Arrendersi all’evidenza, oppure (come Bersani) fare per tutta la vita gli stessi errori

La vecchia coppia Letta-Bersani si divide. Colpa di Conte e del bradipo (Alfonso Raimo, Huffington)

L’obiettivo comune è fermare la destra, la mucca nel corridoio. Ma per farlo, ragiona Pierluigi Bersani, il Pd deve scacciare il bradipo. “Cos’è il bradipo? E’ l’establishment, sono i poteri, un pezzo di questo Paese che punta a mettere in piedi ancora una volta governi senza popolo. Io lo chiamo il bradipo”. Fuori di metafora, per vincere Bersani chiede di ritirare la fatwa contro i pentastellati. I dem respingono l’invito. “Gli elettori non capirebbero”. L’ex segretario Pd conferma che non si candiderà: non nei Cinque Stelle e neanche nella lista promossa dal suo ex partito. Uno strappo a sinistra. Una frattura anche con Enrico Letta (‘ma gli voglio bene come a un fratello’). Amici da una vita, divisi dal bradipo.
C’è stato un tempo in cui Letta e Bersani erano un tandem collaudato. Insieme nei governi Prodi e poi nel Pd, i due si sono sentiti a più riprese anche in queste ore. Bersani non ha cambiato idea. Non si candiderà. Non seguirà Roberto Speranza e il resto di Articolo 1 nelle liste dem.

I due si conoscono da oltre venti anni. Erano ministro dell’industria e sottosegretario quando si inventarono il viaggio nell’Italia dei distretti che poi è diventato un libro (‘Viaggio nell’economia italiana’, 2004, Donzelli). Da allora sono sempre andati a braccetto, fino alla guida di quel Pd che nel 2013 arrivò a un passo dalla vittoria, con Bersani segretario e Letta vice. “Ma io continuo a combattere, non abbandono la compagnia, non vado all’estero, non mi metto a fare mestieri strani. Si può fare politica anche senza essere in Parlamento, non drammatizziamo”, dice Bersani a chi gli chiede di ripensarci. “Io ho una storia di sinistra. Ma ho cinque legislature alle spalle, ho fatto il ministro, il segretario di partito. Ca suffit”, la risposta.
Il commiato avviene sulla scia di una frattura profonda, anche con una parte di Articolo 1. “Non si è fatto nulla per costruire un vero campo progressista. O meglio, per un anno e mezzo non si sono stretti i bulloni. Per cui quando c’è stato il problema sul governo Draghi, è scattato un meccanismo liberatorio, identitario, da una parte e dall’altra”.

Per l’ex segretario dem è essenziale “incrociare quel pezzo di popolo che non va a votare”. Con chi lo ha sentito Bersani ha citato l’ultima analisi Tecnè: “Chi sta bene o molto bene vota per il 65 per cento. Chi sta male, molto male o malino, vota per il 28 per cento. Ecco se non vanno a votare loro, vince l’establishment”. Sul punto l’analisi diverge con una parte del centrosinistra. Nessuno ricerca l’astensione, ma è un fatto che questa premi un elettorato fidelizzato come quello del Pd. “Ma così si restringe la coperta della democrazia. E invece servirebbe una compagine che mettesse assieme i progressisti a partire da una piattaforma sociale. Un listone del Pd dove ci siamo anche noi. E poi una coalizione dove ci sono anche i M5s. Chiedo che si provi ancora qualche giorno, anche se non credo ci siano le condizioni. E allora almeno guardiamo avanti, dichiariamo che abbiamo un avversario comune”. Una sorta di convergenze parallele rivedute e corrette.
Sul punto il Pd dissente radicalmente. “Glielo abbiamo detto eccome ai M5s che la destra era il nemico comune. E lo abbiamo fatto – spiegano al Nazareno – quando Conte minacciava di far cadere il governo. ‘Stai attento che fai un assist a Salvini e Meloni’. Ma loro il governo l’han fatto cadere. E ora che gli diciamo agli elettori?”. Per i Democratici è essenziale intercettare il dissenso che emergerà in estate e a settembre tra quanti si chiederanno perchè è caduto questo governo. Allearsi proprio coi Cinque Stelle che l’hanno affondato non sarebbe la strategia più accorta. “Ma per l’amor di Dio quella e’ stata una cazzata”, ammette Bersani. “Ma in definitiva non è un errore superiore al dissidio che c’è stato tra Fdi, Lega e Fi divisi per 2 anni e mezzo tra governo e opposizione”. L’ex segretario dem, parlando coi suoi, invita a guardare agli ultimi voti alla Camera e al Senato, con Pd e M5s che prevalgono sulla destra su immigrazione e lessico di genere. “Rischiamo il paradosso che i due partiti che hanno i programmi più simili, Pd e M5s, in campagna elettorale litigheranno di più. La destra sghignazzerà. E soprattutto: siamo sicuri che i nostri elettori lo capiranno, e che lo capiranno il 26 settembre?”
Messe così le cose, una prova di buona volontà sarebbe una battaglia parallela contro l’avversario comune. Ma i dubbi restano e anche la sinistra-sinistra è divisa. Alcuni – come Roberto Speranza, Federico Fornaro, Nico Stumpo prevedibilmente saranno candidati nel listone Democratici e Progressisti. Altri come Loredana De Petris e Stefano Fassina confidano che arrivi un segnale di apertura da parte di Conte. Segnale che ad oggi non c’è. Quanto a Bersani, non nasconde l’amarezza. Gli han chiesto se sia deluso da Letta. “Fa un mestiere difficile. Gli voglio bene come un fratello. Ma conosco anche il Pd. E una parte di quel partito all’alleanza coi Cinque Stelle non ha mai creduto”.