Votare Letta sicuri che comunque vincerà Meloni

( 14/8/22) A parte che le elezioni politiche sono un po’ come il premio Strega: si sa già chi vince da un anno all’altro – che a volte nemmeno è uscito il libro. Voi dite, e come è possibile? Si sa, si sa. Allo Strega è così, c’è una scrittrice/scrittore che a un certo punto si impone, diventa – certo, i meccanismi non sono chiari, o meglio sono tutti romani – una specie di faro e tutti guardano a lei/lui. Più guardi, più ne parli, più il faro si illumina e più tutti vanno sotto il faro. Le elezioni politiche sono la stessa cosa, come lo Strega, si sa chi vince. A questo giro, ovvio, la Meloni. Si sa, si sa. Da un anno, dall’insediamento del governo Draghi. Quindi – voi dite – tu vuoi paragonare un premio letterario alle elezioni? Il voto dato a un libro che riguarda la sensibilità individuale alle complesse scelte politiche che vedono in gioco i destini dell’Italia e dell’umanità intera? Sì, sì. Proprio la stessa cosa. Non cambia niente.

C’è un politico che si impone e diventa un riferimento, un faro (anche se poi illumina poco e niente) quel politico raduna – per meccanismi non sempre chiari – molta gente sotto il faro. Non ci credete? Anzi, ritenete che il dibattito politico più prende d’aceto più smuove le coscienze ecc.? Vabbè, se credete questo, allora è inutile che andate avanti con questo articolo – che tra l’altro riguarda Enrico Letta, non Giorgia Meloni.

Le scelte politiche non sono complesse, così come ci vogliono far credere i talk televisivi dove i politici si esibiscono ogni ora del giorno copiando il meglio e il peggio dell’avanspettacolo. Le scelte politiche, un po’ come quelle che riguardano il premio Strega, si possono spiegare con la teoria della collana di perle. Abbiamo una collana. Per decidere se prenderla o meno, mica valutiamo tutte le perle, ossia tutti gli elementi del programma, i vari e molteplici candidati, se sono o non sono capaci, onesti, i precedenti ecc. No, checchè ne dicono quegli opinionisti molto impegnati a stilare sarcastiche liste di proscrizione, noi, della variopinta collana, valutiamo solo una perla, quella che ci sembra risplendere di più o più vicino alla nostra sensibilità. Certo, nella speranza che quella perla si porti con sé tutta la collana e alzi e nobiliti l’obiettivo.

Quindi? Quindi vince la Meloni. Voi dite, sì, come vince? Con quel programma menzognero? Una che dice che chi sceglie FdI sceglie la riduzione delle tasse? Mentre chi sceglie Enrico Letta sceglie la patrimoniale? Una che non dice che la flat tax al 15 per cento costerebbe miliardi, col solo risultato di far pagare a un operario la stessa aliquota di un miliardario. Mentre la patrimoniale proposta da Letta, si applicherebbe solo ai patrimoni multimilionari e tra l’altro per finanziare i diciottenni, il futuro. Quindi, perché dovremmo votare la Meloni? Ma io infatti non la voto, voterò Pd, come faccio da millenni. Ma è questo il punto. Se voto Meloni a me basta una perla e la tiro nella speranza che tiri anche le altre, se non la voto, mi basta evidenziare una perla per non votarla. E’ tutta una questione di momentanea simpatia o (nel mio caso) di millenaria antipatia. Questi sono i motivi delle scelte politiche. Poi vabbè, se credete ai talk televisivi o ai continui commenti sui media, ai politologi di professione, allora, come vi dicevo, non lo leggete questo articolo, che appunto parla di Letta, non di Meloni, che vince.
Voi dite, ma chi? Quella che è cristiana cattolica e madre? Sì, lo vedete? Vi ricordate quella cosa là, nei club giusti l’abbiamo parodiata, sfottuta e intanto ce la ricordiamo, quindi la Meloni risplende, ha luce e vedrete – si sa già da un anno – in tanti andranno sotto il suo faro. A parte poi che dalla sua ha il curriculum: la lenta ascesa, le cadute, il partito ai minimi storici, la risalite con quelle sue trovate e mimiche facciali, le interviste-confessioni nei programmi generalisti, i remix di “io sono Giorgia”. Comunque, la Meloni è la prima donna a candidarsi a Palazzo Chigi. Qua, tutti parlano di inclusione e poi a sinistra ci stanno sempre e solo uomini. Voi dite, vabbè, ma mica è femminismo questo. E sì, forse avete pure ragione. Ma mica tutti hanno letto Carla Lonzi e dunque possono contestare la posizione della Meloni sulla base del femminismo delle differenze. Dài, basta una perla e si vince: impariamo dallo Strega, a un certo punto spunta un faro e lo si premia, mica perché si leggono davvero i libri: si segue l’onda.

