4) Juve/ Calciopoli atto II/ i pm tifosi ci riprovano sempre

(fs) Uno apre Repubblica (giornale di Elkann) e legge (5/12/22) : Juventus, Grassani: “Rischio retrocessione, l’indagine è più pesante di Calciopoli”. Il parere è di un molto presunto esperto sportivo che, essendo l’avvocato del Napoli, ci ha già fatto retrocedere. Così vanno le cose in Italia, se il giustizialismo opera sulla base del tifo sportivo figuriamoci per tutto il resto. La repubblica dei pm e dei loro trojan, affiancati da una stampa asservita, è viva e vegeta, essendo l’unico potere (Palamara dixit) che sovrasta gli altri dopo averli ridotti (governo e parlamento) in stato di schiavitù. C’era una volta in politica  “il partito dei giudici”, ma adesso esiste solo “il partito dei pm”. Il giudice è il terzo che tra accusa e difesa decide. Il pm invece è una parte che accusa, i processi li svolge sui giornali, e quando il giudice assolverà lui il suo effetto lo ha già ottenuto.

Siccome sono juventino e gli amici mi chiedono cosa ne penso, vi allego quello che gli esperti di cui mi fido mi dicono. Vi spiego le cazzate che ha fatto la Juve, non mi interessa se le fanno anche tutte le altre squadre indebitate anch’esse, però vorrei tanto che i processi si facessero nei tribunali e non sui giornali. Calciopoli fu uno stupro del diritto, ma gli Agnelli non si difesero per nulla (il loro avvocato Zaccone chiese subito la retrocessione con penalizzazione!), stavolta si sono dimessi e confido che si difenderanno. Ricordate che quando i pm fanno uscire le intercettazioni sui giornali vuol dire che non hanno niente in mano. L’effetto che vogliono ottenere è quello del “trailer” (lancio) per un film in uscita. Spesso il film non mantiene le promesse del “promo”.

E’ stato proprio Tonino Di Pietro a spiegare lo schema dei pm “pericolosi” con un’evidenza che ogni giorno di più (29 anni non vi sembrano sufficienti?) diventa straordinaria. Di Pietro ha detto che ci sono pm che correttamente partono dalla notizia di reato e cercano i colpevoli, cioè partono dai fatti avvenuti (la democrazia liberale garantisce le libertà individuali). E poi ci sono i pm (da De Magistris ai giorni nostri) che rovesciano lo schema e partono dalle persone. Individuato il “presunto colpevole” (Davigo: non vi sono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti) lo indagano attraverso intercettazioni, pedinamenti e indagini per vedere se possono trovare a suo carico indizi o prove di condotte illecite.

(Valix) Negli ultimi anni la Juve ha vissuto una conclamata situazione di gestione imbarazzante, miope, ludopatica e per molti tratti incompetente. Più che il dibattito contabile, le perplessità sull’operato della Procura sono nel metodo e sui fini. E’ che la Procura non ha una vera tesi o una vera pista. Nella convinzione che qualcosa di losco la Juve avrà pure fatto, esplorano in modo confusionario vari filoni di possibili reati. E, non solo: a loro non interessa perseguire i singoli casi di irregolarità (neanche quando li trovano), ma sognano di scoperchiare un presunto sistema, una (prendendo a prestito dalla fisica) “teoria del tutto” che dimostri che la Juve è una sorta di architettura criminale che in maniera sistematica ha alterato il calcio italiano degli ultimi anni. Solo che non solo sistema non sembra esserci, ma addirittura più infangano, più si vede che di pianificato c’era ben poco: ai vertici Juve c’erano invece la più totale disorganizzazione e incompetenza, con un Paratici così irricevibile che non gli si affiderebbe la gestione del bar sotto casa.
Sulla questione dei quattro stipendi dei calciatori risparmiati per covid la Consob ha già riscontrato che le scritture private non erano vincolanti per il pagamento. Una promessa per quanto scritta con parole dolci non è un obbligo.

Sulla procura è sempre il metodo che lascia basito. Ad esempio personalmente sono d’accordo col principio per cui se Juve aveva obbligo legale di integrare quelle mensilità, allora doveva allocare queste spese sul conto economico dell’anno di Sarri, indipendentemente da quando si sono realizzati i versamenti: principio di competenza economica + principio di prudenzialità.

Ma se tu procura non mi riesci a dimostrare che tale obbligo c’era (e invece ti aggrappi a atti d’onore Whats-app oppure a pizzini oppure a talune promesse scritte ma non vincolanti) allora perchè comunque insisti nel sostenere ci sia falso in bilancio?

Cara procura, stai cercando un reato, oppure, non trovandolo, lo stai “creando” rivoluzionando a livello penale il concetto di prudenzialità nei bilanci? Cioè, se domani il presidente promettesse ad un giocatore il rinnovo, poi il CdA sarebbe costretto a contabilizzarlo come avvenuto? E se il rinnovo poi non avviene, dopodomani il CdA deve registrare una plusvalenza per il mancato aggravio sul monte ingaggi? Sarebbe follia.

