In sala il nuovo film di Walter Veltroni “E’ stato tutto bello” è dedicato a Paolo Rossi. Non lo andrò a vedere così come non mi sogno mai di vedere un film con Accorsi o Nicholas Cage. Quando lo sai prima che ti danno fregature cerchi di limitare i danni. Veltroni aveva promesso di andarsene in Africa a fare volontariato, ma da quando lasciò la segreteria del pd perchè il giochetto del “ma anche” non gli riuscì, ha messo su un’industria con la figlia e produce: film, romanzi, saggi, interviste, articoli, documentari. Ci aspettiamo a breve sculture, quadri, e chissà che cosa altro da uno che è sempre in predicato (dipende da Cairo) di dirigere il Corsera.
Juventino “ma anche” romanista se fa il sindaco di Roma, Veltroni non riposa mai, fa di tutto senza saper fare nulla. O meglio, sa fare tutto ma lo fa zuccheroso, è come quelle bustine di zucchero a velo con le quali ricopri il pandoro. Uno che è capace di intervistare per 113 minuti 39 bambini per il film (2015) “I bambini sanno”, pensando che può ricollegarsi al De Sica che ammoniva “I bambini ci guardano”, non capisce che De Sica era un genio e lui è al livello del figlio Christian.
Nel 2019 ha provato a fare un film (C’è tempo) pensando ad un vecchio film del 1964 di (nientemeno) Dino Risi con Walter Chiari e un bambino. Solo che Risi era un genio (uno che fa Il sorpasso, chi è, Veltroni?) e Veltroni un industriale. La trama è questa: Stefano (Stefano Fresi) lavora come osservatore di arcobaleni, un lavoro insolito. Da precario, ha altri lavoretti. Un giorno scopre improvvisamente di avere un fratello acquisito, Giovanni, ragazzino di tredici anni. Stefano parte, lasciando il lavoro in Piemonte per raggiungere Roma e conoscere il misterioso fratello. Basta guardare il film per 5 minuti ma il ragazzino o meglio Giovanni Fuoco, l’attore che lo interpreta, è così insopportabile che lo abbandoneresti come un gatto in tangenziale. Veltroni non sa fare neppure il casting.
Non oso parlare delle sue interviste che gli pubblica il suo amico Fontana sul Corsera. Ne cito una sola, quella fatta a Totti su Sette. Le domande sono così zuccherose che la glicemia sale all’istante. “Tu li abbracci i tuoi figli?“, “Sei un padre molto affettuoso?”. Le risposte di Totti sono sorprendenti e lasciano noi allegri lettori di stucco: Sì.
Uno come Veltroni, anzi secondo me un suo fratello gemello, è Fabio Fazio, un altro mieloso che diventa amico di tutti quelli che contano. Fazio è stato amico di Pavarotti, di Mike Bongiorno, di Baglioni, così ci ha lavorato assieme e ne ha anche tratto vantaggio. Veltroni si è legato a tanti, a Letta a Prodi e a tutto il generone romano. Poi al mondo Juve, per cui la sua amicizia con Giovannino, lo sfortunato erede designato dall’avvocato morto così giovane, la celebrò in diversi articoli post mortem. Dove trova il tempo per fare tante cose mediocri, per accumulare visibilità, dopo aver lasciato la politica sulla quale torna periodicamente per segnalare le tendenze del mondo? E’ facile capirlo, ha messo su una industria con la figlia e altri collaboratori e lui è il socio accomandante.
Devo dire, per finire, la verità, come politico lo seguivo e la vocazione maggioritaria che ha tentato di far assumere al pd mi è sembrata davvero una felice intuizione necessaria. Per usare le sue parole del 2007 (Un partito maggioritario, Repubblica): L’Italia ha bisogno di un partito che si proponga di dare cultura di governo al bipolarismo italiano. Se le parole hanno un senso, questo significa che il Partito democratico nasce per superare l’idea che quel che conta è vincere le elezioni. Ovvero battere lo schieramento avversario mettendo in campo la coalizione più ampia possibile, a prescindere dalla sua coerenza interna e dalla sua effettiva capacità di governare il Paese.
Il Partito democratico nasce per affermare un’idea diversa e nuova: quel che conta è governare bene, sulla base di un programma realistico e serio. E lo schieramento che si mette in campo deve essere coerente con questo obiettivo.
L’intento di Veltroni lo considero ancora oggi, 2022, necessario, coerente, saggio. Lui ci ha rinunciato con il giochino, diventato la sua malattia per accontentare tutti, del “ma anche”. Il nostro è un partito a vocazione maggioritaria ma anche un poco proporzionale, direbbe oggi per spiegare cosa è successo.
Quasi 30 anni fa, le ragioni dietro al quesito referendario proposto dai Radicali e da Mario Segni sulla revisione del sistema elettorale italiano in senso maggioritario erano chiare: si voleva “responsabilizzare” il corpo elettorale. Grazie al nostro imperituro “ma anche” il sistema maggioritario lo abbiamo annacquato con una quota del 25% di proporzionale (Mattarellum) per poter concludere che non funziona.
Noi non scegliamo mai, accumuliamo. Non diciamo: questo non mi serve e lo butto, questo mi piace e lo tengo. No, noi accumuliamo (basta dare uno sguardo alle nostre soffitte), perchè scegliere è sempre difficile. E fa perdere voti. In fondo è il vecchio tenere due piedi in una scarpa