“Se l’energia ce la facciamo in casa risparmiamo gas per 40 miliardi l’anno”

Sappiamo che ci sta per arrivare una tegola in testa. Secondo varie stime, il 2023 ci porterà in dote una bolletta energetica che si avvicina a 400 euro al mese a famiglia. C’è di che far saltare non solo molti bilanci domestici, ma anche quelli di parecchie imprese, con relativa perdita di posti di lavoro. Eppure di fronte a questa disastrosa prospettiva sembra prevalere la rassegnazione. Finora la struttura energetica di base non è stata toccata: si gioca sui rimpiazzi per sostituire una parte del metano che la guerra ha fatto mancare, correndo così il rischio di passare da un rischio geopolitico all’altro.

Ma un’alternativa c’è. Non costerebbe un euro ai contribuenti, ci garantirebbe l’indipendenza elettrica, rilancerebbe filiere energetiche nazionali moltiplicando i posti di lavoro. A ZeroEmission, la fiera delle rinnovabili che si svolge a Roma dal 12 al 14 ottobre, l’associazione confindustriale del settore, Elettricità Futura, rilancerà puntando su un investimento di oltre 300 miliardi di euro in 8 anni per installare 10 gigawatt di energia rinnovabile all’anno da oggi fino al 2030. Si centrerebbero così gli obiettivi europei e si creerebbero 470 mila posti di lavoro.

Ottenendo una serie di vantaggi aggiuntivi non indifferente. “Se avessimo già raggiunto il mix elettrico previsto per il 2030, cioè circa l’84% di rinnovabili, l’Italia risparmierebbe oltre 40 miliardi di euro di importazioni di gas all’anno, al prezzo medio di settembre 2022”, ricorda il presidente di Elettricità Futura Agostino Re Rebaudengo.

Ci stiamo muovendo in quella direzione? I numeri ci dicono che stiamo andando nella direzione giusta ma a velocità così bassa che, se non metteremo il piede sull’acceleratore, falliremo l’obiettivo. “Abbiamo deciso di ripartire con la fiera della rinnovabili, dopo una pausa di 10 anni, perché il momento è maturo”, spiega Marco Pinetti, il direttore di ZeroEmission. “I tre giorni di dibattito tra aziende, esperti, istituzioni evidenzieranno però non soltanto le enormi potenzialità del settore, ma anche i nodi non risolti che stanno frenando il processo di transizione”.

Il problema centrale resta quello delle autorizzazioni. Come ha detto in maniera provocatoria Giorgio Parisi in un’intervista a Repubblica, “è più facile vincere il premio Nobel che installare un impianto fotovoltaico”. Districarsi nel ginepraio delle norme autorizzative per gli impianti di rinnovabili richiede grandi capacità tecniche e nervi d’acciaio. La corsa a ostacoli per presentare le carte rappresenta la prima efficace selezione. Cadono in molti. Su 100 dei progetti che riescono a concludere l’iter della presentazione quasi la metà è bocciata in sede di valutazione d’impatto ambientale (Via), l’altra metà viene decimata dal parere delle soprintendenze. I pochi superstiti se la devono vedere con i comitati d’opposizione locale.

Questo è il motivo per cui le rinnovabili in Italia sono al palo da 10 anni. Per la verità nel corso del 2022 qualcosa è cambiato. Nei primi otto mesi dell’anno sono stati allacciati alla rete 1.452 megawatt di fotovoltaico e 286 di eolico, una crescita rispettivamente del 151% e del 154% rispetto al 2021. Frutto anche di un paio di sedute del Consiglio dei ministri che hanno sbloccato alcuni progetti incagliati nelle secche della burocrazia.

Resta il fatto che, a due terzi dell’anno, la distanza dall’obiettivo di 8-10 gigawatt anno resta abissale. E il tempo è scaduto perché al moltiplicarsi di alluvioni e siccità figlie della crisi climatica si somma l’impennarsi dei prezzi del gas iniziato già prima della guerra in ucraina. Abbiamo la tecnologia, le competenze e i fondi per dotare l’Italia in tempi brevi di un sistema energetico basato su rinnovabili, storage, efficienza, economia circolare: un assieme che abbatterebbe rischi di approvvigionamento e prezzi. Possiamo scansare la tegola che ci sta per arrivare in testa. Ma non è detto che lo faremo.