I calabresi secondo Dario Brunori e secondo me (tristi rimuginanti)

Il cantautore cosentino Dario Brunori all’inizio del suo brano “La verità” (2017) canta:

Te ne sei accorto, sì/Che parti per scalare le montagne/E poi ti fermi al primo ristorante/ E non ci pensi più.

In questi versi ha descritto la nostra calabresitudine, un concetto che rappresenta uno stato d’animo, una predilezione, l’ inclinazione di un intero popolo.

Dario Brunori

I nostri antenati, i Brettii (o Bruzi), erano pastori nomadi, “una moltitudine di uomini di varia origine, per la maggior parte servi e fuggiaschi”. La nostra storia è storia di sottomissione (ai Lucani per esempio) e ribellione. Ostili ai romani, ieri come oggi, durante la II guerra punica i Bruzi si allearono con Annibale e con la sua sconfitta furono asserviti dai romani. Furono utilizzati come avanguardie forti e impavide nell’esercito romano. Insomma, sottomessi e ribelli, non siamo mai andati d’accordo con i romani e spesso abbiamo sbagliato a sceglierci gli alleati. Divisi in tanti popoli, la Calabria è stata sempre dis-unita, un babele di lingue, abitudini, usi, dominazioni. Distrutta di continuo da alluvioni e terremoti, si è dovuta rialzare per ricominciare daccapo perdendo di vista la continuità storica e facendo della precarietà e del vivere giorno per giorno il proprio orizzonte esistenziale.

La natura dei calabresi l’ho definita chiamandoli “rimuginanti“. Una cosa sono i pensatori, uomini di grande cultura che sviluppano il pensiero filosofico interrogandosi sulle grandi domande dell’umanità, sul significato della vita e del passare del tempo. Invece i rimuginanti sono in genere tristi depressi e soli perchè rimuginano, indugiano in maniera che può diventare ossessiva, sulle stesse domande, sugli stessi temi, mescolando il rimpianto con la nostalgia, la rivendicazione con la protesta, la giustificazione di quello che si è con quello che avrebbe potuto essere se il fato fosse stato più benigno. “‘U cane muzziche sempre u cchjù sciancatu”, ecco il verso, il proverbio, che compendia i rimuginanti, nel quale c’è al fondo una grande rassegnazione ed arrendevolezza, c’è il sentirsi piccoli ed inadeguati rispetto alle grandi sfide della vita, c’è l’autocommiserazione, però travestita con finto orgoglio, c’è l’invenzione di un racconto di quel che è avvenuto in passato congegnato per dimostrare di aver subìto ingiustizie immeritate.

Se la metà della popolazione calabrese risulta inattiva, cioè il lavoro neppure lo cerca, se nelle nostre aziende turistiche ci sono solo lavoratori irregolari, la nostra è la regione dello scoramento. I calabresi sono scoraggiati. Nel rimuginare c’è dunque il vittimismo comune, il sentirsi sempre perdenti ma per colpa degli altri più fortunati e protetti, una sorta di profezia che s’avvera (il complesso di Paperino) perchè è sempre andata così e il destino è immutabile e sovrastante. I rimuginanti hanno sempre fatto del loro meglio ma, come avveniva nella mitologia greca, i destini degli uomini vengono decisi dagli Dei nell’Olimpo. Che erano belli, eternamente giovani e dotati di poteri straordinari; ma allo stesso tempo volubili, capricciosi, litigiosi e vendicativi: tra loro ma sopratutto nei riguardi dei mortali.