Perché al Partito democratico serve candidare Letizia Moratti

Il 20 ottobre il Foglio ha pubblicato un mio lungo articolo con un titolo molto assertivo: “La fine del Pd è una balla”. Una “balla” diffusa da chi ha interesse che il Pd declini e scompaia, com’è avvenuto per il Ps francese. Il titolo che meglio corrisponde a quanto sostenevo è però meno assertivo: “La fine del Pd potrebbe essere una balla”, ma solo se il partito riesce a darsi un’identità meno controversa e più comprensibile e attraente per gli elettori. Questa identità è a disposizione: aggiornata, è la vecchia e gloriosa identità socialdemocratica. Dopo aver tentato di spiegare perché un partito socialdemocratico non è mai riuscito a prevalere nel nostro paese, e senza sottacere le difficoltà che si incontrerebbero nel riproporlo oggi, ho sostenuto che per un partito di sinistra che accetti i princìpi di uno stato liberale di diritto e di una politica democratica non esiste una identità più coerente e comprensibile di quella socialdemocratica.

Da questa scaturiscono proposte di riforma che rispettano sia le esigenze di una sostenuta crescita economica, sia l’obiettivo di renderla compatibile con un benessere diffuso per tutti i cittadini, e soprattutto per quelli con minori risorse: senza crescita economica e maggiore efficienza istituzionale questi obiettivi non potrebbero essere raggiunti.
Il caso ha voluto che una scelta politica che dovrebbe essere affrontata in modo “socialdemocratico” (in modo “migliorista”, stavo per scrivere, se a questo termine non fosse stata data ingiustamente una connotazione negativa) si presenti oggi al Pd, proprio all’inizio della stagione congressuale: la candidatura di Letizia Moratti a presidente della regione Lombardia, una scelta maturata a seguito di forti dissensi interni nell’attuale gruppo dirigente. È opportuno sostenerla? La macchina organizzativa, locale e nazionale, del partito è da tempo avviata in una prospettiva diversa, la presentazione di una candidatura e di una lista del centrosinistra.

Da quanto scrivono gran parte degli analisti politici ed elettorali più esperti (per tutti cfr. Paolo Natale, in glistatigenerali.com, 6 novembre), questo produrrebbe una vittoria della lista sostenuta dai tre partiti di destra (probabile candidato Attilio Fontana). La lista Moratti potrebbe ottenere un buon risultato, anche se per ora è sostenuta soltanto dal Terzo polo, cosa che certo non giova a buoni rapporti col Pd. Al momento sembra che i Cinque stelle presentino un loro candidato, con esiti irrilevanti. Restano il Pd e le altre forze di centrosinistra. Ancora non sappiamo quale sarà il candidato che presenteranno, perché forse dovrà passare attraverso l’ordalia delle primarie: nel partito ci sono buoni esperti nei settori che la legge affida alla regione, ma tutti poco noti.

Si aggiunga che il valore del simbolo Pd sta subendo un continuo deprezzamento mentre, quando si voterà, la destra non si sarà ancora scontrata in modo evidente con i problemi che la rendono “unfit to rule” a livello nazionale.
Tra i cittadini lombardi è certamente diffusa una forte insoddisfazione su come funziona il governo regionale, e soprattutto la Sanità, il suo compito principale. Letizia Moratti, nell’anno e otto mesi in cui è stata vicepresidente della regione e assessore alla Sanità, si è distinta per iniziative che hanno migliorato questo settore e alcune di esse hanno incontrato l’ostilità o l’inerzia del gruppo di potere che domina la regione. Un gruppo che, formatosi all’interno della Lega e Comunione e liberazione nei lontani anni 90, è ininterrottamente al comando da più di trent’anni. Già questa situazione, da sola, richiederebbe un cambiamento, perché il potere corrompe chi lo detiene da tanto tempo e non teme contestazioni a seguito di una prevalenza elettorale consolidata.

Agli occhi dei quadri e militanti Pd le difficoltà a sostenere un’alleanza con una lista Moratti sono dovute sostanzialmente a due motivazioni: al fatto che le posizioni pubbliche ricoperte da Letizia Moratti, come sindaca e ministra e di recente come vicepresidente e assessore regionale, si sono sempre svolte nel contesto di governi di centrodestra. E che, come principale responsabile del governo della regione e della sanità, essa favorirebbe la sanità privata a discapito di quella pubblica. La prima è vera, ma non rilevante nel caso di una alleanza nella quale ciascuno dei contraenti manterrebbe la propria indipendenza e il programma dovrebbe essere concordato con le forze che hanno sostenuto la candidatura della presidente. Rilevante è invece la seconda motivazione, se fosse vera. Da quanto risulta da recenti dichiarazioni pubbliche, non mi sembra però che la candidata sia insensibile ai grandi obiettivi del Sistema sanitario nazionale, e ai profondi cambiamenti che la sua gestione in Lombardia dovrebbe subire per rispettarne lo spirito e venire incontro alle domande dei pazienti in condizioni più svantaggiate e più bisognosi di una sanità pubblica efficiente.

Insomma, come cattolica e manager capace, credo che cambiamenti in meglio ci potrebbero essere, molti dei quali suggeriti dallo stesso Pd durante i lunghi anni di opposizione. Cambiamenti che un sostegno esplicito alla sua candidatura, e dunque una partecipazione al governo in caso di una vittoria elettorale, non farebbero che rafforzare.
Ma quanto è probabile una vittoria elettorale di una lista Moratti sostenuta da Terzo polo, Pd e altre forze minori di centrosinistra, nonché da fuoriusciti dai partiti di destra? Nell’ipotesi che il successo elettorale della Moratti fosse travolgente – cosa improbabile al di fuori di Milano – e il consenso sul suo nome nel Pd e nel centrosinistra fosse convinto e privo di rilevanti defezioni – cosa ancor più improbabile – la possibilità che prevalga una presidenza Moratti non potrebbe essere esclusa, sia per i motivi di merito prima ricordati, sia e forse soprattutto, perché un elettorato conservatore, anche se critico sull’attuale gestione della sanità lombarda, la troverebbe più vicina alle proprie convinzioni e non sarebbe allarmato che il governo e le risorse della Lombardia cadano nelle mani degli odiati “comunisti”.

Non si dà invece la seconda condizione, esclusa e ribadita da tempo, e che sta ora provocando una affannosa ricerca di candidati noti e con un impeccabile pedigree di sinistra. Se così stanno le cose, anche se sono convinto che la lista di Letizia Moratti avrà un successo inatteso, assai probabilmente passerà un’altra legislatura prima che i cittadini lombardi riescano a sbarazzarsi di un gruppo di potere che ha mostrato tutti i suoi limiti. E prima che la sinistra possa evolvere in direzione di una vera socialdemocrazia.
La sconfitta che si preannuncia non è l’effetto di un destino cinico e baro. E il modo con cui implicitamente viene giustificata dal Pd – “saremo sconfitti, ma almeno avremo salvato la nostra verginità (?), la nostra identità di ‘vera sinistra’, che avremmo perso se ci fossimo alleati con la Moratti” – è una profezia che si autoadempie. Falsa, oltretutto, date le giravolte che il Pd ha compiuto in passato pur di raggiungere e restare al potere. Contenti i dirigenti del Pd, dovrei essere contento anch’io, sostenitore del partito ancor prima che nascesse. Ma contento non sono, come uomo di sinistra e cittadino europeo, italiano e lombardo.