in meno tra i 6 e i 13 anni;
726mila ragazzi in meno tra i 14 e i 18 anni.
Nel 2042, invece, la popolazione tra i 19 e i 24 anni avrà 760mila persone in meno rispetto a oggi con delle conseguenze evidenti anche sulle iscrizioni alle università del Paese.

Il calo degli studenti a scuola potrebbe contribuire alla creazione di meno classi pollaio che, invece, restano ancora una piaga nel sistema scolastico nostrano. Solo nell’attuale anno scolastico, specie nelle scuole secondarie e in particolare nelle classi prime, sono 13.761 le aule sovraffollate a partire dai 27 studenti in su.

Ma cosa succede agli insegnanti con il calo demografico che incide sulla scuola e quindi sulle iscrizioni future e sulla popolazione studentesca?  

Nulla nell’immediato, si continuerà a insegnare, continueranno a esserci i precari assunti dalle graduatorie provinciali delle supplenze o da quelle di istituto con contratti a tempo determinato anche per pochissime settimane, e continueranno, sperano i sindacati, le assunzioni a tempo indeterminato con le immissioni in ruolo.

D’altronde il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara ha annunciato concorsi molto probabilmente con il nuovo sistema di reclutamento.

Se il prossimo anno scolastico è salvo, per il futuro proporzionalmente alla riduzione degli studenti potrebbero anche diminuire le cattedre disponibili e le assunzioni degli insegnanti. Ricordiamo che già è previsto il dimensionamento scolastico con una riduzione di presidi e Dsga.

A leggere le dichiarazioni dei sindacati di categoria sulla questione “denatalità”, appaiono una serie di propositi, che mettiamo in ordine:

(1) “Sicuramente il calo demografico potrebbe essere un’occasione storica per ridurre il sovraffollamento delle classi che è molto pesante – dichiara Rino Di Meglio a capo di Gilda degli insegnanti – soprattutto nelle grandi aree urbane. Non dimentichiamo poi l’urgenza di dedicare più risorse all’insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri. La mancata relazione linguistica è una delle prime cause della dispersione scolastica.”

(2) “La drastica riduzione del numero degli alunni – ha dichiarato Marcello Pacifico dell’Anief – ci deve fare riflettere su quali siano le strategie per lottare contro la dispersione scolastica e per migliorare gli apprendimenti dei nostri studenti. Come Anief pensiamo che occorra aprire una riflessione sul tempo scuola e sul tempo-pieno, che deve essere garantito soprattutto al Sud e ancora su una rivisitazione dei tempi e dei cicli scolastici.”

(3) (Orizzonte scuola) Secondo Giuseppe D’Aprile, a capo della Uil scuola RUA, il calo demografico è sicuramente “un’occasione persa per portare il numero degli alunni per classe a 18/20. Numero che dovrebbe essere uno standard per il nostro paese“. Ma non solo. D’Aprile considera il calo degli alunni per classe “una prova di lungimiranza e una scelta coraggiosa che darebbe risultati certi e duraturi. Invece – commenta – ancora una volta si riducono gli organici e le classi restano sovraffollate. Ancora una volta sulla scuola si “fa cassa” e non si investe, segno di una politica miope che continua a considerarla quale fonte di risparmio e non di investimento“.

Come si vede, tra i propositi non viene contemplata un’altra possibilità storica, che è poi quella indicata da Cassese, e che sarebbe quella di aumentare gli stipendi degli insegnanti rendendo più attrattiva per i giovani la professione. Se infatti il governo mantenesse ferma la somma che si spende ogni anno per gli stipendi degli insegnanti pur in presenza di una loro diminuzione, si otterrebbe un aumento assolutamente necessario ed auspicato della retribuzione media dei docenti.

Ma i sindacati, e le forze politiche loro collegate, a parole da sempre dicono di volere un aumento delle retribuzioni, nei fatti vogliono che pur calando gli alunni il Ministero continui ad assumere altri insegnanti. Tutto il discorso delle classi pollaio, della dispersione, dell’italiano L2, serve a questo: spronare il governo ad assumere. Nessuno in Italia che abbia il coraggio di dire allora: l’aumento delle retribuzioni dei docenti non è necessario e non serve a nulla. Tutto sarebbe più chiaro.