I tartassati della classe media e il 60% di italiani “ultimi”

Un Paese senza una classe media rappresentata politicamente non ha futuro. La piccola e media borghesia è la parte della nazione intraprendente e produttiva che genera Pil, posti di lavoro, che crea nuove aziende, che si reinventa e che ha consentito all’Italia di diventare la seconda manifattura d’Europa. Ma è anche quella che consente un maggiore e più stabile equilibrio politico, economico e sociale e che non si fa attrarre da bonus e superbonus, dalle promesse di quota 100 (le persone della classe media lavorano oltre i 70 anni), dal reddito di cittadinanza, dagli sconti fiscali a pioggia. È la parte sana che, però, in questi 20 anni si è molto ridotta mentre si è ingigantito l’esercito dei poveri e sono spariti due valori fondanti e tipici della middle class: il merito e il dovere.

La soglia
Al loro posto si è tracciata una linea di demarcazione utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo che, tradotta in «reddito dichiarato», è stata fissata a 35 mila euro lordi l’anno. Oltre questo livello di guadagni si è esclusi da tutto: in primis dalla rappresentanza politica e sindacale perché questa parte di italiani, ormai ridottasi, sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da «spremere» quando serve. Una riprova? La dimostrazione la si ricava dall’indicizzazione delle pensioni all’inflazione che ha massacrato, ma ciò accade da tempo, gli assegni della classe media.

Non troverete nessun politico che critichi il bancomat delle pensioni; tutti, invece, su un argomento che tiene banco come le tasse sulla benzina, dicono che ridurre le accise è sbagliato perché ne beneficiano anche i ricchi. Un’ex ministra diceva: «tutti quelli che hanno redditi alti si dovrebbero pagare la sanità che dovrebbe essere gratis per i poveri», oggi la politica aggiunge altri vocaboli: i fragili, gli esclusi, gli ultimi e così via. Domanda: perché paghiamo le tasse? Per beneficienza?

Il problema, e poi torniamo al bancomat pensioni, è che in Italia secondo le ultime dichiarazioni dei redditi, il 60% della popolazione paga meno del 10% di Irpef e quasi nulla delle altre imposte salvo poca Iva (al Nord l’Iva media pro-capite è intorno ai 2.900 euro l’anno, al Sud è circa di 600 euro: consumano 5 volte meno?) e delle accise.

Per garantire a questa maggioranza di cittadini la sola sanità che da noi non lo dice nessun politico ma è gratis, occorre che qualche altro contribuente, guarda caso con redditi sopra i 35 mila euro, versi 58 miliardi l’anno quale differenza tra Irpef pagata e il costo medio pro capite della sanità (2.070 euro nel 2021). Il resto per questi cittadini è tutto gratis: scuola, servizi sociali, viabilità ecc.

Le proposte della politica
Ma non troverete un politico che abbia il coraggio di dire questa scomoda verità. Anzi si sposa il modello pauperistico e si fa a gara a chi offre di più; meno si dichiara e più alto è l’assegno unico e universale per i figli a carico, la paghetta di Stato, sempre a carico dei dichiaranti oltre 35 mila euro. E quando a 67 anni una persona, sconosciuta a Inps e Fisco, perché in tutta la vita non hai mai versato un euro di tasse e contributi chiede una pensione sociale, con tanto di quattordicesima mensilità, importo aggiuntivo e maggiorazione sociale, nessun ente di Stato fa domande: paga su semplice richiesta.

Ma c’è anche chi vuole portare l’assegno dei circa 7 milioni di pensionati totalmente o parzialmente assistiti a 600 euro subito e a mille euro il prima possibile. Costo per la seconda opzione altri 27 miliardi l’anno oltre i 145 miliardi di assistenza sociale (compresi gli 8 dell’assegno unico e i 9 del reddito di cittadinanza) a carico dei soliti noti o a debito.