Le radio locali, all things must pass

Incontro Paolo Giura, che io considero il miglior professionista tra tutti quelli che hanno lavorato in radio a Lamezia. Gli chiedo dove stia lavorando e mi spiega che ormai è diventato una partita iva. Fa lavoro autonomo, perchè non esistono più radio sul mercato come quelle dei nostri tempi, anni settanta/ottanta. Io a Radio Lamezia e lui a farci concorrenza.

Paolo Giura

Oggi esistono soltanto i grandi network nazionali: RDS diventata con il 2° semestre del 2022 la Radio più ascoltata d’Italia, dell’editore napoletano Eduardo Montefusco (1953) ; Radio Italia di Mario Volanti;  Rtl 102,5 del vibonese Lorenzo Suraci (1952); poi Radio Deejay e Capital della Gedi (Elkann); le radio di Berlusconi, Radio 105, R101, Virgin Radio, Radio Monte Carlo e Radio Subasio; la radio napoletana della famiglia Niespolo, Kiss Kiss. Sono rimasti sul mercato i soli network nazionali per il semplice fatto che l’unica entrata delle radio locali, la pubblicità, è venuta meno.

Spiega  il cosentino Edoardo Maruca: “…i franchising, gli acquisti in rete, la distribuzione capillare dei prodotti locali anche attraverso i supermercati nazionali, l’offerta enormemente superiore alla richiesta di bar, ristoranti e locali destinati a ogni target, hanno reso ormai inutile la comunicazione pubblicitaria radiofonica locale e i marchi della grande distribuzione preferiscono le radio nazionali… Per esempio, questa mattina a Cosenza ho ascoltato in radio la pubblicità di un gommista di Lamezia Terme, di un mobilificio della valle dell’Esaro e di un ristorante di Roseto Capo Spulico … Soldi buttati per gli inserzionisti ed entrate sostanzialmente nulle per le radio che, nel corso degli anni, si sono cannibalizzate abbassando i prezzi a dismisura anziché migliorare la qualità dell’offerta. Ricordo bene, quando a metà degli anni 80, Radio Cosenza Centrale vendeva uno spot da 30” a 12.500 Lire, (che oggi varrebbero 20 Euro). Sappiate che attualmente il prezzo medio per la messa in onda di uno spot locale si aggira sui 3 Euro (nemmeno un pacchetto di sigarette), con questi prezzi non si fa azienda”.

“Nemmeno l’obbligo vigente per un certo periodo di avere un direttore responsabile (giornalista) e del personale assunto, migliorò le cose. In molti casi gli editori assunsero fittiziamente sorelle, cugini o figli con piroettanti contratti part time, orizzontali verticali od obliqui, determinando un forte contenimento dei costi di gestione e compromettendo in questo modo il mercato pubblicitario a scapito dei pochi che invece avevano assunto professionisti a busta paga. Immaginate quanto possa costare la gestione di una radio fatta di solo musica. Un PC attaccato a un baracchino con la musica scaricata da emule che vanta la stessa dignità di una broadcast, con l’editore spesso espressione del peggiore proletariato ma con la scaltrezza di avere «occupato» una frequenza della banda e la certezza che nessuno gliel’avrebbe levata. Lo Stato non si è reso solo «colpevole» di avere concesso la trasmissione simultanea su tutto il territorio nazionale a pochi soggetti, ma anche di non avere fatto dei controlli accurati su queste metastasi.

Edoardo Maruca

Purtroppo il gioco è finito, le radio e le frequenze sono tutte in vendita e nessuno le compra, c’est la vie e tra breve, con l’inevitabile passaggio al Dab + (fino a 20 canali per frequenza), varranno ancora meno”. 

Le radio locali sono venute meno non solo per il calo degli ascolti provocato dall’avanzata delle radio nazionali, o per l’ascolto musicale libero su internet. Si sono anche svuotate dentro. Al loro interno sono scomparsi i professionisti (che come Giura hanno dovuto cambiare lavoro) e tutto è stato affidato a improvvisati che gratuitamente o quasi prendono la parola per abbandonarsi al luogocomunismo ( il venerdì: cosa fate nel week-end? Lunedì: che brutto ricominciare la settimana…). ” Il risultato è che le radio sono tutte con il cappio al collo. Alcune spengono i trasmettitori nelle ore notturne perché non riescono a pagare le bollette, altre dimezzano le potenze. Di tutti i soldi circolati negli anni gloriosi della radiofonia locale non è rimasto niente. In molti casi, i dipendenti, sono pagati con le provvidenze statali”. 

