Basta chiacchiere, questi sono i numeri attesi per sapere stasera chi li raggiunge

Sono chiamati al voto quasi 51 milioni di elettori, di cui 46.127.514 i residenti in Italia e 4.741.790 gli italiani all’estero. Questi ultimi in verità hanno già votato (avevano tempo fino alla notte di giovedì) e sono in volo gli aerei cargo con le loro schede. La novità di rilievo è che i diciottenni potranno votare anche per il Senato non essendoci più la distinzione per cui si accedeva solo dopo i 25 anni al voto per la Camera Alta. Si affacciano per la prima volta al voto in 2.682.094.

DI MAIO Di certo la palma del più ottimista spetta a Luigi Di Maio. In barba ai sondaggi, il ministro in queste settimane più di una volta ha ribadito come in queste elezioni “Impegno Civico può arrivare al 6%”, una percentuale doppia rispetto all’obiettivo della soglia di sbarramento che è fissata per le liste al 3%.
CALENDA Se Matteo Renzi sembrerebbe continuare a professarsi ambizioso, non appare essere da meno Carlo Calenda, suo alleato in queste elezioni. “Risultato sotto la doppia cifra sarebbe un insuccesso” ha dichiarato infatti il leader di Azione nelle scorse ore, con l’obiettivo del terzo polo che sarebbe quello di creare le condizioni per un bis di Mario Draghi a Palazzo Chigi. (il dubbio) Stavolta è toccato a Carlo Calenda, il quale ha fatto sapere a mezzo twitter che il suo Terzo polo non solo avrebbe superato il 10 per cento, ma avrebbe anche sorpassato la Lega di Matteo Salvini. Il che significa che la Lega stessa starebbe sotto il 10% , dunque abbondantemente sotto la soglia minima che gli garantirebbe la leadership in un Carroccio balcanizzato. Ma a ben vedere il segretario leghista non è l’unico a rischiare la poltrona.

FRATOIANNI La lista Azione-Italia Viva sarebbe però nel mirino di Nicola Fratoianni. Durante la chiusura della campagna elettorale, anche il leader di Sinistra Italiana che in queste elezioni correrà in tandem con i Verdi sembrerebbe essersi lasciato prendere dall’entusiasmo: “Saremo noi la sorpresa, faremo meglio del polo di Renzi e Calenda”.
SALVINI Sotto il 12 per cento sarebbe una sconfitta per Salvini, sotto il 10 sarebbe un tracollo. Ospite nei giorni scorsi del Forum Ansa, pure il capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari ha provato a sostituirsi ai sondaggi: “Il 17% alle politiche è stato il miglior risultato della nostra storia. Quello è il nostro benchmark, il nostro parametro di riferimento verso l’alto”.

CONTE (Repubblica) Se il miracolo riuscirà, e il Movimento 5 Stelle raccoglierà almeno la metà dei voti di cinque anni fa – ovvero il 16 per cento – Conte conquisterà i gradi di leader e guiderà un partito a sua immagine col quale tentare di rientrare in gioco quando si aprirà la prima crepa nella nuova maggioranza. Se invece rimarrà sotto il 10 per cento, uscirà di scena come un perdente. Anche Giuseppe Conte di recente si è mostrato ottimista, annunciando che “al Sud ci danno come primo partito; lo diciamo con tutte le cautele del caso ma questo significa, secondo gli esperti, che possiamo vincere molti uninominali”. Messosi alla guida di un Movimento morente, i sondaggi primaverili lo davano sotto il 10%, il leader del Movimento 5 Stelle ha puntato tutto a Sud e pare abbia recuperato l’inverosimile. Qualcuno lo dà addirittura sopra il Pd, dunque oltre il 20%, mentre per altri sondaggisti sarebbe intorno al 15%. In ogni caso un risultato clamoroso che, certo, dovrà essere confermato domenica sera. Anche se, va detto, in questi anni il Movimento 5Stelle è sempre stato sottostimato dai sondaggisti.
LETTA (Repubblica) La soglia psicologica minima è quella del 20 per cento, ma servirebbero quattro o cinque punti in più per affrontare il dopo voto senza lo spettro di un durissimo scontro interno e magari senza il rituale dell’ennesimo segretario bruciato. (mario lavia) A Enrico Letta – durissimo a difesa della «Costituzione più bella del mondo nata dalla resistenza», è l’ultimo leit-motiv – basta salvarsi in corner, sperare che Giorgia non stravinca, si può perdere sì ma senza crollare al tappeto, il che fuor di metafora significa, come ci ha detto uno dei massimi dirigenti, «evitare che il partito salti per aria». Il rischio c’è. Salvarsi vuol dire stare ben sopra il 20%, sotto questa cifra può accadere di tutto.

