La lettera d’addio della pittrice finlandese in fuga dalla Sicilia: “La scuola non funziona, per i miei figli serve altro”

FRANCESCO SCOPPETTA Grazie alla famiglia finlandese Mattsson che ha criticato il nostro sistema scolastico all’inizio del 2023, siamo in grado di ottenere una foto nitida della nostra situazione scolastica sulla base delle reazioni che ha provocato. Quelli che dovevano stare dentro la foto ci sono tutti, quelli che dovevano reagire lo hanno fatto prontamente e basta resocontare le reazioni per trasmettere a futura memoria la foto di quello che siamo.

SPREZZANTI La scuola italiana data in franchaising ai sindacati ha subito trovato gli avvocati difensori: “La scuola Italiana ha 8 milioni di alunni. Qui si parla di uno o due finlandesi di cui non sappiamo nulla. La percentuale di persone che offendono scuola ed insegnanti ce l’abbiamo già in Italia. Non serve importare dall’estero” (Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti); :  “La scuola italiana non ha bisogno né di esempi né di morale. La scuola, come da noi pensata, laica e libera, dovrebbe essere lasciata fuori da sterili polemiche e da inutili strumentalizzazioni da parte di genitori – leggendo i social si tratta di questo – e da chi non la conosce arrogandosi il diritto di denigrarla. Chi parla male della scuola italiana non fa altro che parlare male del proprio paese. Difendiamo la scuola statale e nazionale e più rispetto per chi vi lavora con tanto amore e passione” (Uil Scuola, Giuseppe D’Aprile). Insomma, siamo al nazionalismo, tutto qui, al “nessuno tocchi la bandiera”.

STEINERIANI Assia Neumann Dayan su Linkiesta non le manda a dire: “Tutti a compiacersi con l’idea che il lavoro di insegnante sia una missione, quando in realtà può essere un ripiego e con questo noi genitori ci dobbiamo fare i conti (…) Non conosco nessuna persona con figli che parli bene della scuola italiana, nessuna, mai. Ma non conosco nemmeno nessuno che senta la necessità di trasferirsi in Finlandia. La verità è questa: la mamma finlandese ha le stesse pretese della mamma di Calvairate. Non sopportano l’idea che i ragazzini non vivano in una dimensione steineriana della realtà: l’asilo nel bosco, la natura, l’aria aperta, la ginnastica. Fanno i debiti per mandare i figli alla materna bilingue internazionale con 5 stelle sul Tripadvisor della Cerchia dei Bastioni, applicando tutta la mitomania di cui sono capaci nel mettersi in casa la teoria del one person, one language: uno dei due genitori parla al bambino solo in una lingua, ma se sei nato e cresciuto a Calvairate cosa vuoi che io ti dica”.

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI “La temeraria Eline Mattsson decide nell’agosto scorso di trasferirsi insieme al marito e 4 figli in Sicilia e precisamente a Siracusa. Il suo animo artistico da pittrice la fa inevitabilmente innamorare del nostro Paese, tanto da convincersi che l’Italia sia il posto giusto nel quale far crescere i suoi figli. Sole, mare, arte in ogni angolo, cibo ottimo, tutto sembrava essere perfettamente allineato per regalare a Eline e alla sua famiglia una vita da sogno. I suoi figli hanno rispettivamente 3, 6, 14 e 15 anni, il che le ha permesso di confrontarsi con varie realtà scolastiche. La sua esperienza è stata talmente traumatica che ha sentito il bisogno di scrivere una lettera alla testata giornalistica Siracusa News, nella quale spiega in maniera piuttosto seccata quanto il sistema scolastico italiano sia indietro. Si lamenta del fatto che i bambini e i ragazzi siano costretti a passare troppo tempo confinati nelle classi, senza sperimentare abbastanza il gioco all’aria aperta. Nella sostanza, Eline non riesce a capacitarsi del fatto che, per la scuola italiana, il benessere degli studenti non sia in cima alle priorità di tutto il sistema.

“Il suo sfogo, sebbene possa sembrare retorico, ha reso un’impietosa ma reale fotografia di ciò che vivono i nostri figli nelle scuole che frequentano ogni giorno. La verità è che ha assolutamente ragione, “ma per poter applicare il modello finlandese in Italia occorrerebbe ripensare interamente non solo il sistema scuola, ma tutto l’assetto sociale e culturale. Se lì si aspira al benessere collettivo, che passa attraverso quello di ogni singolo studente, qui si favorisce la competizione e le capacità del singolo vengono misurate sulla base di voti più o meno alti, che ne condizioneranno tutto il percorso di studi. Là c’è collaborazione e interazione, qui si tende a creare individui che vengono identificati in base ai risultati ottenuti, non in base alle reali capacità e inclinazioni”. E’ stata sollevata anche la questione “lingua inglese”. Nella sua lettera, Eline sostiene che suo figlio di 14 anni parla inglese meglio della stessa insegnante. Non faccio fatica a crederci”(Francesca Petretto, il Fatto). 