Ok, va bene, e quale sarebbero i motivi della luce del faro? Ah, boh, non tutti chiari. Diciamo che sono motivi che si adattano a costruire una narrazione. Le narrazioni contano, purtroppo. Contano solo quelle, perché non abbiamo tempo per analizzare, e tendiamo a scegliere la storia (la perla) che in quel momento pare rappresenti uno stato d’animo, personale e collettivo. Con Berlusconi non è stata la stessa cosa? Non abbiamo alla fin fine parteggiato per lui quando pulì la poltrona a Travaglio? Berlusconi aveva e ha molti demeriti, ma come non sentire la forza dell’uomo che va nell’arena e contesta i due domatori? Che tra l’altro – a proposito della collana di perle – non è che i due domatori stavano simpatici a tutti.

Narrazioni, purtroppo. E questa è la premessa, vince Meloni. Ma siccome questo articolo parla di Letta, veniamo a Letta. Il problema che Letta si sta ponendo è uno solo: come evitare il disastro. Certo anche lui agli esordi ha cercato una narrazione vincente. Metti l’anima e il cacciavite – evito gli occhi della tigre, perché: non ce la possiamo fare, siamo un po’ attempati. Però, mannaggia, io sono ateo, all’anima non ci credo, al cacciavite un po’ di più, però, nella narrazione generalista, bisogna ammettere, che “io sono Giorgia” è più forte, e si può pure remixare. Il cacciavite meno.

Poi è chiaro, io voto da sempre Pd e quindi voterò Letta, però la metafora che Letta ha messo su per ricostruire l’Italia fa un tantino circolo intellettuale, cose che da destra vengono viste come roba da snob. Roba che nelle autentiche periferie popolari, quelle che sono anni che diciamo “bisogna riconquistare”, mica piace.
Metti poi il problema secolare del Pci, poi Ds, poi Pd e poi non mi ricordo l’esatta successione. Metti che questo partito ha sempre avuto, ideologicamente, un problema enorme: le idee dei capi non coincidevano con quelle del proprio elettorato, quasi mai. Un esempio? Prendiamo una famosa polemica che risale a fine Ottocento, tra ortodossi, insomma i fedeli alla linea, e socialdemocratici, e che si può riassumere così: che fine farà il capitalismo? Gli ortodossi erano convinti che da un momento all’altro sarebbe crollato il capitalismo – che come narrazione non è male, diciamo la verità. E comunque la teoria del crollo ha ancora echi nella contemporaneità, la catastrofe ecologica, la fine del mondo. Quelli alla Eduard Bernstein erano scettici: qua – si diceva – siamo di fronte a un sistema che si adatta ma non crolla. Oggi si direbbe resiliente (che è una espressione ameba, cioè non vuol dire più niente). A un certo punto – si era tra il 1870 e il 1900 – visto che i salari degli operari aumentavano e le ore di lavoro diminuiamo, Bernstein scrisse una lettera al filosofo Karl Kautsky – tra gli ortodossi di grande talento –: se facciamo uso eccessivo della parola miseria ci esponiamo al pericolo di essere confutati dalla storia. E niente, cominciò la polemica, Karl Kautsky rispose proponendo una formula diversa: immiserimento sociale. Ovvero, la classe operaia rimane esclusa dai progressi che essa stessa produce (Nicolao Merker, in Storia del marxismo, Carocci).

Da questa polemica ne scaturirono altre: cos’è la coscienza operaia? Come mai l’operaio non prende coscienza, anzi vuole diventare borghese? Perché anche l’operaio è soggetto a una falsa coscienza. Quindi? E quindi, noi intellettuali che ci stiamo a fare? Stiamo qui proprio per ricondurre l’operario alla sua dimensione storica: per fare un albero ci vuole un fiore, per fare la rivoluzione ci vuole la coscienza, noi capi e intellettuali allegati, forniamo la coscienza.