Accusato di aver mancato l’alleanza coi 5Stelle, che peraltro sono dati in grande spolvero, Letta potrebbe perdere la segreteria anche se superasse, risultato affatto scontato, il 22% dei voti. Se invece, come qualche sondaggista particolarmente ottimista ha fatto sapere, riuscisse addirittura ad arrivare oltre il 25%, beh, allora il posto di segretario del Pd sarebbe al sicuro.
MELONI Chi sembra sia al sicuro è Giorgia Meloni. Passata dal 5% a una previsione intorno al 25%, Meloni ha come ambizione quella di sfondare la soglia del 30%. Per alcuni sondaggisti si tratta di un obiettivo alla portata, per altri sarebbe ben al di sotto.

BERLUSCONI Infine Silvio Berlusconi. L’ultima uscita su Putin non ha favorito il fondatore di Forza Italia che alcuni danno addirittura sotto il 5%. Ma Berlusconi non è il segretario di Forza Italia, ne è il padrone. Dunque la poltrona è sua per censo.

ASTENUTI (Ipsos) Ci sono diversi tipi di astensione. Una è fisiologica, anzi fisica. Ci sono circa 2 milioni di italiani anziani o con difficoltà motorie che non riescono a recarsi all’urna. A cui si aggiungono i fuori-sede. Tra i 4 e i 5 milioni. Elettori che vivono a più di 150-200 chilometri di distanza dal comune di residenza e faticano a tornare. E poi ci sono i contagiati da Covid, costretti all’isolamento domiciliare: 420 mila.

Alle prime elezioni politiche nel 1948 gli astenuti erano il 7,8%. L’ondata antipolitica seguita a Tangentopoli ha dato il la. Dal 2013, un’ascesa inesorabile. Fino all’ultimo picco, nel 2018, con il 27,1% di astenuti». […]

In ogni caso si tratta di previsioni. Il voto, quello vero, ormai è vicino

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”

Vorrei essere governato da una persona che non dà del tu a Barbara D’Urso (ce n’era uno, l’hanno disarcionato). Sarà difficile, perché i leader dei partiti che sono andati nel salotto della D’Urso si sono abbandonati, senza distinzioni, a toni confidenziali, si sono lasciati cullare dal suo tono intimistico, hanno sorriso complici alle sue domande: «Sì, però scusami presidente», «Dicci la verità», «Dimmi, dimmi», «Scusami se mi permetto», «Fai un appello, segretario».

Non è il caso di fare gli schizzinosi o appellarsi a una presunta grammatica politica. D’Urso fa il suo mestiere e lo fa anche bene: esige che l’ospite si rivolga alla sua spettatrice ideale, «la comare Cozzolino di Laurenzana», versione in minore della casalinga di Voghera. Il tu confidenziale diventa così una visione della vita, una morale.

Quando la politica insegue la tv (con l’apporto dei social) succede che anche la politica si trasformi nel trash più collaudato. Come abbiamo potuto constatare in questi anni, il travaso dal populismo televisivo a quello politico è stato immediato e devastante e i programmi che coltivano il populismo e la sua rivalsa sono ormai tanti. Purtroppo, non si governa con il «live sentiment» né con il tu. Si governa solo con il lei, con il senso di responsabilità nei confronti dei problemi reali.