SETTE ORE ALLA SEGGIOLINA “Non si creda che la mamma finlandese sia solo stata sfortunata con i suoi figli, perchè posso testimoniare che anche il mio, nella civilissima Milano, ha passato cinque anni alle elementari seduto alla stessa seggiolina per sette ore al giorno, alzandosi solo per andare a mangiare nel refettorio della scuola, perchè il suo gruppo-classe, come le maestre amavano definire i nostri bambini, era troppo agitato e non meritava di giocare anche solo per cinque minuti fuori dalla classe”. Così scrive Maria Pia Baronceli (Gli Stati generali) che poi racconta:
Purtroppo abbiamo passato cinque anni ad ascoltare le lagnanze delle due maestre durante quelle insopportabili riunioni, in cui dipingevano i nostri bambini come dei piccoli banditi, anche un po’ indolenti, privi di ogni curiosità, in particolare quella verso lo studio che avrebbe potuto riscattarli dalla loro natura essenzialmente criminale. Eppure in classe gli scolari erano solo una ventina, non quaranta come negli anni Sessanta, e nessuno di loro è finito a San Vittore.

Mi sono sempre chiesta quale fosse la verità. Di sicuro era difficile far stare tranquilli quei poveretti per ben sette ore di lezioni frontali, in cui le maestre spiegavano e i bambini ascoltavano, a un’età in cui si ha voglia di correre e giocare. Neanche un adulto sarebbe contento di rimanere seduto a un banchetto tutti i giorni per sette ore di fila, senza dire una parola, senza che nessuno gli chieda di esprimere la sua opinione su nulla, e sapendo in anticipo che tutto quello che farà o dirà, verrà misurato con un voto o un giudizio.

Voi lettori che siete adulti e magari lavorate in ufficio, provate a immaginare che vi si chieda di non dire una parola per tutto il tempo che restate lì. Ma non solo, ogni volta che mandate un’email ai vostri clienti o agli altri colleghi, c’è qualcuno che vi dà un voto.

Provate a immaginare che per ogni vostra singola azione compiuta mentre lavorate, vi sia attribuito un voto da uno a dieci – come nel 2007, quando andava a scuola mio figlio –, a cui sia possibile aggiungere un altro voto generale, che non dipende da qualcosa in particolare, ma solo dal vostro atteggiamento, dal vostro comportamento. Il voto di condotta. E se per caso un giorno non abbassate lo sguardo mentre il vostro capo urla: «Attento che ti do un bel quattro!», ecco arrivare anche il licenziamento: «Ti licenzio perché oggi hai preso quattro in condotta, dopo che mi hai rivolto la parola senza alzare prima la mano!».

Le scuole dei paesi con un buon punteggio nelle statistiche internazionali, che misurano la qualità dell’apprendimento scolastico, non assomigliano per nulla a quella italiana dei giorni nostri. Riporto qualcuna delle notizie dei giornali sulle solite scuole finlandesi, sempre ai primi posti nelle classifiche europee: l’ora scolastica è di quarantacinque minuti, gli altri quindici minuti sono dedicati al gioco e i bambini possono uscire dalle classi. Le lezioni non sono frontali, ma i bambini si siedono intorno a isole rotonde alle quali si siede anche l’insegnante. Non vengono dati voti fino ai tredici anni. Non vengono assegnati compiti a casa. In tutte le classi ci sono dei computer da usare durante il processo di apprendimento.

Le nostre piccole prigioni per bambini – perché questo sono le elementari in Italia –, a cui seguono scuole medie concepite nello stesso identico modo, non sembrano dare invece buoni risultati. Basti solo un dato: in Italia i diplomati nella popolazione tra i 25 e i 64 anni sono il 62,9% contro il 79,0% dell’Europa, ed è laureato solo il 20,1%, contro il 32,8% nella Ue. A ciò si aggiunge che il fattore predittivo più importante nel determinare la probabilità per un ragazzo di ottenere il diploma o la laurea è il titolo scolastico dei genitori. Per dirla in soldoni: se prendete gli allievi di una prima elementare, e li fotografate di fianco ai genitori, avrete già una buona indicazione di chi si iscriverà all’università: solo i figli dei laureati, come aveva già denunciato don Milani nel suo “Lettera a una professoressa”.
Tutto cambia e niente è cambiato, anche nella scuola italiana.

Non bisogna infine dimenticare che la critica viene da una donna proveniente dal paese il cui sistema scolastico è stato riconosciuto come il migliore al mondo. Perché allora non provare a imparare qualcosa?