Ed è per questo che penso che anche questo filone sugli “stipendi” fallirà. Come per il buco nell’acqua sul filone “plusvalenze”. Dove anche lì: qualche operazione (sulle centinaia che hanno provato a criminalizzare) su cui sarebbero potuti probabilmente andare a meta con delle condanne…c’era ma siccome erano accecati dal voler dimostrare l’esistenza di un maxi- sistema criminale delle plusvalenze, l’unico risultato concreto sono stati centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici buttati nel cesso.

(m. maccarrone) La Juve nei primi 5 anni di gestione Agnelli ha agito con coscienza , ogni anno alzavano di un 20% la cd potenza di fuoco contando su una crescita dei ricavi paragonabile, le plusvalenze stavano intorno ai 30/40 mln, fisiologiche, erano vere (lo sono quelle che generano cash flow). In quel periodo i ricavi crescevano ma ad un certo punto sono saturati, l’area commerciale era quella sulla quale si doveva puntare ma non cresceva abbastanza. Ad un certo punto dopo la cessione di Pogba si accende la lampadina, si comincia a parlare di plusvalenze come ricavo strutturale, ed è lì che la macchina si ingolfa. Non è una questione di leva, non hanno fatto debito perchè si basavano su ricavi futuri, è stato proprio un all in sul mercato giocatori, perchè nel commerciale non riuscivano a crescere come volevano. Il grosso problema allora è stato che le plusvalenze da fare erano ogni anno di più perchè sovrastimando i valori dei giocatori gli ammortamenti crescevano ancor di più. La Juve ad un certo punto per grosse colpe dello staff tecnico e per scelte sbagliate si è trovata con una rosa invendibile, quindi impossibilità a fare vere plusvalenze e ha cominciato a fare quelle che aggiustavano il bilancio ma non producevano flusso di cassa, con ricavi insufficienti per sostenere i costi e con plusvalenze che erano cosmesi. L’aumento del debito è stata una conseguenza.

In una SpA normale quotata in Borsa un aumento in 24 mesi solari di eur 700 mln a fronte di fatturati annui di 500 mln non si vedono. Non sarebbero mai stati permessi. Tutto comincia con la cessione nel 2016 di Pogba che costava 10 milioni eur lordi a bilancio per prendere Higuain che, a 29 anni, ne pesava 18 di ammortamento e 15 di ingaggio. Più del triplo. A questi aggiungiamo Pianic che pesava per circa 6 mln di ammortamento e 9 lordi di ingaggio, quindi totale 15. Dai 10 di Pogba siamo passati a quasi 50 milioni annui, cinque volte tanto. Sarebbe convenuto accontentare Pogba dandogli 10 netti e non avremmo creato questi scompensi.

(CATALDO INTRIERI -LINKIESTA) quelli che vomitano contro la Juventus

Un efficace termometro della condizione di un paese che si vorrebbe libero e democratico può essere anche l’analisi della sua stampa giudiziaria. In Italia la condizione è particolarmente miserevole e gli esempi si sprecano. Nell’ultima settimana ce ne sono stati due particolarmente significativi per la totale diversità di trattamento.

Sono due vicende giudiziarie che mischiano, come si suol dire, sacro e profano. La prima riguarda la più amata e odiata squadra di calcio italiano, la Juventus. La seconda un minuscolo ma grande Stato conficcato nel cuore d’Italia, il Vaticano.

La stampa italiana si è scaraventata in massa su una modesta storia di presunte irregolarità contabili la cui comprensione richiederebbe una robusta competenza legale e contabile, mentre ignora un inizialmente strombazzato scandalo finanziario (di maggiore entità economica) che dopo mesi di silenzio rischia di trasformarsi in un imbarazzante caso politico-giudiziario per il governo della più antica delle istituzioni, per la Chiesa romana.

I vertici societari della Juventus si sono dimessi in massa dopo un decennio di ininterrotti trionfi perché la procura di Torino ha loro contestato tre anni di asserite manipolazioni di bilanci che avrebbero fornito un’immagine finanziaria del club assai più florida di quella reale, con grave danno per gli investitori.

Il processo deve ancora iniziare, ma sulle prime pagine fioccano condanne inappellabili che le dimissioni degli amministratori (raro esempio di sensibilità) hanno alimentato.

Vano è far notare che a oggi nessun giudice (quel tizio, per intenderci, che deve essere terzo equidistante tra le ragioni dell’accusa e quelle della difesa) si sia ancora pronunciato e anzi, quando è stato chiamato in causa per emettere misure restrittive contro Andrea Agnelli e altri membri del Consiglio di amministrazione della Juventus, ha disatteso le istanze dei pubblici ministeri. Per liquidare ogni presunzione d’innocenza bastano, invece, gli estratti delle immancabili intercettazioni, qualche talk calcistico e un pugno di incomprensibili articoli del Codice penale.

