La natura del pd: sinistra o centro-sinistra?

Il politologo Carlo Galli, intervistato su Repubblica, ha sposato la linea del sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha indicato la via di un Pd “laburista”, che torni a occuparsi delle fasce deboli e smetta di inseguire le èlite. Un Pd che per fortuna, ha sottolineato il primo cittadino, non s’è fatto sedurre da Carlo Calenda, “che voleva solo strappare a Enrico Letta un impegno a snaturare il Pd”, portandolo al centro. Una ricetta benedetta dal politologo Galli, che  ridimensiona il “modello Bonaccini” di campo largo che vada dalla sinistra fino a Calenda e a Renzi: “Quel modello funziona solo in Emilia-Romagna. In Italia no. Lo diceva anche Togliatti”.

Dunque, la natura del Pd quale deve essere: di sinistra-estrema sinistra o di centro-sinistra? La polemica che il governatore emiliano Stefano Bonaccini ha innestato contro Lepore è utile seguirla. “Leggo che qualcuno ritiene invece che la funzione del Pd dovrebbe essere quella di rappresentare la sola sinistra. Fosse stato per tali scienziati non avremmo vinto le regionali, ne’ in città come Piacenza, Cento, Rimini o Riccione. Invece che teorizzare strategie e soluzioni da un piedistallo, consiglierei di frequentare i territori, parlare con le persone, sapere cos’è una partita Iva. Si chiama “mondo reale” da conoscere e affrontare, non “mondo virtuale” da commentare, magari seduti in salotto”.

Per quanto mi riguarda, ripeto da molto tempo che la natura del Pd è ambigua, in quanto al suo interno coesistono posizioni politiche inconciliabili. La linea di demarcazione, secondo me, è data da: Usa, Nato, Europa. Ci sono quelli, come me, che sono filoamericani, vogliono stare nella Nato e non sono neutralisti, credono nell’UE. Poi, nel pd, ci sono quelli che sono anticapitalisti, contro la Nato e non vogliono cedere all’UE nessun pezzo di sovranità. Insomma, sull’UE la pensano esattamente come la Meloni che non a caso parla di federalismo europeo perchè la comunità europea non le piace. Sul rapporto con gli Usa e la Nato, nel pd vi sono quelli che la pensano esattamente come un Fratoianni o un estremista di destra. Fin quando questo equivoco non si scioglierà, fin quando nel pd italiano vi saranno posizioni alla Melenchon che considerano un Macron un avversario da battere, è chiaro che Calenda da un Orlando o da un Provenzano sarà considerato un nemico; è chiaro che Conte sarà preferito a Draghi; che i 5Stelle siano considerati di sinistra e via dicendo. Transizione ecologica? Certo che sì, ma come la vuole il ministro Cingolani:
“L’unico sovranismo buono è quello dell’indipendenza energetica. Niente ecologismo ideologico e basta Nimby.
“Il punto è ragionare sulle priorità. La priorità è l’ambiente e l’indipendenza energetica o la priorità  è la tutela dogmatica di un paesaggio? Sono domande difficili da porsi, lo so, ma  essere responsabili, a  volte, significa anche saper scegliere. Significa anche capire quali sono le priorità di un paese. Significa capire che a volte non scegliere significa condannare il paese a non essere credibile”.

Tutti quelli che hanno la mia età ricordano bene come il Pci fosse ostile a tutti i movimenti che si situassero alla sua sinistra. Verso i gruppi extraparlamentari degli anni settanta (da Lc a Potere operaio) non valeva il principio (che molti rammentano) “nessun nemico a sinistra”. Anzi, era esattamente il contrario, fuoco di sbarramento a sinistra e dialogo a destra verso i liberal-socialisti sino ad arrivare ad abbracciare un Montanelli quando ruppe con il Caimano. Gli “indipendenti di sinistra” (Rodotà, per ricordarne uno) erano il fiore all’occhiello del Pci, erano intellettuali o professionisti che il partito accoglieva e conduceva in parlamento. Solo questo particolare, che era attenzione per le competenze, se fosse stato confermato nel tempo, basterebbe per creare una barriera verso chi, i 5Stelle, hanno fatto l’esatto contrario, portare in parlamento la qualunque, con la semplice benedizione del capopolitico, nel 2018 Di Maio.