Ecco allora la domanda chiave. Alla quale fornisco io la risposta, che è poi quella di Alberto Arbasino che invitava gli italiani alla famosa gita a Chiasso. A mettere il naso un pò fuori casa, per evitare sempre di rimirarsi l’ombelico. Solo che è passato troppo tempo dagli anni sessanta, quando Arbasino lamentava che la vita intellettuale e culturale del nostro Paese fosse provinciale e marginale, che i valori identitari fossero calpestati o ridicolizzati, che bastasse uscire dai nostri confini per rendersene conto. 

La ministra finlandese dell’Istruzione Li Sigrid Andersson ha detto:
“Il nostro è un sistema che abbiamo costruito negli anni. Un secolo fa eravamo poveri, ora siamo all’avanguardia. Costruiamo la società del futuro partendo dalla base, cioè dall’istruzione e lo facciamo anche investendo molto sugli insegnanti. Sono preparati, competenti, hanno un buono stipendio e vengono rispettati per il ruolo che svolgono”.

Certo, là si diventa insegnanti dopo una selezione durissima, ecco spiegato il ruolo sociale e gli stipendi alti. Una volta un giornalista Rai andò a fare un reportage in una scuola finlandese e un preside dopo avergli illustrato le attività e mostrato gli ambienti, gli presentò gli insegnanti. Alla fine disse: “Eccoli, sono orgoglioso di loro, sono i migliori”. Il giornalista (la trasmissione era Report) gli fece: “Lei è allora un preside fortunato”. Il preside lo guardò e replicò: ” Fortunato? Non sa che sforzo ho dovuto fare per sceglierli uno ad uno, quanto impegno mi ci è voluto”. Il giornalista, convinto che tutti fanno come noi, con graduatorie e punteggi di anzianità, rimase come si usa dire basito.

Tre studentesse finlandesi che hanno frequentato per 6 mesi l’istituto tecnico che dirigevo mi hanno detto che la loro materia preferita a casa loro era “Il bosco”, una materia che è chiaro non prevede nessuna lezione in classe. Il fatto è che gli italiani anche se hanno vicino boschi e foreste prima di visitarli e viverli devono stare in classe a guardare le foto degli alberi, a imparare classificazioni e tipologie. Facevamo allora a metà mattinata un solo intervallo di dieci minuti e furono proprio quelle ragazze le prime a farmi capire che non era possibile costringerle a stare sedute in un’aula dalle 8 alle 13,30 ad ascoltare quattro o cinque conferenze al giorno. Nei nostri lunghi corridoi mi consigliarono di mettere salottini e mi invitarono (eravamo alla fine degli anni novanta) a trasformare le aule in laboratori perchè nella nostra scuola si sentivano “prigioniere”.  Insomma, il ripensare il nostro modo di fare scuola comincia da una edilizia scolastica rivoluzionata e non più basata come i conventi sulle celle. Per smantellare la lezione frontale dei replicanti occorre che la domanda “cosa facciamo oggi?”  prenda il posto di quella “cosa gli dico oggi?”. Gli studenti devono andare a scuola non solo per ascoltare silenti gli adulti, per leggere e ripetere, ma per fare, per muoversi, per costruire insieme, per confrontarsi oltre che per leggere e scrivere.   

LA PITTRICE (Tecnica della scuola) Elin Mattsson ha replicato: Parlo solo di una soluzione semplice. Fate uscire i bambini! Pause! Pause! Pause! L’aria fresca fa miracoli! E assicuro che il livello di rumore diminuirà e la concentrazione aumenterà! Molto semplice”.

 “Ci dispiace, questo non ha nulla a che fare con il paese. Abbiamo vissuto sia in Spagna che in Inghilterra. Non abbiamo problemi ad adattarci alla cultura, e sicuramente avremmo imparato anche l’italiano! Bella lingua! Volevo solo dire che nessuno a scuola dovrebbe essere sgridato, che la scuola senza pause e aria fresca rende l’apprendimento molto difficile per i bambini. I loro livelli di energia sono davvero troppo alti per concentrarsi. Non sono un esperto, ma volevo solo aiutare i poveri bambini. I bambini dovrebbero essere bambini, si impara giocando! Non voglio offendere nessuno, mi dispiace se la gente la prende in questo modo. Non bisogna essere troppo orgogliosi ma guardarsi allo specchio e chiedersi: ‘cosa possiamo fare di meglio?’

“Probabilmente è stato un bene per i miei figli, per capire davvero quanto era fantastica la loro scuola in Finlandia quando si lamentavano. Bisogna sempre sperimentare cose diverse per avere una prospettiva! Viviamo solo una volta e vogliamo davvero provare culture diverse. I siciliani sono persone molto cordiali e simpatiche, non è colpa loro se il sistema scolastico è così”.