Alla mia cara professoressa Parlati

La scomparsa della mia professoressa del ginnasio fa riaffiorare ricordi soltanto belli. Per la semplice ragione che la famiglia Parlati e la mia sono stati legati da un vincolo di amicizia che il tempo non ha mai logorato. Il professore Ettore Parlati è stato uno dei tipi più spassosi che io abbia conosciuto, i figli Annibale ed Eugenio hanno preso dai genitori l’ingegno e la passione sportiva, l’arguzia e l’affabilità.

Quando la scuola era una cosa seria, ma seria per lo spessore e l’altezza dei professori che la popolavano, poteva accadere che la mia professoressa, che non mi incuteva nessun timore per le ragioni che ho appena detto, mi tormentasse con la vita di Vincenzo Monti per un intero anno. Oppure, facendo una supplenza di greco, mi chiamasse alla cattedra per scoprire come avevo fatto a prendere in classe l’unico 8 alla versione scritta (le spiegai i suggerimenti giusti da quali compagni li avevo avuti).

Adesso mi accingo a fare, spero che si capisca, un’ operazione al limite dell’impossibile, sto scrivendo di lei nel mio italiano approssimativo e lei leggendomi non mi metterà più di 6 -.
Come successe una volta con un mio compito di italiano in cui citai Sapegno, faccio ora in Suo onore un’altra citazione, che è questa:
Se non dovessi tornare/Sappiate che non sono mai partito/Il mio viaggiare/è stato tutto un restare qua/ dove non fui mai. (Giorgio Caproni)
La mia cara professoressa la segnerà in rosso, lo so, e sul lato bianco annoterà:
? E poi, chi è Caproni?