Allo stesso modo è cambiato il mercato discografico, ed è facile spiegarlo. Nel 1964 Bobby Solo con “Una lacrima sul viso” vendette 1,2 milioni di copie, il che significa che ciascuno di noi andò in un negozio a comprarsi il suo 45 giri. Erano soldi veri che andavano alla Ricordi, agli autori, al cantante. Oggi vedete in tv  Marco Mengoni che riceve il suo disco di platino o d’oro o di diamante. Trattasi in realtà di targhette e l’assegnazione di questi riconoscimenti avviene al raggiungimento di determinate soglie di vendita e di ascolto certificate con cadenza settimanale dalla FIMI, la Federazione Industria Musicale Italiana, in collaborazione con la società di analisi dei dati GFK. Si misurano parametri che nel tempo sono cambiati più volte e che da qualche anno tengono in sempre maggiore considerazione gli ascolti in streaming, oltre che le ormai ridottissime copie fisiche vendute nei negozi. Insomma, Mengoni o chi per lui, attraverso gli ascolti non guadagna più un euro ma soltanto riconoscibilità, il che gli consente di ottenere un ingaggio maggiore per i concerti. I cantanti oggi, al contrario dei grandi che di concerti ne facevano pochi e dischi molti, sono costretti per vivere ad andare in tv e a fare quanti più concerti possono. Le radio contribuiscono dunque agli ascolti e creano con qualche cantante sponsorizzazioni per i concerti, tutto qui. I tempi in cui Renzo Arbore lanciava dalla radio sul mercato “Dieci ragazze” di Lucio Battisti e il disco produceva danaro contante, sono finiti. Oggi le radio sono un anello del telefono senza fili che chiamiamo “comunicazione”, per cui Madame uno sa chi è perchè l’ha vista a Sanremo, ha sentito una sua canzone in radio e poi magari è andata a vederla d’estate in un locale.

Le radio locali che negli anni settanta sembravano, con gli “staff”, i dj, le dediche, le telefonate, le interviste, la possibilità concreta di “diffondere una voce libera” sul territorio, come un aquilone che si alza in cielo e non sa dove i venti possano portarlo (tutto dipendeva dall’antenna e dal baracchino), in Italia la politica è stata capace di annientarle.

E’ successo tutto per colpa di Berlusconi e Craxi. Anche le tv private, secondo la Corte Costituzionale, dovevano trasmettere solo in ambito locale. Ma la furbizia italica s’impose e Berlusca usò le cassette in ogni regione sfalsando di poco la messa in onda. In teoria e sulla carta non trasmetteva in contemporanea sulla intera penisola. Il suo socio Craxi lo coprì con i 3 decreti Berlusconi del 1984 e ’85 per cui, col tempo, scurdammoce o passato, simmo ‘e Napule, paisà. La tv privata diventata network nazionale ha via via inglobato le radio locali, dalla più piccola alla più grande, e questo incorporamento è stato possibile attraverso la pubblicità. E’ successo cioè che le agenzie di pubblicità forniscono a giornali, tv e radio le risorse per imporsi sul territorio nazionale per cui col tempo si sono imposti i pacchetti. Paghi uno e compri spot su tutti i media su tutto il territorio nazionale. Lo spot per l’impresa locale ha un valore solo a partire da una dimensione regionale (in Calabria Polimeni lo dimostra). La Fininvest nel 1979 crea Pubblitalia, che con Marcello dell’Utri sarà alla base del successo di Mediaset  e organizza la discesa in politica del Cavaliere. Uno che colà si è formato, Urbano Cairo, si mette in proprio sino a comprare Rcs , poi La7, e queste aziende, giornali e tv, le governa perchè i soldi li ha fatti e li fa con la pubblicità.

Ancora Maruca: “Negli Stati Uniti, per esempio, esistono solo stazioni locali (circa 13.000) che possono trasmettere lo stesso programma fino a sei ore al giorno (network). Ogni radio ha in concessione una (dico una) frequenza, spesso rappresentata sullo stemma della stazione e 20 miglia di tolleranza per abbattere il proprio segnale al di fuori del bacino assegnato. Qualcuno potrà ribattere adducendo la naturale selezione della legge di mercato, ovvero: ce la fanno i più forti. Non è così. Per una limitazione legislativa, la banda FM ha una capienza limitata e, ancora oggi, sono molte le frequenze occupate da questi lestofanti che sperano di capitalizzare vendendole. Mi spiace fare il paragone con le licenze dei taxi, ma rende l’idea”.

Avendo fatto tanti anni, ma soltanto per hobby, prima Radio Lamezia e poi per altri 10 anni un mensile cartaceo con lo stesso nome, ho avuto modo di conoscere il mondo che ho descritto, con professionisti veri come Giura e Maruca.

Per noi che un lavoro ce l’avevamo e la radio non era una impresa ma un hobby, la pubblicità serviva per non rimetterci di tasca nostra. Questo concetto me lo ripeteva sempre un amico che incontravo per essere finanziato. Si chiamava Salvatore Vitale, e la mia ammirazione verso di lui è stata sconfinata. Era un elettricista, abitando vicini ci conoscevamo da sempre e ci univa anche una affinità politica. La sua prima impresa di installazioni elettriche la cominciò quando io ancora facevo le elementari, nel 1958, con 5 dipendenti, nel 1962  aprì il primo negozio di materiale elettrico  e poi nel 1981 costituì una società di capitali, l’attuale grande impresa. Ogni volta che lo incontravo Salvatore era felice perchè a livello personale ero un  testimone del suo lavoro, della sua tenacia, della sua visione. La pubblicità che mi faceva fare alla radio e sul giornale sanciva il nostro legame perchè, come diceva, io credo in quello che di buono fai tu e tu sai che io ce l’ho sempre messa tutta per progredire. “Noi due siamo credibili“. E’ scomparso troppo presto nel 1999, ma Radio Lamezia nel mio cuore è sempre un brand che mi riporta a lui, rimpiangendo la stima reciproca che ci legava e quei periodi in cui, sia io che Salvatore, pensavamo sinceramente di poter cambiare il mondo pur vivendo a Lamezia.