Dire solo quello che gli altri vogliono sentirsi dire

Tanti anni fa a Firenze andammo a vedere la Juve con un mio amico. Tutti e due juventini, ci ritrovammo a stare in mezzo ai  tifosi viola, io silenzioso e imperturbabile. Il mio amico invece chiacchierava col vicino sfoggiando un accento tosco-calabrese. “Bravo, bravo”, diceva quando un calciatore viola faceva una bella azione, e “bravo” diceva allo juventino che faceva un bel dribbling. Io lo invitavo a star zitto e a non voler fare il super partes. Fu inutile perchè appena segnò la Juve lui non seppe trattenersi e gridò a squarciagola “Goal!!!”. Dovemmo scappare via perchè cominciarono a dircene di tutti i colori. Certe cose le puoi dire solo nei posti giusti.

Sui social oggi succede lo stesso, se tu vuoi dire, per esempio, che l’allenatore Allegri sia un reperto archeologico ti devi trovare il sito giusto e non devi osarlo dire sui siti degli juventini allegriani contenti. Le opinioni, perchè di questo sto parlando, possono essere collocate oggi soltanto negli appositi contenitori pro e contro (raccolta differenziata delle opinioni), anzi, magari è consigliabile non esprimerle affatto. Lo spiegherò tra poco, tutti ormai  possiamo esprimere opinioni, ma esse saranno catalogate, nella immensa biblioteca delle opinioni saranno desposte nel loro specifico scaffale. 

Un’attrice fiorentina, Gaia Nanni, sul Corriere Fiorentino, ha detto:
“Pesco nel grandissimo supermarket dei dialetti, delle miserie umane, delle età, delle estrazioni sociali, in una ricca antropologia culturale che mi permetta di stare lontano da Mirandolina o dalla quarta amante di Christian De Sica in Vacanze di Natale“.
Apriti cielo. Il cretino, perchè questo è De Sica, replica, insieme con tutti i suoi amici: “Tu lontana dai miei cinepanettoni? Ma chi ti conosce e vuole!”. La povera Nanni, come capisce chiunque abbia un poco di sale in zucca, aveva parlato in generale di “personaggi” e di “antropologia culturale”, non ce l’aveva con De Sica, però gliene hanno dette di tutti i colori lo stesso. Chi? Ma gli amici e devoti di Christian De Sica, naturalmente.
Pertanto è preferibile il silenzio, non recensire film, e neppure esprimere opinioni su qualsivoglia argomento o personaggio. 

Se io critico (attraverso qualsiasi mezzo), magari con ironia, Piripicchio, (attore, politico, scienziato, cantante, sportivo, sindaco), i suoi amici, familiari, gregari, servi sciocchi, non me lo perdoneranno. Ormai Piripicchio è possibile criticarlo soltanto in ambiti ben definiti dove si ritrovano tutti quelli e soltanto quelli che non amano Piripicchio. Non sto rivelando il terzo segreto di Fatima, sto parlando del mondo in cui viviamo in cui il famoso libero dibattito (ricordate Fantozzi che dopo la corazzata Potemkin annunciava il dibattito?) è stato davvero abolito, e ciascun tifoso staziona con la sua fazione nella sua curva con le sue bandiere, striscioni, cori e insulti. Certo, ci sono pure i Candidi (una fazione del film Divergent) che scrivono sui siti  notoriamente favorevoli a Piripicchio e ciò nonostante si ritengono super partes, coltivando quegli ideali che Foscolo chiamava illusioni ma poi erano la sua religione.

La politica avrebbe bisogno del libero dibattito, anzi è proprio nata grazie ad esso (polis, città). Finita l’epoca Micenea, l’assemblea cittadina, gli organismi politici e giudiziari si trasferirono in questo spazio della città, l’agorà, destinato a queste funzioni. La città è il luogo dei «molti», è anche il luogo che fa di tali molti un insieme, una «comunità» (κοινωνία).  Nella cultura politica greca la profonda avversione alla tirannide  si capisce subito: la tirannia è il dominio di uno sui molti, il regime fuor di misura.

Secondo quello che capisco io magari andrebbero ringraziate le multinazionali che hanno creato uno sfogatoio sul quale ogni carneade può esercitarsi sul web.  Non penso che l’odio on line sia il prologo di chissà quale violenza anche se, come per tutte le cose umane, c’è sempre l’altra faccia della medaglia. Ma, basta guardare i “commenti” che ormai seguono qualsiasi articolo pubblicato su un giornale on-line, ormai ci siamo giocati il dialogo, in quanto c’è chi parla ma nessuno ascolta più; c’è chi legge ma interpreta e capisce quello che vuol capire, insomma il vecchio dialogo era una comunicazione a due vie, e ormai abbiamo comunicazioni che procedono su linee parallele senza incontrarsi mai. Il passaggio dalla comunicazione tra un solo emittente e molti riceventi passivi (il tradizionale articolo di fondo del giornale di carta) a quella tecnologica in cui ognuno ha diritto di parola (a cominciare dalla piazza), ha creato una marmellata di opinioni, una maionese impazzita alla quale ciascuno di noi cerca di rimediare come può.

Faccio l’esempio di Luca Ricolfi, il sociologo che adesso scrive su Repubblica. Molti come me leggono Repubblica perchè c’è lui, altri, basta compulsare i commenti ai suoi articoli, protestano pechè un giornale come Repubblica lo fa scrivere. Voglio dire che ormai i “tifosi”, che una volta si manifestavano beceri a sostenere la squadra del cuore, sono tracimati in qualsiasi ambito. La caratteristica principale del tifoso è una sola: al contrario dello sportivo, non sa perdere, non accetta la sconfitta. Il tifoso fa parte di un gruppo che usa lo schema “noi contro loro”. Lo schema deriva dai nostri antenati primati, dagli scimpanzè, che vivono in piccoli gruppi formati dai 50 ai 150 componenti. La possibilità di poter comunicare all’esterno con qualsiasi mezzo, l’uno vale uno, l’azzeramento del dialogo a favore della propaganda e del tifo, gli odiatori che si sfogano h24 contro qualcuno o qualcosa, tutto questo lo dobbiamo alla trasformazione tecnologica incessante che viviamo.  Magari non ci piace ma neppure alle galline piacque il motore a scoppio o ai guidatori dei calessi le automobili.

Siccome sfogarsi on line è un fenomeno di massa,  ai giorni nostri, in cui ormai ognuno parla soltanto con quelli che la pensano come lui, è venuto meno il concetto di comunità, i molti essendosi frantumati in mille fazioni.

Infine, uno sguardo alla politica. I guelfi e ghibellini si sono moltiplicati a dismisura. La politica delle mille fazioni ha però un filo che riconnette tutti i gruppi politici, un massimo comun divisore: ogni gruppo dice solo quello che il popolo o una sua parte vuol sentirsi dire. Dire quello che l’interlocutore vuol sentirsi dire si apprende sin da bambini, tutta la scuola è costruita così, sul ripetere (a pappagallo) quel che piacerà al maestro. I guelfi e ghibellini contemporanei pertanto promettono soldi a tutte le categorie perchè tutti vogliono soldi (il lavoro non interessa più, meglio i soldi subito). Il vecchio concetto (greco) di giustizia e misura non esiste più e pertanto ci siamo giocati l’ordine politico che produce stabilità.