Non si può essere antifascisti se non si è anticomunisti

(Alberto De Bernardi) Non è una novità parlare del rapporto irrisolto della sinistra con l’ideologia comunista e con la serie di eventi, che sono scaturiti dalla rivoluzione d’Ottobre fino ad oggi, che ad essa si richiamano.

Dalla parte giusta della Storia
Il rischio è entrare in un cortocircuito ideologico spaventoso per il quale il fascismo è condannabile come crimine della storia e il comunismo no perché stava dalla parte giusta della storia in quel lontano 1917. Ritenere cioè che nonostante le sue tragiche degenerazioni il comunismo appartenga ancora al progressismo e rappresenti ancora un’eredità per la sinistra sulla quale riflettere senza pregiudizi.

Ma in realtà è vero invece il contrario: Lenin stava dalla parte sbagliata della storia, come Mussolini, e il comunismo rappresenta una variante del totalitarismo altrettanto spaventosa e sanguinosa del nazismo. Non si può oggi essere antifascisti se non si è anche anticomunisti.

Il ministro anticomunista
Questa logica è emersa nei commenti alla lettera che il ministro Giuseppe Valditara ha mandato agli studenti per ricordare la caduta del muro di Berlino e il collasso del comunismo.

In essa era espresso un giudizio di condanna inappellabile di quella esperienza storica: una grande utopia che in ogni luogo dove si sia trasformata in un governo effettivo ha comportato non solo la fine della libertà, ma una scia di sangue seconda solo allo sterminio degli Ebrei.

Da più parti del mondo della sinistra è montata una levata di scudi sulla base del principio che siccome in Italia il Pci è stato un grande partito democratico – per fortuna nostra mai messo nelle condizioni di governare – ogni riflessione critica sul comunismo è improponibile, come se le immagini del carcerato Antonio Gramsci, di Luciano Lama e Enrico Berlinguer consentissero di stendere un velo pietoso su Stalin, Breznev, Mao, Castro, Pol Pot, Ceausescu, Honnecker e via elencando.

Scrive infatti il segretario della Cgil Scuola Francesco Sinopoli: «Nessuno, oggi, può e deve sentirsi orfano del Muro di Berlino, ovviamente. Tuttavia, rappresentare la storia del comunismo come male storico radicale, e come caduta dell’utopia della liberazione, ancora minacciosamente presente in Cina, ad esempio, non è un’analisi, è un giudizio, e pure falso.

Cioè per Sinopoli il muro di Berlino, i milioni di morti nei gulag e negli esperimenti economici dei piani quinquennali, la povertà cui furono costretti i sudditi dell’impero sovietico non sono sufficienti per «rappresentare la storia del comunismo come male storico radicale e come smentita irriducibile dell’utopia della liberazione», perché qui da noi c’erano Ingrao e Berlinguer che sono passati alla storia come dirigenti democratici quanto più si sono allontanati da quei modelli e da quella utopia, seppur avessero evitato di dirlo, sennò avrebbero perso il voto del signor Sinopoli.

Mentre viene fatta passare per propaganda la visione del comunismo presentata dal ministro Valditara, quella di Sinopoli dovrebbe rappresentare la «libertà del pensiero», una versione della storia scevra da ideologie; rappresenta piuttosto un’ultima thule di chi non riesce a fare i conti con la storia esattamente speculare a quella di quanti continuano a dire che il fascismo «ha fatto anche cose buone» e Mussolini ha fatto rispettare l’Italia nel mondo.

Ma la stessa domanda dovremo rivolgerla anche a Simona Malpezzi, capogruppo del Partito democratico al Senato, che ha accusato il ministro di fare propaganda; ma propaganda di cosa: dell’anticomunismo? Ma condannare il comunismo non ha niente a che vedere con la propaganda, esattamente come condannare il fascismo; altrimenti si diventa uguali a Giorgia Meloni che non condanna il fascismo, mentre la sinistra non condanna il comunismo.

Mentre l’identità repubblicana che Meloni e Malpezzi dovrebbero condividere dovrebbe fondarsi su una condanna unanime di entrambe le dittature totalitarie, invece che tenerle ciascuna nel proprio pantheon ideologico, da cui prendere distanze ambigue e contorte, ma da non rimuovere completamente perché la faccia di Mussolini e di Lenin sono inestricabilmente ancora rappresentative della loro più oscura identità. È qui che riemerge purtroppo come nelle identità politiche dei partiti italiani comunismo e fascismo costituiscano ancora dei macigni che pesano drammaticamente sulle loro visioni del mondo e impediscano all’Italia di uscire definitivamente dal XX secolo.