I partiti parlano di futuro, ma nessuno dice come sarà la prossima legge di Bilancio

L’accusa che generalmente viene fatta alle forze politiche è di pensare solo al presente e poco al futuro. È una critica più che fondata, altrimenti l’Italia non si ritroverebbe con un debito pubblico enorme e un pil stagnante da qualche decennio. Sebbene l’impostazione rimanga la stessa – promesse di elargire bonus e di spendere soldi che non ci sono – in questa campagna elettorale stiamo paradossalmente assistendo a un fenomeno opposto: i partiti propongono e illustrano programmi di legislatura, ma non si preoccupano dell’immediato. Di come, cioè, affrontare la grave crisi energetica ed economica che è già iniziata e che caratterizzerà almeno il prossimo autunno-inverno. Ieri il gas ha raggiunto quasi i 300 euro a megawattora, dieci volte il prezzo che aveva all’inizio del 2021. Il motivo è l’annuncio di Gazprom della chiusura del gasdotto Nord Stream dal 31 agosto al 2 settembre per una manutenzione straordinaria. È naturalmente il segnale che la Russia proseguirà con la sua guerra del gas e che quindi i prezzi resteranno alti a lungo (i future per il primo trimestre 2023 sono a 275 euro/MWh).

Ma se questo è il contesto, come pensano i partiti di affrontare la crisi? Con quali risorse? Di questo non parla nessuno, se non con generici cenni al taglio delle bollette, ma senza alcun riferimento concreto. Eppure il nuovo governo, che si insedierà a ottobre inoltrato, avrà poche settimane per presentare la legge di Bilancio. E i margini sono ridotti, molto lontani dalle liste di aumento della spesa e di taglio delle tasse di cui parlano i vari leader. Buona parte dello spazio fiscale della prossima Finanziaria è infatti già occupato dalle varie misure di sostegno in scadenza.

Qualcuna, come il taglio delle accise sui carburanti, terminerà il 20 settembre, cinque giorni prima delle elezioni, ed è probabile che dovrà essere il governo Draghi a estenderla. Costo: oltre 1 miliardo al mese. A dicembre, invece, termineranno: il Bonus sociale energia elettrica e gas, che per un quadrimestre costa circa 2,5 miliardi; l’azzeramento degli oneri di sistema per l’elettricità (1,1 miliardi); la riduzione degli oneri di sistema per il gas (1,8 miliardi); la riduzione al 5 per cento dell’Iva sul gas (800 milioni); il credito d’imposta a favore delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas (3,4 miliardi). Sempre a fine anno scade anche lo sgravio contributivo pari al 2 per cento per i redditi inferiori a 2.700 euro al mese (3,8 miliardi). Queste sono solo le principali voci contenute nel dl “Aiuti bis”. E per giunta, con i prezzi dell’energia in costante aumento, bisognerà vedere se a questi prezzi gli sconti presenti nel decreto approvato ad agosto saranno sufficienti.

Basti considerare che a fine luglio l’Arera, l’Autorità di regolazione dell’energia, ha stimato un raddoppio delle bollette a partire da ottobre. Ma da allora il prezzo del gas è aumentato ulteriormente ed è quindi verosimile che bisognerà spendere di più, o meglio (magari riducendo gli sconti sulle accise sui carburanti, visto che il prezzo del petrolio è in discesa), per dare lo stesso aiuto a famiglie e imprese. E qui stiamo parlando solo dell’effetto di prezzo, non della mancanza di volumi. Perché i partiti dovrebbero anche presentare agli elettori un piano di razionamento, spiegando quanto e a quali industrie verrà tagliato il gas. Il tutto in un quadro macroeconomico in cui l’Italia si è impegnata, nell’ultimo Def, a ridurre di quasi due punti il deficit e il debito. Più che quale riforma fiscale fare nella legislatura, è il caso che i vari Meloni, Letta, Conte e Calenda spieghino quale tipo di legge di Bilancio – di che entità, composizione e saldi – intendono approvare tra qualche mese.