Oggi il pd ha rovesciato il comportamento del Pci: indulgenza, dialogo, rapporto con tutti quelli che dichiarano di stare alla sinistra del pd (da Fratoianni a Fassina e Speranza), e fuoco di sbarramento per il centro moderato, per i lib-lab. Di tre scissioni subìte, una a sinistra (Bersani e D’Alema con Art.1) e le altre due a destra (Italia viva e Azione), quelle che per il corpo militante del pd sono intollerabili sono quelle di Renzi e Calenda. I “traditori” stanno a destra e sono condannati dai massinalisti che anche nel 1922 mandavano fuori dal Psi i riformisti Turati e Matteotti. Siamo ritornati ai “pidocchi cresciuti nella criniera di una cavallo di razza” con cui Palmiro Togliatti bollò due esponenti del Pci emiliano, Valdo Magnani e Aldo Cucchi nel 1941.

E’ sotto i nostri occhi un rovesciamento dunque della vecchia politica del Pci il quale riteneva che alla propria sinistra non ci dovesse essere alcun spazio per altre formazioni rosse. Dal dialogo con Bobbio, i socialisti e i vecchi aderenti al partito d’Azione, dalla scomunica al Manifesto, si è passati all’ostracismo verso Renzi e Calenda e all’unione, in nome dell’anticapitalismo, con chiunque blateri a sinistra, a favore della pace senza invio di armi all’Ucraina, a favore di sostegni, bonus 110%, navigator. Non so se arriveranno a presentarsi insieme Letta e Conte, ma che nel pd gli ostili all’agenda Draghi e i favorevoli all’agenda Conte (con due sole misure, reddito di cittadinanza e bonus 110% a far da specchietto per le allodole) siano molto ben piazzati (Orlando e Provenzano in primis), è un fatto.

Oggi, in buona sostanza, per molti democrat Renzi e Calenda sono destra, anche se sono filoamericani, europeisti, atlantisti. Viceversa sono considerati sinistra i Fratoianni che non vogliono Svezia e Finlandia nella Nato, perchè sono pacifisti anticapitalisti, contro il mercato e la globalizzazione almeno quanto un Tremonti. Sull’Europa il paradosso è che questa ipotetica sinistra replica l’identico discorso che fanno i balneari, i tassisti e la Meloni (nella UE ci stiamo ma le regole ce le facciamo noi senza cessione di sovranità). E’ proprio vero che le categorie “destra” e “sinistra” non significano ormai granchè perchè gli estremisti pur opposti si toccano

PS Sullo stesso argomento, v. “E. Galli della Loggia, Le due gambe del Pd: partito del conflitto e dello Stato”, Corsera 11/8/22 ( I dem si differenziano e contrastano le posizioni estreme alla propria sinistra, ma quando è il caso le accolgono al governo e al momento delle elezioni cercano sempre l’alleanza )

MICHELE SALVATI Qual è la vera anima del Pd? Il caso Calenda non è casuale (Corsera, 12/8/22)

Sono stato un appassionato sostenitore del Partito democratico. Sui caratteri ideali di questo partito — inteso come un partito di sinistra liberale, capace di adattare il vecchio ideale socialdemocratico ai mutamenti interni e internazionali di questi ultimi trent’anni — ho scritto articoli, saggi e libri: da ultimo, insieme a Norberto Dilmore, Liberalismo inclusivo, pubblicato da Feltrinelli meno di un anno fa. Sono stato iscritto al partito sin dall’origine, anche quando i suoi equilibri interni e i suoi leader si discostavano dai caratteri ideali che auspicavo. Spero ancora che sia possibile — per il bene del nostro Paese — che questi caratteri restino la stella polare che guida l’azione del partito. Vicende recenti hanno però destato in me qualche preoccupazione.

Quanto è avvenuto domenica scorsa, nella trasmissione di Lucia Annunziata, è stato subito battezzato nel Partito come «il tradimento di Calenda» e sicuramente si tratta di una decisione che si rimangia una parola data e mette il Partito in seria difficoltà. Ma è più di questo. È un altro segnale di un antico difetto di costruzione del Pd, un difetto che espone i suoi dirigenti (di «destra» o di «sinistra» che siano) a tensioni insopportabili: come Saturno divorava i suoi figli, il Partito democratico ammazza i suoi leader perché non è riuscito a creare un senso di comunità, di appartenenza e di identità forte quanto è necessario a consentire la convivenza di inevitabili differenze di opinione. Non è riuscito a creare una identità nuova, di sinistra liberale, e dunque diversa da quella delle forze politiche che confluirono nella formazione del partito: questo era l’auspicio col quale in tanti accompagnammo l’iniziativa di Veltroni.