Eppure si parla dell’ostica materia dei numeri e di bilanci complessi di società molto grandi, della valutazione di beni immateriali così fuggevoli come le prestazioni di calciatori per le quali, figurarsi, bisogna arrivare a un “fair value” che comporta la valutazione comparata di dati estremamente volatili.

Il quadro contabile e finanziario delle società quotate in Borsa come la Juventus deve essere redatto secondo i criteri dello IAS, un complesso di norme contabili adottate come standard internazionale e la cui applicazione concreta lascia ampio margine alle interpretazioni soggettive.

Eppure nel campo del diritto vigono due principi fondamentali: quello di legalità e di offensività, senza i quali non è possibile ipotizzare alcun reato.

Essi richiedono, per farla breve, intanto che ogni cittadino debba sapere prima di assumerle quali condotte siano illecite e, poi, che per essere punito debba aver arrecato, volontariamente o per colpa, un danno concreto agli altri.

In Italia esistono invece forme di reato – come appunto i delitti di manipolazione del mercato, falso in bilancio, e su un altro versante l’abuso di ufficio che flagella sindaci e pubblici amministratori – totalmente aleatori e vaghi nei termini per cui è pressoché impossibile trovare delle linee di condotta uniformi tra due procure.

Nel caso Juventus ancora non è dato capire, se non come ipotesi, l’entità della manipolazione e il danno arrecato agli azionisti.

Forse si potrebbe pensare a una alterazione delle regole di concorrenza sportiva se non fosse che l’inchiesta della procura calcistica c’è già stata e si è conclusa con un nulla di fatto (da qualche parte esiste una regola che vieta la possibilità di processare due volte lo stesso soggetto per la medesima infrazione, anche se diversamente qualificata e di diversa natura).

Senza contare che peraltro non si ha neanche la certezza che la procura di Torino abbia la legittimità a indagare visto che il più grave dei reati contestati (la manipolazione del mercato finanziario) si è consumato a Milano, sede della Borsa telematica. Non esattamente un particolare da poco.

Con decreto numero 532/18, la Procura generale della Cassazione testualmente sancisce che il «locus commissi delicti» (del reato di manipolazione informativa) deve «individuarsi a Milano, in quanto luogo dal quale la comunicazione diffusa al mercato divenendo accessibile ad una cerchia indeterminata di soggetti, …assume quella necessaria connotazione di concreto pericolo per gli investitori che il reato intende sanzionare».

Con ciò si sottolinea che il reato esiste solo se gli investitori sono stati realmente ingannati (e dei guai contabili bianconeri abbondantemente si sapeva anche senza origliare le chiacchiere dei cugini Agnelli).

Dunque come mai Torino ha ritenuto di distaccarsi da questo indirizzo e non ha invece attivato i colleghi di Milano?

Eppure dovrebbe essere ancora vivo il ricordo di quello che capitò a uno dei grandi pionieri delle moderne telecomunicazioni italiane, Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb, incriminato per reati fiscali e societari, arrestato e costretto a dimettersi dalle sue cariche (come il presidente della Juve) sotto la minaccia di misure cautelari, poi assolto da quello che il pm dell’epoca aveva definito «una colossale truffa allo Stato».

Memoria corta di un paese e del suo giornalismo che anticipa sentenze di condanna in automatico per mostri e potenti in disgrazia, ma per antico riflesso condizionato tace di fronte al potere della magistratura.

Solo due editorialisti, Emiliano Fittipaldi e Lucetta Scaraffia, hanno raccontato che cosa sta succedendo in un’insolita aula di giustizia nella Città del Vaticano dove si sta celebrando l’unico storico processo a un cardinale di Santa Romana Chiesa e ad alcuni cittadini italiani secondo regole che presentano una non trascurabile differenza da quelle dello Stato di diritto.

Il locale rappresentante della pubblica accusa ha depositato dei documenti che dimostrano la manipolazione non del mercato ma di uno dei principali testi di accusa che ha denunciato le pressioni subite da una signora già nota alle cronache giudiziarie ma ancora libera, a quanto pare, di operare e condizionare disinvoltamente, senza che nessuno si stupisca e si ponga delle domande.

Per di più la donna in questione, già condannata dalla giustizia vaticana, ha contattato direttamente il super teste assumendo di ricevere dagli alti vertici informazioni di prima mano sull’inchiesta.

La stampa che si è avventata per riflesso pavloviano su una registrazione telefonica del tutto ininfluente per il processo tra il Pontefice e il cardinale Becciu, il principale imputato, si è dimenticata della clamorosa rivelazione dell’ex grande accusatore e ha fatto finta di niente.

Per dire, che cosa succederebbe se in Italia un leader politico venisse falsamente accusato da testimoni oscuramente manipolati?

Ecco anche nella risposta e nella connotazione di questa amara realtà c’è il momento non felice di una democrazia condizionata e in sofferenza

L’avv. Grassani (del Napoli), il pm Santoriello e il mitico Sandulli che mandò la Juve in B insieme in un convegno del 2019