E niente, il capitalismo non crollava e la classe operaia piano piano si assottigliava. E vai con le spiegazioni, le analisi, e in estrema sintesi, le perenni immancabili e irrimediabili divisioni e gli inutili tentativi di mediazione. Cose dell’Ottocento? In un certo senso sì, ma in altro senso sono cose moderne. Certo traslate, ma la sinistra è soggetta a continue riproduzioni (frammentazioni) per sporogenesi. Un corpo produce spore per mitosi e poi altre spore per meiosi e così si frammenta: c’è quello che ha capito che il capitalismo ha le ore contate, quello che dice che il pianeta finisce fra sette anni, quello che è contro l’innovazione, perché la tecnica distrugge l’uomo o meglio distrugge quello che lui pensa debba essere l’uomo, un altro che ha due o tre dritte per portare il partito alla vittoria ma non glielo fanno fare, la biodiversità della sinistra. Insomma, Letta quando dice che ci vuole anima e cacciavite, sta tentando di dire che qui si vive in un posto complesso che va continuamente aggiustato, cioè, oddio, riformato, esponendosi così facendo a molte e vecchie critiche che risalgono, ci crediamo o meno, alla polemica Karl Kautsky vs Eduard Bernstein, roba da Seconda internazionale. In tutto questo bailamme divisivo e non così interessante per un corpo sociale come il nostro che passa molto tempo su TikTok, arriva remixato cento volte e in più lingue “io sono Giorgia” e capite bene, diventa meme, mette il punto, accende il faro: il mondo è complesso, ma io risolvo tutto in quattro mosse: donna, madre, italiana, cristiana. E quando Calenda dice ma che roba è: pure io sono uomo, padre, italiano e cristiano, quando Letta aggiunge e perché io no, pure praticante. Quando Conte cerca di scavalcare tutti a destra dichiarandosi fan di Padre Pio (tra l’altro una delle cose per me più difficili da capire: avete mai letto il breviario di Padre Pio?), tutti e tre arrivano in ritardo, almeno a questo giro, ovvio, poi si vedrà.

Insomma, il problema è che il Pd non è certo comunista. Socialdemocratico, boh, ni, dipende, ma tutti ricordano che è stato comunista (permettendo un po’ a tutti di essere più liberali, ma vabbè), quindi chiunque si prende sulle spalle il partito deve rispondere alla vecchia polemica Karl Kautsky vs Eduard Bernstein. Dove al posto dei due filosofi ci sono Nicola Fratoianni e compagnia e molti puristi di nuova sporulazione. Noi la facciamo facile, fai questo, fai quest’altro, ma il retaggio, il lignaggio, nobile o meno che sia, non si cancella velocemente.

Poi metti pure che detesto le campagne elettorali, metti pure che io parlerei solo di alcune cose pratiche. Il fatto è che dovendo fare la rivoluzione e sentendo la necessità di cambiare al più presto il capitalismo che non può risolvere tutto, ecco, dovendo fare tutto questo, da sinistra sento la necessità di avere almeno dalla mia l’energia necessaria. Quindi parlerei solo del costo reale dell’elettricità e delle inevitabili lentezze delle transizioni energetiche, delle necessità di avere batterie più grandi e del perché ancora oggi servono purtroppo i combustibili fossili per ricavare energia dal vento, e ancora, del perché le turbine a gas sono la scelta migliore anche se possono essere ancora migliorate, della necessità delle biotecnologie per essere bio. Altro? Sì, per esempio di come fare a riciclare l’urina per ricavarne azoto, fosforo e potassio e dunque come cambiare i wc e il modo di smaltimento e in ultima analisi la forma delle città. Insomma, in campagna elettorale darei senso al cacciavite (e meno all’anima). Ecco, capite che Letta lo capisco, ma nello stesso tempo capisco che non ce la possiamo fare: il remix su io riciclo urina, cambio i wc, ingrandisco le batterie e sono scettico sull’energia del vento e voglio applicarmi sulle turbine a gas, e sono pure favorevole agli Ogm nonché al genoma editing, insomma questo remix non lo so fare e temo anche le complicazioni, ovvero di scontrarmi con un verde o con i guru della sinistra come Petrini (altra cosa per me incomprensibile come Padre Pio) che mi batte dieci a zero col suo remix: voglio tutto naturale, e cose simili. Questo è il motivo per cui pur votando e capendo Letta non riesco a fare un ritratto di Letta, e alla fine mi sa che ho fatto un ritratto della Meloni. Che vince, si sa da un anno. E se poi non vince che vi devo dire? Invito Letta a cena e vediamo di risolvere questa questione per me fondamentale, cambiare i wc e la forma delle città, per riciclare di più e concimare meglio, che se concimi poi cresce più pane, e più pane per tutti vuol dire perlomeno più pace per tutti: un buon punto di partenza.