Credo che Letta, sull’identità del Pd, la pensi in modo piuttosto simile al mio. Il patto che aveva proposto a Calenda era sbilanciato a favore di quest’ultimo e forse il segretario contava su di lui anche per indicare la direzione nella quale il Pd si sarebbe dovuto muovere, una direzione di sinistra liberale. Ma le forze contrarie a questo indirizzo sono così ingranate negli equilibri interni del Pd — e con esse la convinzione che non si devono avere nemici a sinistra, per quanto estremisti e incapaci di governare — che il segretario non si è sentito di affrontarle, e lo capisco: una situazione di urgenza non è certo il momento adatto per uno scontro interno al partito. L’attacco è però avvenuto su un fronte che Letta non si aspettava e considerava come tranquillo, quello con Calenda: «ma come, abbiamo sottoscritto un accordo in cui ti davamo molto di più di quanto ti aspettassi sulla base dei sondaggi: perché ora tiri in ballo questioni interne alla linea del Partito democratico?».

Gli accordi in politica, anche se sono scritti e molto chiari, possono sempre essere stracciati se chi li straccia è disposto a pagarne le conseguenze. Forse Letta non si è reso conto appieno che Calenda richiedeva molto di più di un accordo «tecnico», di emergenza, di semplice spartizione dei seggi, che poi lasciasse le mani libere ai partiti, e aveva in mente una vera alleanza politica, attraverso la quale potesse influire sulle decisioni che la coalizione avrebbe preso. E di conseguenza chiedeva anche, per quanto riguarda i partecipanti all’accordo, scelte che non smentissero in modo plateale la credibilità di una coalizione politica. E Calenda, forse, non si è reso conto che Letta questa assicurazione non poteva dargliela. Tallonato dall’urgenza, Letta doveva però tener conto degli umori del partito, un partito che aveva chiaramente manifestato le sue preferenze nella difesa accanita del secondo governo Conte e doveva imbarcare nell’accordo tutti quelli disposti a starci, specie a sinistra: la stessa esclusione dei 5 Stelle era vissuta assai male da settori importanti del Pd.

Un semplice equivoco, allora? Forse Letta avrebbe potuto essere più cauto e certamente Calenda doveva tener conto, prima di sottoscrivere l’accordo, che il segretario del Partito democratico, nella affannosa ricerca della massima possibile estensione di una «alleanza tecnica», non poteva andare troppo per il sottile. Ma anche in questo caso, la situazione sarebbe stata la stessa di oggi: nessun accordo Pd-Azione e il Pd avrebbe affrontato le elezioni solo con i cespugli più piccoli. Ci saremmo soltanto risparmiati un tormentone: purtroppo in una campagna elettorale tormentoni e sceneggiate hanno un costo e una sconfitta piuttosto pesante, assai dannosa per il paese, è ora forse più probabile.

Il «tradimento» di Calenda è però anche la conseguenza di una spaccatura esistente nel Pd, una spaccatura più grave delle differenze di opinioni esistenti e ineliminabili in un qualsiasi partito democratico, e non componibile cambiando in continuazione i suoi leader. Una spaccatura che c’è sempre stata, che il partito non ha mai voluto seriamente affrontare e si è manifestata di recente dopo che i 5 Stelle hanno sfiduciato il governo Draghi. Una parte dei dirigenti del partito, guidati dal segretario, ha ritenuto che i seguaci di Conte non potessero essere inclusi in una alleanza di centrosinistra. Un’altra parte non ha obiettato esplicitamente contro questa decisione (troppo grave l’errore di Conte) ma aspetta in silenzio l’esito delle elezioni, pronta a imputare a Letta la responsabilità di un esito elettorale negativo e passare rapidamente a un nuovo segretario. Il quale, sia esso più vicino a Mélenchon o più vicino a Macron, si troverà di fronte alla stessa situazione… e via proseguendo. Verso dove? Esiste in Italia una via intermedia, socialdemocratica e liberale, tra un Mélenchon e un Macron? In Francia il Partito socialista non l’ha trovata ed è quasi scomparso. Questo mi preoccupa non poco: forse un congresso, un serio congresso di analisi, approfondimento e riconciliazione, potrebbe essere una buona risposta, se non è finalizzato solo a rimuovere Letta.

Altrimenti avrà avuto ragione D’Alema affermando che il Pd è un «amalgama mal riuscito»… anche se ha fatto il possibile per non farlo riuscire bene.